mercoledì 9 luglio 2025

Le donne e la guerra...

Carlo Zoli: Ettore e Andromaca (ceramica, 2016)
        “Le donne sono profondamente investite dalla guerra, dal razzismo e dalla povertà, i tre mali nominati da Martin Luther King. Ma quando ci ergiamo per la pace come donne, è (…) per rappresentare una differente visione della forza. 
      Le azioni pensate e guidate da donne hanno una speciale energia, uno speciale potere. Il potere non viene dall’escludere gli uomini, anzi, la maggior parte di queste azioni dà il benvenuto agli uomini come partecipanti, il potere viene dalla gioia e dalla potenzialità della visione che sorge quando siamo insieme come donne a difendere il valore della vita e a prenderci cura di ciò che abbiamo caro. (…)
     Nessun tipo di qualità è esclusivamente o in modo innato ‘femminile’ o ‘maschile’. Gli uomini possono essere compassionevoli, amorevoli e gentili, come le donne possono essere dure, coraggiose o insensibili.
Tuttavia, il patriarcato assegna le specificità associate all’aggressione e alla competizione agli uomini, e relega le donne a ruoli svalutati di nutrimento e servizio. Il patriarcato dà valore al ‘duro’ sopra il ‘morbido’, alla punizione, alla vendetta e al risentimento sopra la compassione, la negoziazione e la riconciliazione. Le qualità ‘dure’ sono identificate con il potere, il successo e la mascolinità e vengono esaltate. Le qualità ‘morbide’ sono identificate con la debolezza, la mancanza di potere, la femminilità, e vengono denigrate.
       Sotto la logica del patriarcato gli uomini vengono svergognati e considerati deboli se mostrano qualità associate con le donne. I politici vincono le elezioni se sono duri contro il terrorismo, duri contro il crimine, duri contro le droghe, duri contro il sostegno economico alle madri. Le richieste di cooperazione, negoziazione, compassione o riconoscimento della nostra reciproca interdipendenza sono correlate alla debolezza femminile. (…) Forza, punizione e violenza sono le risposte del patriarcato ai conflitti e ai problemi sociali.
    Il patriarcato trova la sua espressione ultimativa nella guerra. La guerra è il campo in cui i duri possono provare la loro durezza e i vincitori trionfare sui perdenti. I soldati possono venire indotti a morire o a uccidere quando la loro paura di essere etichettati come simili alle donne o ai vigliacchi supera la loro paura di fronteggiare o maneggiare la morte.
    La guerra rimuove ogni argomento a favore della tenerezza e dissolve ogni biasimo con la violenza. La guerra è la giustificazione per la morsa con cui i dominatori impongono il controllo su ogni aspetto della nostra vita. Le femministe sagge non dicono che le donne siano naturalmente più gentili, più dolci, più compassionevoli degli uomini. (…) Diciamo che il patriarcato incoraggia e ricompensa chi ha un comportamento brutale e stupido. Abbiamo bisogno di voci femministe rauche e incaute che pungano la pomposità, l’arroganza, l’ipocrisia della guerra; che indichino come battersi il petto del gorilla non sia diplomazia, come l’avere la più vasta collezione al mondo di armi falliche a proiettile non costituisca un’autorità morale, come l’invasione e la penetrazione non siano atti di liberazione. 
      E abbiamo bisogno di ricordare al mondo che la guerra moderna non risparmia mai la popolazione civile. Lo stupro è sempre un’arma di guerra e i corpi delle donne sono usati come premio per i conquistatori. In guerra, donne, bambini e anche uomini, che non hanno voce nelle politiche dei loro governanti, subiscono la morte, mutilazioni, ferite e la perdita delle loro case, dei loro mezzi di sussistenza, delle persone amate”. 

