martedì 31 dicembre 2013

Il Te deum di Nostra Signora ...


A fine anno, nostra Signora aveva il suo personale Te deum[1] da recitare.
Ringraziava perché esame istologico e mammografia erano ok. Perché Alessandro era il nipotino più duci che potesse avere in dono. Perché il suo Angelo bruno era vivo e le sorrideva. Perché aveva amiche speciali. Perché lavorava e riusciva anche a regalarsi del tempo. Perché, con Ornella, c’era riuscita a pubblicare le omelie di don Cosimo. Perché i suoi ex cuccioli stavano bene. Perché aveva voglia di leggere e scrivere. Perché aveva tanti mari da scoprire e da solcare. Perché i suoi ragazzini sperduti le regalavano meravigliosi sorrisi. 
Perché continuava ad amare la Vita.



[1] Il Te Deum (estesamente Te Deum laudamus, latino per "noi ti lodiamo, Dio") è un inno cristiano in prosa di origine antica. Nella Chiesa cattolica il Te Deum è legato alle cerimonie di ringraziamento; viene tradizionalmente cantato la sera del 31 dicembre, per ringraziare dell'anno appena trascorso (fonte: Wikipedia)





domenica 29 dicembre 2013

Ciao, Alessandra




Se c’è la compostiera nella mia scuola, è merito tuo. 
Se tanti ragazzi palermitani conoscono un po’ meglio la loro città, è anche grazie all’iniziativa “Palermo adotta un monumento”, che tu hai promosso come assessore comunale all’Istruzione, perché gli alunni palermitani capissero che “Palermo è nostra, e non di Cosa nostra”.
Facevi politica in modo intelligente e onesto. Ci mettevi la testa e il cuore.
Ci mancherai, Alessandra.[1] 
Ci mancherà il tuo sorriso e il tuo volto pulito.



[1] Alessandra Siragusa: 1963 – 28.12.2013. Dal 1993  al 2000 è stata assessore alla Pubblica Istruzione al Comune di Palermo. Dal 2008 al 2012, eletta nelle liste del Partito Democratico, è stata deputato al Parlamento italiano .

