domenica 26 settembre 2021

L’oro verde dell’Etna? Il pistacchio

      Palermo – Ingrediente ricercato per dolci e gelati, ottimo condimento per primi piatti, frutta secca da sgranocchiare, squisito per insaporire salumi e formaggi: il pistacchio, in tutti i suoi utilizzi, è un prodotto assai richiesto in cucina, da pasticcerie e aziende alimentari.
   Coltivato già in età preistorica e originario dall’Asia, soprattutto dal Medio Oriente – ancora oggi l’Iran ne è il primo produttore mondiale – l’albero del pistacchio è resistente alla siccità e raggiunge anche gli 11-12 metri, anche se di solito si ferma a circa 5-6 metri. Cresce anche in terreni rocciosi e calcarei, ma predilige le terre vulcaniche; abbastanza longevo, raggiunge spesso i 300 anni di età. L’albero ha fiori unisessuali: ci sono alberi dai fiori maschili, altri dai fiori femminili, che producono i frutti. Un albero maschile produce abbastanza polline per fecondare circa dieci piante femminili.
     Il pistacchio italiano più pregiato si coltiva in Sicilia, ai piedi dell’Etna, tra i 400 e i 900 metri di altitudine, nei terreni dei comuni di Bronte, Adrano e Biancavilla. In queste terre – circa 4000 gli ettari dedicati a tale coltura - si produce il 90% della produzione siciliana, che rappresenta lo 0,25 % della quantità prodotta nel mondo.
    Il pistacchio prodotto ai piedi dell’Etna si caratterizza per l’involucro dalla forma piuttosto affusolata, che contiene il frutto di colore verde smeraldo, ricoperto da una pellicina viola intenso. Colori così accesi si trovano solo nelle piante di questo territorio, e sono dovuti al nutrimento ottimale ricevuto dal terreno ricco di lava dell’Etna. Le particolari qualità del pistacchio catanese lo hanno reso rinomato in tutto il mondo e gli hanno fatto ottenere la prestigiosa acquisizione DOP (Denominazione di Origine Protetta), conferita il 9 giugno 2009 dall'Unione Europea. La coltivazione di pistacchio rappresenta per Bronte e i paesi vicini un’importante fonte di reddito: perciò la pianta si è guadagnata la denominazione di ‘oro verde’. 
   Nella zona si contano migliaia di produttori, ciascuno col suo piccolo appezzamento. Nella coltivazione di questo frutto molte azioni si fanno ancora a mano, dalla potatura alla raccolta che avviene di solito ogni due anni per permettere alle piante di riposare e dare frutti migliori. Solo la ‘smallatura’, ovvero la liberazione del frutto dalla scorza esterna, e l’essiccazione, generalmente fatta al sole, possono essere gestite con l’aiuto di appositi macchinari. Il frutto raccolto viene in genere smallato ed asciugato dagli stessi produttori, e poi venduto alle aziende esportatrici: circa il 60% viene esportato all'estero, mentre il 40% trova impiego nell'industria nazionale.
   In Sicilia sono una ventina circa le aziende addette alla lavorazione del pistacchio e poi alla sua commercializzazione, che avviene anche online, sia verso l’Europa che nei Paesi extraeuropei. Complessivamente l'oro verde produce annualmente una ricchezza di circa 35/40 milioni di euro. Sempre vigile l’attività di tutela del marchio e del prodotto per impedire contraffazioni, affinché non venga spacciato per pistacchio DOP di Bronte quello che non lo è.
   Le temperature bollenti di quest’estate hanno causato la ‘scottatura’ di una certa quantità di pistacchi; comunque, grazie alle piogge di fine agosto e inizio settembre, le coltivazioni si sono salvate. Così ci sono buone aspettative per la raccolta, che è in corso, in quanto avviene metà settembre e inizio ottobre.
   E proprio alla fine della raccolta, nell'ultimo fine settimana di settembre e nel primo di ottobre, sino al 2019 si è svolta ogni anno a Bronte la festosa e affollatissima sagra del pistacchio, nel corso della quale era possibile degustare (e acquistare) pistacchi freschi o i prodotti ottenuti con la sua lavorazione. Nonostante il 2021 sia anno di raccolta, per la pandemia da Covid-19 – purtroppo attualmente la Sicilia ha il triste primato di regione italiana capofila per numero di contagi – l’amministrazione di Bronte ha deciso di non autorizzare l’evento, mancando i presupposti per svolgere in sicurezza la sagra. 