In Monica Lanfranco Donne disarmanti. Come e perché la nonviolenza riguarda il femminismo
VandA ediz. Milano, 2024 pp. 97-99 (si riporta qui un testo di Miriam Simos, detta Starhawk)

domenica 6 luglio 2025

A Menfi sventola la bandiera blu

     Palermo – È blu, e non bianca come quella celeberrima cantata da Franco Battiato, la bandiera che sventola sul litorale di Menfi, comune siciliano lungo la costa sud-occidentale della Sicilia, a circa 100 km da Agrigento e 125 da Palermo.
         Le spiagge del suo litorale hanno ottenuto infatti per il ventinovesimo anno consecutivo la Bandiera Blu, il prestigioso riconoscimento assegnato dalla Foundation for Environmental Education (FEE), che premia le spiagge che si distinguono per l'elevata qualità delle acque e per i servizi offerti ai visitatori.
     Con il suo mare cristallino, i fondali bassi adatti a tutti, le spiagge assai pulite e un modello virtuoso di accoglienza e gestione del territorio, Menfi si conferma una meta d’eccellenza del turismo balneare siciliano e italiano. (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 7.7.25, il Punto Quotidiano

sabato 5 luglio 2025

Don Chisciotte, i bombi e Alex Langer. Grazie, Bruno

      Bruno Vergani offre, nel suo blog, considerazioni magistrali, che ci aiutano a riflettere sul rischio di un umanesimo militante ‘tragico e messianico’, impegno che rischia di diventare burnout esistenziale. 
      Il 3 luglio ho ricordato Alex Langer: le riflessioni di Bruno viaggiano di conseguenza…

"Cristo, Don Chisciotte, i profeti: figure di una stessa ferita. Quando la potenza biologica di vivere si intreccia radicalmente al desiderio di trasformare il mondo, nasce l’umanesimo militante, messianico, tragico. La tragicità sta nello scarto tra ciò che l’uomo sogna e ciò che il mondo è: la speranza inchiodata alla storia concreta[1].

L’impegno personale perché il mondo sia un po’ migliore resta un valore fondante, imprescindibile: è ciò che rende umano il nostro passaggio. Ma l’iper-empatia può farsi trappola: burnout esistenziale estremo, senso di responsabilità assoluto, super-identificazione con la missione salvifica.
Il Sé si annulla pur di restare fedele a un dovere impossibile. È un narcisismo senza autocelebrazione: culto di un’immagine di purezza, di redenzione. «Se non salvo il mondo, io non sono».
Una grandiosità che non si esalta, ma si sacrifica. Nessuno spazio per l’imperfezione.
Oggi, guardando i bombi sui fiori di lavanda [sotto un breve video], ho visto che la natura — il mondo in cui gli uomini accadono — è reale, mentre il mondo degli uomini è un artificio.
I bombi non conoscono missioni né martiri. Vivono in un tempo senza scopo, senza colpa, senza debiti di salvezza. Un filare di salvie non chiede di essere salvato né giudicato. È.
Accettando la colpa di non essere necessari possiamo salvarci.
L’impegno rimane: trasformare un poco il mondo, restare fedeli a ciò che conta davvero.
Il resto respira da sé".

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1 In termini spinoziani tale scostamento genera  tristitia, che a me viene ogni volta che penso a Gaza. Spinoza invita a elaborarla, comprenderla, contenerla,  perché se estrema può sopraffare la potenza di esistere (conatus). Nell’Ethica Spinoza definisce le passioni come modificazioni della potentia agendi, cioè della capacità di agire. La tristitia è, per definizione, una passione di diminuzione. È un affetto di contrazione, di restringimento: ci chiude, ci separa da ciò che ci rafforza, ci rende meno capaci di perseverare nell’essere. Non serve a nessuno, se non a distruggere ulteriormente. La storia rendiconta depressioni estreme e anche suicidi di idealisti e di militanti del bene sconfitti. Nel contesto possiamo dire che la tristitia è la crepa tragica di chi porta su di sé il peso di un dovere storico troppo grande. Il profeta martire vive nella tristezza perché scambia la diminuzione di sé per prova di purezza. Spinoza suggerisce invece di radicare l’impegno nel gaudium — la gioia di potenziare sé stessi e gli altri senza immolarsi. Non rinunciare all’impegno, ma non lasciarlo diventare una passione triste.

giovedì 3 luglio 2025

3 luglio 1995/2025: 30 anni senza Alex Langer

       Se ne è andato il 3 luglio 1995, impiccandosi a un albero di albicocco, a Pian dei Giullari, in Toscana, Alex Langer, fondatore dei Verdi in Italia, strenuo promotore di ‘ponti’, costruttore di pace e profeta verde.
     Ci ha lasciato un biglietto  “I pesi mi sono diventati davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. (…) «Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati». Anche nell’accettare quest’invito mi manca la forza. Così me ne vado, più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto.” 