Maria D'Asaro, 26.9.21, il Punto Quotidiano

venerdì 24 settembre 2021

I lavori di casa

      Non potendo dormire, la vecchia madre usa alzarsi quando è ancora buio, scendere in cucina e farsi il caffè. (...)Le piacerebbe mettersi a fare i lavori di casa: spazzare le scale, lavare i pavimenti, lavare porte e finestre. Non può, perché tutti dormono; e questi atti che pensa e non compie la accendono di un freddo fuoco.

  Era, da giovane, disordinata e pigra; invecchiando, le è venuta la mania dell’ordine, e una sorta di torvo amore per i lavori di casa; e i figli, le nuore e gli amici usano biasimare questa sua passione, la definiscono un segno squallido e deplorevole di vecchiaia e di aridità. I lavori di casa sono in lei, essi dicono, un alibi per non fare altre e più nobili cose: leggere, occuparsi di politica, coltivarsi.  (…) 
   Una volta, nel fare i lavori di casa, la madre nutriva il desiderio segreto che i suoi famigliari lodassero la sua rapidità ed efficienza; ma non vennero mai queste lodi, e invece vennero proteste, commenti infastiditi e giudizi severi; i figli le ingiunsero di piantarla con quegli stupidi lavori di casa; loro vivevano altrettanto bene, le dissero, in una casa dove non si lavavano i pavimenti ogni giorno. Lavando i pavimenti, la madre ha dunque il dubbio di fare una cosa inutile; è infatti vero che si potrebbero anche non lavare ogni giorno.
      Lei, da giovane, non li lavava mai; c’erano ancora donne di servizio che li lavavano molto bene; e la sua propria madre non concepiva che si potesse abitare in una casa  dove ogni giorno le donne di servizio non lavassero in terra. Ma le donne di servizio oggi non esistono più: e se esistono, sono forme così evanescenti e labili che il timore di perderle è più forte del desiderio che lavino in terra. (…)
    Lavando i pavimenti con furia, la madre si chiede perché fa questa cosa, forse davvero inutile e mortificante; se in memoria della propria madre, o per un arido e maniaco piacere. Non lo fa per amore della casa: della casa, ha capito che non gliene importa nulla. Ciò che al mondo le importa sono i figli, e i loro dolci e riccioluti bambini: persone a cui non interessa affatto se i pavimenti vengno lavati o no.
     La madre siede sul divano, fuma, guarda ulivi e vigne ardenti al sole di mezzogiorno. Ora tutti ritornano, con salvagente, asciugamani umidi e intrisi di sabbia, canottiere, pezzi di pane e giornali: il carico di questo gregge lentissimo, felice e indeciso.
     La madre si chiede se qualcuno, lei morta, laverà i pavimenti della casa casa.

Natalia Ginzburg: I lavori di casa in Mai devi domandarmi, Einaudi, Torino,

martedì 21 settembre 2021

L'amore che serve...

Fonte: pagina Instagram @Oxfam

Che tipo di amore serve, quanto deve essere profondo, intenso e bruciante.
Non un amore ingenuo sentimentale neoliberale, ma un amore ossessivamente altruista.
Un amore che sconfigga i sistemi basati sullo sfruttamento di molti a vantaggio di pochi.
Un amore che trasformi il nostro disgusto passivo di fronte ai crimini contro le donne e l’umanità in una resistenza collettiva inarrestabile.
Un amore che veneri il mistero e dissolva la gerarchia.
Un amore che trovi valore nella connessione e non nella competizione tra noi.
Un amore che ci faccia aprire le braccia ai profughi in fuga invece di costruire muri per tenerli fuori, bersagliarli con i lacrimogeni o rimuovere i loro corpi enfiati dalle nostre spiagge.
Un amore che bruci di fiamma viva tanto da pervadere il nostro torpore, squagliare i nostri muri, accendere la nostra immaginazione e motivarci a uscire, liberi, da questa storia di morte.
Un amore che ci dia la scossa, spingendoci a dare la nostra vita, se necessario.
Chi saranno i coraggiosi, furibondi, visionari autori del nostro manuale di amore rivoluzionario? 

Eve Ensler
 
(da Né Principi azzurri né Cenerentole di A.Cavadi, Il Pozzo di Giacobbe,Trapani, 2021, pag.59-60)






domenica 19 settembre 2021

Contro la violenza di genere né Principi azzurri né Cenerentole


          Palermo – Nel nostro Paese, a metà settembre 2021, sono purtroppo più di 50 le donne uccise da mariti o ex mariti e compagni. Una decina nelle ultime settimane, due delle quali in Sicilia: Ada a Bronte e Vanessa a Trecastagni, paesi nel Catanese. Questi numeri vietano di definire ‘emergenza’ i casi di femminicidio e sollecitano un’urgente azione educativa preventiva. 
       Ben venga allora il libretto di Augusto Cavadi Né Principi azzurri né Cenerentole. Le relazioni di “genere” nella società del futuro (Di Girolamo, Trapani 2021, €8), che si rivolge a ragazze e ragazzi di oggi – idealmente rappresentati da due giovani interlocutori, Francesco ed Eleonora - con l’intento di farli riflettere sulla violenza di genere. Il testo è ‘figlio’ naturale del precedente L’arte di essere maschi libera/mente, scritto per gli adulti: entrambi ‘parto’ delle riflessioni maturate a Palermo da un gruppo di uomini che, dal 2015, si confrontano sul tema della violenza sulle donne, sulla scia del movimento italiano “Maschile plurale”.
   Con un linguaggio adatto a comunicare con la ‘generazione z’, i giovani nati poco prima del 2000,  Né Principi azzurri né Cenerentole individua la radice della violenza maschile nell’atteggiamento sociale che spinge molti uomini a rispondere con la rabbia e l’aggressività a emozioni come la paura, il senso di incertezza e fragilità; ciò a causa di “un modello sociale che incoraggia la dominanza, insegna la superiorità maschile e il diritto all’accudimento e alla cura da parte delle donne, e porta a una miscela esplosiva che legittimerà in futuro l’uso della violenza”.
   Facendo proprie le riflessioni di Peppe Sini, fondatore a Viterbo del ‘Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera’, il testo evidenzia che il modello militarista-bellicista, il paradigma dell’uomo ‘che non deve chiedere mai’ “è la prima radice di ogni violenza, di ogni oppressione. La dominazione maschilista e patriarcale spezza l’umanità in due e nega piena dignità e uguaglianza di diritti a metà del genere umano e così disumanizza l’umanità intera”.
   Nel libretto viene però sottolineato che anche gli uomini, a loro volta, sono vittime del paradigma storico e culturale da loro stessi creato: in nome di un modello sociologico di uomo duro, poco incline alla cura, alla tenerezza e ai sentimenti, si precludono spesso modalità di vita piene, appaganti e feconde per sé stessi. Significativo, a questo proposito, che nel testo vengano citati Socrate, Buddha, Francesco d’Assisi, Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela: uomini passati alla storia per aspetti della propria personalità estranei ai modelli patriarcali e violenti.
   Il testo sottolinea quindi che, mentre il sesso è un dato biologico e naturale, il modo in cui si vive il proprio genere “non è un dato genetico, universale, immodificabile, ma è piuttosto un dato culturale, storico, sociologico che muta di secolo in secolo e di civiltà in civiltà”. “La società non può che guadagnarci in ricchezza se permette e promuove, al suo interno molti modelli di maschilità e molti modelli di femminilità, senza pregiudizi, luoghi comuni, né tabù”. 
   Vengono riportate poi le raccomandazioni del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi a politici ed educatori. L’Ordine, già nel 2015, esortava a «favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale» nella chiarezza che tale azione formativa non significa affatto promuovere un’inesistente ideologia del gender, definizione creata da una dottoressa statunitense, Dale O’Leary, contraria alla distinzione fra sesso biologico e ‘genere’ psicologico e atteggiamento socio-culturale, mentre non esistono promotori reali di tale inesistente teoria. Allora, insistono gli psicologi, è indispensabile «fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni (…) per contrastare anche il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo».
   Il libretto, ricco di riflessioni teoriche, ha comunque un approccio molto diretto: l’autore invita infatti giovani lettori e lettrici a gesti concreti, spendibili nel quotidiano. E non manca una sorta di prontuario pratico sia per i ragazzi (riflettere su eventuali atteggiamenti di prepotenza nei confronti delle donne, madri, sorelle, compagne di scuola, partner; evitare espressioni lesive della loro dignità; allenarsi a riconoscere emozioni e sentimenti) che per le ragazze (contestare ogni gesto violento nei propri confronti da parte dei maschi; interrogarsi sulla gelosia del proprio partner, evitare la tendenza alla competitività, specie verso altre donne). 
   In appendice, per le ragazze che hanno già sperimentato comportamenti o atteggiamenti violenti c'è poi un decalogo di suggerimenti preziosi per prevenire ed evitare eventuali gesti di violenza futura. 
Suggestiva la pagina finale “Esortazione al proprio amato” - che motiva il titolo dato al libretto - nella quale una sconosciuta autrice scrive: «Mio amato uomo, ti libero dalla storia in cui devi sempre essere il principe, il coraggioso o soccorritore e, naturalmente, il principe azzurro (…) Ti libero dalla storia in cui non ti è mai permesso piangere, dove non esistono confusione, caos e sconfitta (…) Ti libero dalla storia in cui ci sono sempre mille battaglie … e dallo slogan che tutto deve essere combattuto, che tutto è guerra e competizione  (…). Non siamo tutte fragili principesse, non siamo più addormentate o intrappolate nella nostra storia. (…) Abbiamo già lasciato le fiabe e ti aspettiamo da questa parte, nella vita reale dove puoi essere tu e io posso essere me…».