Su “Il Manifesto”, il 21 ottobre di tre anni prima, in occasione del suicidio di Petra Kelly) aveva scritto parole lucidamente anticipatorie e strazianti: 
 “A Petra Kelly più che a chiunque altro spettava anche individualmente l’appellativo col quale i «Grünen» nel loro insieme spesso erano stati caratterizzati: «Hoffnungsträger», portatori di speranze collettive. La giovane e minuta ex funzionaria socialdemocratica della Comunità europea (…) con foga quasi religiosa e con enfasi profetica aveva proclamato alcune verità semplici, ma difficili da tradursi in politica: che la pace si fa togliendo di mezzo le armi e gli apparati militari, che i diritti umani e di tutti gli esseri viventi non possono sottostare ad alcuna ragione di stato ed hanno carattere assoluto, che l’umanità deve optare se accelerare la corsa al suicidio (ed eco-cidio) o se preferisce un profondo cambiamento di rotta, magari doloroso per qualche rinuncia nel breve periodo, ma anticipatore di una nuova e più ricca qualità della vita. (…) 
Forse è troppo arduo essere individualmente degli «Hoffnungsträger», dei portatori di speranze: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere."

Quando, vent’anni fa circa, mi è capitato di leggere sul sito della Fondazione, la  sua biografia Minima Personalia, me ne sono perdutamente innamorata.   
                                                                         
Gli ho scritto una lettera postuma, qui.

Senza di lui siamo più poveri e soli. Ma Alex ci ha tracciato profeticamente gli orizzonti sui quali continuare: scelte ecologiche vere, nonviolenza (con istituzione dei corpi civili di pace e non con l’aumento delle spese per le armi), giustizia sociale.
Basterebbe leggerlo e … mettere in pratica il suo ottimo progetto politico.

Qui un ottimo articolo di Pasquale Pugliese, del Movimento nonviolento, su il Fatto Quotidiano



Qui l'articolo di Bettin, su  il Manifesto di oggi. (per chi si può registrare o è abbonato)

Grazie, infine, a Massimo Messina che su FB ha pubblicato l’Amaca di Michele Serra (La Repubblica, 3.7.25): "Alex, che voleva cambiare il gioco"

"Oggi è il trentesimo anniversario della morte di Alexander Langer, che decise di andarsene quando non aveva ancora cinquant’anni. Fu tante cose, così tante che quasi imbarazza ricordarlo in uno spazio così piccolo.
L’attività di intellettuale e quella di politico erano, per lui, semplicemente la stessa cosa: indistinguibili, come se il pensiero non fosse possibile senza la politica e viceversa.
Internazionalista e umanista, si definiva facitore di pace — non pacifista — e si vergognò a morte, da europeo, dell’insussistenza e della viltà dell’Europa durante l’orribile guerra tra le micro-nazioni della fu Jugoslavia. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, come in un passaggio di testimone tra gli offesi e i carnefici, a Srebrenica i serbo-bosniaci massacrarono la popolazione musulmana come si fa con i tonni nella tonnara. Il genocidio era tornato in Europa.
Verrebbe da pensarlo come uno sconfitto, perché quasi nulla di ciò che avrebbe voluto è accaduto in Europa e nel mondo, e quasi tutto ciò che non voleva — il nazionalismo, la divisione, la guerra — è accaduto e continua ad accadere. Negli ultimi trent’anni sembra spazzata via la possibilità stessa di una diversa umanità, più fantasiosa delle nazioni, più intelligente della violenza, più pensosa, profonda e gentile. Il format del maschio prepotente e incolto domina la scena: nel gioco dei contrari, per immaginare Langer basta pensare al preciso opposto di Trump.
Però basta rileggere, o leggere, Il viaggiatore leggero, il libretto Sellerio che raccoglie alcuni dei suoi scritti, per ritrovare la voglia di battersi, diciamo così, proprio su un altro piano. A un altro livello, con altri mezzi, altre parole. Come se la vera posta in palio non fosse battere il nemico, ma cambiare il campo di gioco e le sue regole".