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 19.9.21

sabato 18 settembre 2021

Viole


Violetta:

Umile, nascosta...

Come la vita

Resiliente, fragile e bella.

Grazie.   


giovedì 16 settembre 2021

Una marina di libri: due libri contro i femminicidi

     Venerdì 17 settembre, a Palermo, presso lo Spazio Mediterraneo, a Villa Filippina (piazza San Francesco di Paola), alle ore 20.30 presentazione e confronto su due testi scritti da Augusto Cavadi (insieme agli amici del gruppo "Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne"), entrambi editi da Di Girolamo, Trapani.

1.L'arte di essere maschi libera/mente. La gabbia del patriarcato

2.Né principi azzurri né Cenerentole. Le relazioni di genere nella società del futuro 

Introdurrò io la discussione sui due testi.

N,B.  C’è un biglietto di ingresso di 3 euro (esenti solo i minori di anni 12) 


lunedì 13 settembre 2021

Sally

 


Orfana

Di abbracci

Mendico al mondo

Qualcosa del tuo sorriso

Sally


domenica 12 settembre 2021

A Palermo riapre il Parco d’Orleans

     Palermo – Il cinque agosto scorso a Palermo è stato riaperto al pubblico Parco d’Orleans, la storica villa adiacente al Palazzo omonimo, sede del governo della Regione siciliana. 
    Chiuso da quattro anni per irregolarità nella gestione di alcune specie animali, Parco d’Orleans, che si estende per circa tre ettari e mezzo, è uno dei pochi parchi ornitologici italiani: oggi ospita circa 350 esemplari di uccelli di 70 specie diverse, tra cui fenicotteri rosa, pappagalli, capovaccai, pavoni, pellicani, poiane, struzzi, gru; presenti anche altri animali come daini, pesci e testuggini. Suggestivo anche il patrimonio botanico, che comprende araucarie, palme e diversi ficus macrophylla dalle imponenti radici aeree.
   Con ingresso libero sino a fine settembre, poi forse con pagamento di un ticket simbolico, l’ingresso al Parco oggi è consentito a tutti, ma solo a piedi, quindi senza motocicli, biciclette, pattini, monopattini, skateboard. Ѐ vietato anche introdurre palloni, aquiloni o altri oggetti che possano arrecare disturbo alla quiete degli animali. Si può accedere a villa d’Orleans dal martedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 19; la domenica solo di mattina, dalle 10 alle 13. 
    Si hanno notizie di questo spazio verde cittadino già dalla fine del 1400, quando la fertile area – allora percorsa dal torrente Kemonia - fu acquistata dal mercante Onorio Garofolo e venne perciò denominata ‘fossa della Garofala’. Nel 1801, ormai di proprietà del principe d’Aci Giuseppe Reggio, divenne un’importante stazione di sperimentazione agraria e importò dall’Inghilterra macchinari agricoli all’avanguardia. L’ampia zona verde – circa 46 ettari in totale - passò poi a Ferdinando IV di Borbone che ne fece dono alla figlia Maria Amalia, sposa nel 1809 del francese Luigi Filippo, duca d’Orléans. 
Luigi Filippo, che legherà il Parco al nome della sua casata, realizzò un giardino in stile gardenesque, stile assai in voga nel 1800 grazie al botanico e paesaggista scozzese John Claudius Loudon, che diffuse lo stile ‘pittoresco’ ideato da Humphry Repton. Nello stile gardenesque, tutte le piante – alberi o piccoli arbusti – sono posizionate e curate in modo da enfatizzarne ogni potenzialità e a solleticare le curiosità botaniche del visitatore; in tale concezione paesaggistica verde, si tende poi ad accogliere e valorizzare le piante esotiche e a creare paesaggi a ‘piccola scala’, elaborati per scorci, nella ricerca del singolo dettaglio e nell'apprezzamento della varietà. 
    Nell’800, la cura botanica del parco d’Orleans si deve all’agronomo Vincenzo Tineo, che fu anche stimato direttore dell’Orto Botanico cittadino. Tineo arricchì il Parco con piante esotiche di nuova introduzione in Europa, quali l’araucaria, i ficus e le palme.
   Gli Orleans mantennero la proprietà del bene sino al 1950, quando Enrico Roberto, Conte di Parigi, ne cedette 40 ettari all’Università degli Studi di Palermo, che fece sorgere lì il principale polo universitario cittadino; nel 1954 il Palazzo e la restante parte del parco vennero acquistati dalla Regione Siciliana che destinò il Palazzo a sede del Governo regionale. Alla presenza dell’allora capo dello Stato Giovanni Gronchi, il 5 novembre 1955 i cancelli del Giardino d’Orleans furono aperti alla fruizione pubblica. Da allora, non c’è bambino palermitano che non sia andato ad ammirare pappagalli e fenicotteri e non abbia dato da mangiare ai daini qualche tenera fogliolina.
   La riapertura del Parco d’Orleans è stata inaugurata dal governatore della Regione siciliana Nello Musumeci, lieto che questo straordinario angolo di flora e fauna sia stato restituito a cittadini e turisti.
Tornare a villa d’Orleans è davvero una festa per tutti: sia per i bambini di oggi, che per nonni, papà, mamme, zie e zii, ex bambini di ieri…

 





Maria D'Asaro, 12.9.21, il Punto Quotidiano

venerdì 10 settembre 2021

Il mare...secondo Emily


Come se il mare separandosi
svelasse un altro mare,
questo un altro, ed i tre
solo il presagio fossero
d’un infinito di mari
non visitati da riva −
il mare stesso al mare fosse riva−
questo è l’eternità.


Emily Dickinson,  trad. di Margherita Guidacci, “Tutte le poesie”, Mondadori, 1997

(Grata a Lucia Comparato che l'ha condivisa su FB)








mercoledì 8 settembre 2021

A colei che imparadisa la mia mente...


    Roberto Benigni, che alla 78° mostra del cinema di Venezia ha ritirato il Leone d’oro alla carriera, ha dedicato il premio alla moglie Nicoletta Braschi. Queste alcune delle sue parole: "Non le posso neppure dedicare questo premio, perché le appartiene, è suo e lo sa". "Al massimo - ha continuato Benigni - possiamo fare così: ce lo possiamo dividere. Io mi prendo la coda, per manifestare la mia gioia, e il resto è tuo. Le ali soprattutto, perché se nella mia vita qualcosa che ho fatto ha preso il volo è grazie a te".