Qui altri approfondimenti: 

martedì 1 luglio 2025

Docufilm di Julien Elie sul paesaggio di Boca Chica

      Palermo – “Un vecchio e un bambino si preser per mano/e andarono insieme incontro alla sera/la polvere rossa si alzava lontano/e il sole brillava di luce non vera. /L'immensa pianura sembrava arrivare/in dove l'occhio di un uomo poteva guardare/e tutto d'intorno non c'era nessuno:/solo il tetro contorno di torri di fumo/I due camminavano, il giorno cadeva/ il vecchio parlava e piano piangeva:/con l' anima assente, con gli occhi bagnati,/seguiva il ricordo di miti passati…/” 
Questo l’incipit de Il vecchio e il bambino, una delle canzoni più struggenti e poetiche di Francesco Guccini, dove si immagina un vecchio raccontare a un bambino, che purtroppo non le ha mai conosciute, la bellezza e i colori della terra.
Il regista canadese Julien Elie con il suo docufilm Shifting baselines (che letteralmente significa ‘spostamento dello standard’), presentato il 9 giugno a Torino a conclusione della rassegna CinemAmbiente, racconta la storia di Boca Chica, un villaggio all’estremità meridionale del Texas, ai confini col Messico, scelto da Elon Musk nel 2018 come quartier generale di SpaceX e per il lancio dei satelliti Starlink.
 “C'è un sacco di terra, senza nessuno intorno, così anche se qualcosa esplode, va tutto bene". Questa la dichiarazione rilasciata allora dal miliardario americano, riportata dalla giornalista Alessia Mari nel TG scientifico Leonardo del 10 giugno scorso. Allora gli abitanti di Boca Chica furono costretti a vendere, e il litorale, habitat naturale di pesci e uccelli selvatici, fu requisito.
Ad Alessia Mari, che lo ha intervistato a Torino, Julien Elie ha detto (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 29.6.25, il Punto Quotidiano


sabato 28 giugno 2025

Disperse un giorno... e poi madri per sempre

P.Picasso. Madre con bambino (1921)
     Ora che essere prof. è un ricordo lontano, la consapevolezza è ancora più chiara: alunne/i in dispersione scolastica rischiano molto più degli altri un fallimento esistenziale. 
     Ma due ex alunne disperse pareva si fossero in qualche modo salvate: N., che aveva abbandonato per aiutare la madre incinta con minacce d’aborto, era madre di due bambini, dopo aver preso la licenza media a diciott’anni.  
      Giorni fa, la vecchia prof aveva poi visto sotto casa A., alunna dispersa con tanti chili, ora ancora più obesa ma con gli occhi brillanti di mammina felice: teneva per mano un bambinetto contento. C’era un uomo con lei, dallo sguardo semplice e buono.
     Disperse un giorno, “ma poi madri per sempre nella stagione che stagioni non sente”.

mercoledì 25 giugno 2025

Gent.ma Presidente del Consiglio: il vecchio che avanza...