    Roberto Benigni e Nicoletta Braschi festeggeranno a dicembre trent’anni di matrimonio. Ma, dice Roberto: “In fondo, come si fa a misurare il tempo? Io conosco una sola maniera per misurarlo: con te e senza di te. Se ho fatto qualcosa di bello e buono nella mia vita è perché è stato attraversato dalla tua luce". 





domenica 5 settembre 2021

Addio a Mikis Theodorakis, colonna sonora della Grecia

   Palermo – La musica non è amata dai dittatori. Lo dimostra l’annuncio dei talebani che, tornati al potere in Afghanistan, hanno dichiarato che vieteranno l’ascolto della musica in pubblico, secondo le norme della ‘sharia’ islamica. Seppure in un contesto culturale molto diverso, qualcosa del genere è successo anche in Grecia, durante il periodo della cosiddetta dittatura dei colonnelli (1967-1974), quando è stato proibito l’ascolto della musica di Mikis Theodorakis.
   Ai cosiddetti ‘millennials’ e alla generazione z, cioè a chi è nato dopo gli anni ’80, probabilmente il nome di Theodorakis non dice più niente. Non così ai meno giovani, che hanno provato almeno una volta a ballare la sua celebre ‘Danza di Zorba’. 
Mikis Theodorakis, morto ad Atene a 96 anni il 2 settembre scorso, è stato il più famoso compositore greco del 1900. Nella sua anima sono state intimamente legate l’amore per la musica e il desiderio di libertà e giustizia sociale: già da ragazzo, ancora studente al Conservatorio di Atene, entra a far parte della Resistenza all'occupazione nazi-fascista; durante la successiva guerra civile (1946-49) è poi rinchiuso in un campo di prigionia. 
   Tornato in libertà nel 1950, dopo il diploma al Conservatorio, inizia a comporre pezzi sinfonici, musiche per balletto e per film. Successivamente dedica il suo interesse musicale alla canzone popolare greca, collaborando con il poeta Yannis Ritsos. Scrive anche varie canzoni prendendo spunto dalle poesie del patriota greco Alexandros Panagulis. Ѐ del 1964 la sua composizione forse più celebre: la colonna sonora del film di Michael Cacoyannis “Zorba il greco”, magistralmente interpretato da Anthony Quinn. ‘La danza di Zorba’ scala le classifiche di tutte le nazioni europee e diventa il motivo musicale più ascoltato del tempo. 
  Quando nel 1967 i colonnelli istaurarono in Grecia la dittatura militare, Theodorakis divenne un deciso oppositore del regime e per questo venne torturato e imprigionato, mentre la sua musica veniva proibita.Punto di riferimento per l'opinione pubblica, al ritorno della democrazia nel suo Paese viene eletto deputato nelle fila del Partito Comunista. Quando però il governo socialista guidato da Andreas Papandreou si trova invischiato in scandali di corruzione, Theodōrakīs per protesta si schiera con il centro-destra, riconciliandosi con la sinistra soltanto dopo l'uscita di scena di Papandreu.
  La fama musicale di Mikis Theodorakis, compositore poliedrico e versatile - ha scritto opere sinfoniche, oratori, musiche per balletti, canzoni e raccolte di ballate - è legata anche ad altre celebri colonne sonore: quella di "Z- L'orgia del potere", il film di Costa Gravas sull'assassinio del deputato di sinistra Grigoris Lambrakis - pellicola che nel 1967 vinse l’Oscar per il miglior film straniero - e "Serpico", la storia vera del poliziotto Frank Serpico, interpretato da Al Pacino.
Theodorakis, oltre che con Leopold Sédar Senghor, poeta e uomo politico simbolo dell'Africa libera, ha collaborato con tre poeti, Premio Nobel per la letteratura: Pablo Neruda e i greci Odisseo Elitis e Giorgos Sefèris.
   In Italia il musicista ha conosciuto un grande successo popolare nel 1970 grazie a “Caro Theodorakis ... Iva", un album della cantante Iva Zanicchi, con nove brani che portano la firma del musicista greco, tra cui "Un fiume amaro”.
   Il nome di Theodorakis rimane comunque indissolubilmente legato alla sua feconda creatività di reinvenzione della tradizione popolare musicale greca. Grazie alla "Danza di Zorba", il Sirtaki, danza originale ispirata a due antichi balli, è diventata patrimonio dell’umanità.
Con buona pace di tutti i dittatori, presenti e passati…

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 5.9.21