 
Ho sentito la sua dichiarazione, espressa mi pare in Parlamento: “La penso come i Romani: si vis pacem, para bellum”. Sono rimasta basita: non credevo che Lei potesse manifestare con chiarezza un pensiero - a mio avviso - così  logoro, violento, radicalmente inefficace, espressione di una vecchia  visione del mondo bellicista e sterilmente militarista.
     La invito a pensare invece a un possibile, radicale cambio di paradigma, storico e antropologico insieme. Oggi più bisogna ripartire dal pensare e progettare la Pace. Ci troviamo di fronte a un vuoto teorico e di visione, come se la Pace fosse un ideale non politico …      
   Sa che martedì 24 giugno scorso c’è stata proprio a Roma,  presso l’Auditorium Bachelet della Domus Maria, la presentazione ufficiale della proposta per l’istituzione di un Ministero della Pace? L’evento, organizzato da Fondazione Fratelli Tutti, Azione Cattolica Italiana, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e ACLI-Associazioni Cristiane lavoratori Italiani e da una rete ampia di associazioni della società civile, promosso dalla Campagna “Ministero della Pace”, è nato dalla volontà di dare un assetto istituzionale e stabile alle politiche di pace, di giustizia e di disarmo nel nostro Paese, perché la pace possa divenire architettura politica e istituzionale, e non solo ideale etico.
    Il Ministero della Pace sancirebbe un cambio radicale di paradigma, un segno tangibile dell’abbandono della logica mortifera e nefasta del principio si vis pacem, para bellum, per abbracciare invece la nuova logica ‘se vuoi la pace, progetta la pace’.
      Perché la pace va pensata e resa possibile, nella consapevolezza che l’oscenità della guerra, anche se spesso ritenuta inevitabile, è in realtà una costruzione umana, frutto del primato della violenza. Ho scoperto che si deve a don Oreste Benzi, il prete romagnolo fondatore della Comunità ‘Papa Giovanni XXII’, la richiesta di istituire un Ministero della Pace, formulata una prima volta nel 1994, durante il terribile conflitto nell’ex Jugoslavia, e poi formalizzata nel 2001 con una lettera all’allora Presidente del Consiglio: «Da quando l’uomo esiste ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace. Un ministero trasversale per organizzare la pace». 
     Cara Presidente Giorgia Meloni, abbiamo bisogno di nuove architetture del pensiero per pensare e organizzare la pace. Abbiamo bisogno di interconnettere la sfera culturale, quella etica, quella giuridica e quella istituzionale. Abbiamo bisogno di ripartire dalla nonviolenza come mezzo di risoluzione dei conflitti. Ma chi sa parlare e agire con nonviolenza oggi? 
    La nonviolenza è una weltanschauung, uno stile di vita, una visione del mondo sistemica, olistica, che accetta la conflittualità dei rapporti umani senza considerare ineluttabile che il conflitto sfoci nella lite, nella violenza, nella guerra. 
Cara Presidente, è ormai necessario scardinare l’idea radicata che la virtù civica e politica si esprima attraverso il dare la vita in guerra: necessario scardinare il nesso tra guerra e cittadinanza. La patria non si difende con le armi: Lei saprà bene da anni giace in Parlamento la proposta di legge per l’istituzione di una Difesa civile popolare e nonviolenta.
Crediamo fermamente che il dovere di difesa della patria, ribadito dall’art.52 della Costituzione, possa essere agito anche senza le armi, anche senza uccidere.
Lei potrebbe ribattere:  lei è un’utopista senza speranza… Ma sono le idee nuove che cambiano la Storia. Se tante donne non avessero lottato per la loro dignità, idea nuova rispetto al Diritto romano, oggi Lei non presiederebbe il Governo italiano.
     Riporto infine parte del  toccante intervento del compianto dottore Gino Strada a Stoccolma, dove, nel dicembre del 2015, il Parlamento svedese gli ha tributato il Premio Nobel alternativo Right Livelihood  "per la sua grande umanità e la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell'ingiustizia, continuando a denunciare senza paura le cause della guerra". 
      Ecco le sue parole:  «La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell'immaginare, progettare e attuare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino al completo abbandono di questi metodi. La guerra, come le malattie mortali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente. L'abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione. Possiamo chiamarla "utopia", visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. 
Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare, dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l'idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell'umanità. (…)  Ancora oggi ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein: 'Metteremo fine al genere umano o l'umanità saprà rinunciare alla guerra?'. Ѐ possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano? Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. Ѐ vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro».

Spero che, prima o poi, potremo confrontarci serenamente su questi temi cruciali. Un saluto cordiale.



domenica 22 giugno 2025

Forse...

Forse
I generali non riconoscono
La fragranza tenue dei ligustri
L'odore delicato del gelsomino
La dolcezza fragile di una pomelia


Forse
Gli manca il profumo dei fiori
Per riconnettere frammenti di anima
Per ridiventare umani
Per rifiutare il fetore della guerra

venerdì 20 giugno 2025

Dichiaro...











Dichiaro che non c’è altro Essere umano
All’infuori di Colui il cui cuore trema di amore
Per tutti i suoi fratelli in umanità
Colui che desidera ardentemente
Più per loro che per se stesso
Libertà, pace, dignità
Colui che considera la Vita
Più sacra ancora delle sue credenze e divinità
Dichiaro che non esiste altro Essere umano
all’infuori di Colui che combatte senza tregua l’Odio
In lui e intorno a lui
Colui che fin dal momento in cui apre gli occhi al mattino
Si pone la domanda:
cosa farò oggi per non perdere
la mia qualità e la mia fierezza
di essere uomo?

Abdellatif Laâbi

Vedi qui e qui 


mercoledì 18 giugno 2025

Rosella Prezzo: le guerre viste (solo) in TV

 Più che mai attuale lo studio condotto da Rosella Prezzo. Ecco l'annunciata recensione del suo libro:

Cantieri culturali della Zisa, 8.6.25: Rosella Prezzo, II da sinistra
           Palermo – “Le guerre non si dichiarano più e si eternizzano, così come non si sa più quale e dove sia quello che un tempo si chiamava ‘campo di battaglia’… nel mio caso le guerre le ho proprio soltanto viste, nella velocità istantanea dell’ubiquità mediatica”. Prende spunto proprio da “questa comune esperienza da spettatrice attraverso gli schermi” Guerre che ho (solo) visto (Moretti & Vitali Bergamo 2025), saggio di Rosella Prezzo, filosofa, saggista e traduttrice: centocinquanta pagine preziose e assai dense che analizzano acutamente la guerra di ieri, ma soprattutto quella di oggi. E invitano a ‘pensare l’impensato della pace’ alla luce, ad esempio, del pensiero di Simone Weil, Virginia Woolf e Maria Zambrano.
       Emblematici i titoli di due dei capitoli che compongono la prima parte del libro: Dal corpo eroico al corpo osceno del guerriero e alla guerra postumana e Reduci, sopravvissuti/e, profughe/i.
L’autrice sottolinea infatti che, nel passato “Il corpo del guerriero è stato a lungo al centro di una vasta strategia narrativa e simbolica… Attraverso la figura del guerriero, insieme alla retorica del discorso sui caduti in battaglia, si è espressa per secoli l’esemplare virtù civica e politica”. E poi “La rivoluzione francese è il momento in cui il soldato e il cittadino si fondono: il cittadino è tale perché imbraccia le armi per difendere le proprie conquiste rivoluzionarie”. Anche oggi purtroppo: “L’implicito nesso tra attestazione di piena cittadinanza e prova fornita in guerra rimane sottotraccia nel discorso politico pubblico”.
     Ma, negli ultimi decenni “Si è introdotto un nuovo orizzonte di senso insieme a un nuovo racconto, dove il fronte è diventato globale (privo di spazio e tempo definiti) e soprattutto asimmetrico e iper-tecnologizzato. Alla base sta quello che i teorici del Pentagono hanno battezzato come Information Warfare (IW) o Revolution in Military Affairs (RMA), animata da un vero e proprio millenarismo tecnologico e dalla filosofia della guerra a ‘zero morti’ (ovviamente nelle proprie file).” “Il conflitto armato ad alta tecnologia - annota ancora la studiosa – implica controllo e gestione a distanza del teatro bellico con il minor impegno possibile della variabile umana ma con un’aumentata potenza distruttiva”.
     Siamo nel pieno della ‘guerra post-umana, fatta con i droni e l’Intelligenza artificiale, guerra che aumenta a dismisura il fossato tra sé stessi e le vittime, rendendo sempre più aleatoria la responsabilità individuale.
     Di contro, con una progressione costante e numeri impressionanti, le vittime delle guerre sono sempre di più i civili (si pensi al massacro odierno di civili palestinesi) e, con loro, le crescenti ondate di profughi: così, evidenzia l’autrice “tornano inevitabilmente a mostrarsi i corpi: corpi non combattenti, sfiniti, violati, intrappolati, annichiliti, soprattutto di donne, insieme a bambini e a vecchi. (…) Corpi in fuga, senza luogo, spostati, braccati: ‘comparse’, ammutolite dalla paura e dal dolore, che vengono a occupare l’intera scena della tragedia bellica…
      Da dove ripartire per ripensare e progettare la pace? (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 15 giugno 2025, il Punto Quotidiano