sabato 28 dicembre 2013

Il papa che mi piace

Nel ventre di Buenos Aires sulla metro di Jorge Mario Bergoglio. 
Stazione Bolivar, a due passi dalla cattedrale. Linea “E”, destinazione piazza Virrey. Si va verso una delle Villas Miseria, le borgate di baracche e case abusive che il futuro pontefice visitava regolarmente nel corso dei mesi. Il convoglio arriva lentamente con rumore di ferraglia, i vagoni ricoperti di graffiti. Fa caldo tra i pendolari assiepati. Intorno a Jorge c’è chi rimugina i suoi pensieri, fissa le pareti del tunnel scandite dalla luce al neon, ciondola la testa assonnato, guarda nel vuoto con lo sguardo rassegnato. Qualcuno, anche se giovane, porta negli occhi uno sguardo duro, feroce. A ogni fermata una scossa e uno stridio assordante di freni.Quaranta minuti di metro nel rimescolamento di razze, origini, storie che è Buenos Aires. Discendenti di spagnoli, italiani, giapponesi, cinesi, africani, tedeschi, francesi, autoctoni dell’America centrale, immigrati sudamericani di ogni specie. Impiegati attenti al bilancio familiare, giovani aggrappati a un’occupazione qualsiasi, masse sul filo della sopravvivenza. 
Bergoglio non usava né l’auto né l’autista, così come rifiutò sin dall’inizio il palazzo arcivescovile, scegliendo per sé due stanze al terzo piano della curia diocesana. Sapeva guidare, ma da primate d’Argentina ha scelto di immergersi nel flusso quotidiano della gente sui mezzi pubblici. Metro e autobus. A piazza Virrey risalgo i 35 gradini che l’ultrasettantenne si faceva con le sue scarpe ortopediche e l’anca indolenzita. Arrivo sotto una grande tettoia – aria afosa d’estate, fredda e umida d’inverno – in attesa della pre-metro, uno scalcinato trenino urbano che si inoltra verso le periferie. Ci vuole un’ora in tutto per arrivare a destinazione. Un’altra ora per tornare. E infinite ore durante l’anno per raggiungere i più vari luoghi dove era richiesta la sua presenza. Non c’è prelato di curia in Vaticano o cardinale o vescovo di piccola città di provincia disposto a sottoporsi a questa snervante routine. 
“La povertà s’impara toccandola” Spostarsi così non è una prova di ascesi, è uno stile di vita a contatto con l’umanità affannata di megalopoli. Nel ventre di Buenos Aires si sperimenta il groviglio di esistenze di una città, che oltre ai tre milioni di abitanti del suo nucleo ne ha altri dieci, che gravitano sul centro. Anzi, sui “centri” così variegati di una metropoli, in cui si passa dai palazzi, che riecheggiano la Parigi di fine Ottocento, ad eleganti edifici anni Trenta, modernissimi grattacieli in vetrocemento per finire nelle giungle di case popolari senz’anima e precipitare nella galassia delle baraccopoli. “Villa Ramon Carrillo” è l’ultima borgata abusiva in cui Bergoglio ha voluto impiantare una parrocchia. Case abusive lasciate a metà o cresciute per successive superfetazioni. A pochi metri dalla fermata del trenino urbano si interrompe la strada asfaltata, si entra in terra di nessuno, terra battuta e rigagnoli perpetui che odorano di fogna. Qui finisce la legge. Nella maggior parte di queste baraccopoli i taxi si rifiutano di entrare. 
Padre Bergoglio arrivava a piedi in queste borgate, tra gli sguardi degli abitanti ora affettuosi e festosi ora diffidenti. Strade in terra battuta piene di buche o dall’asfalto frantumato. Dove stazionano macchine fuori corso rappezzate mille volte, i bambini giocano accanto ai rigagnoli che odorano di fogna, una madre spulcia la figlia, i cani randagi girano da un crocicchio all’altro. Un labirinto di case malfatte, in cui sul primo piano intonacato se ne è costruito un secondo fatto di mattoni e poi un terzo. Balconi improvvisati, stanze non finite e senza tetto. Bidoni, scheletri di tavoli e letti buttati per strada. Al di là di un cavalcavia si raggruma una borgata ancora più precaria, si chiama Villa Esperanza. Vicoli stretti dove passa appena una persona. Su una cella di cemento spicca un cartello “Si vende”. Dappertutto le inferriate che costellano ossessivamente porte e finestre, verande e l’atrio minuscolo del verduraio. Anche l’edicola di san Gaetano, patrono del pane e del lavoro, è coperta da un reticolato di metallo così fitto che non si vede nemmeno l’immagine. “La povertà teorica non interessa, la povertà si impara toccando la carne di Cristo povero”, ha sempre sostenuto Bergoglio e lo ha ripetuto da papa ancora recentemente. Qui, spiega padre Pedro Baya Casal, 43 anni, che regge insieme ad un altro prete la parrocchia dell’Immacolata, Bergoglio veniva ogni anno per la festa della Vergine e poi in occasione di riunioni dei preti di borgata. E questo in ognuna delle varie baraccopoli di Buenos Aires. Veniva a piedi con la sua cartella, chiacchierava con la gente, partecipava alla processione, vedeva crescere i figli della donne che aveva cresimato anni prima. Una chiesa “ospedale da campo” Non aveva paura di entrare in strade dove droga e violenza scandiscono la giornata. “A volte ho sentito letteralmente le pallottole intorno a me”, spiega padre Baya. Ai funerali di un ragazzo ucciso in uno scontro tra bande, il prete – abbracciato dai coetanei piangenti della vittima – avvertiva il calcio duro della pistola sotto le loro giacche. “A tratti mi dico esasperato: ma cosa si può fare? Poi riprendo a lavorare…”.
 A un centinaio di metri dalla parrocchia la casa annerita del presunto responsabile della pallottola mortale testimonia la vendetta dei parenti dell’ucciso. Qui e nelle altre baraccopoli circolano armi che anche i giovanissimi si procurano facilmente e circola la droga pazza, il paco, estremamente a buon mercato e rapidissima nel provocare dipendenza. “Brucia il cervello”, dicono a Buenos Aires. Allucinato, il tossico deruba prima i parenti del poco che hanno, poi va per le strade e uccide per un nonnulla. Mentre sono in Argentina, leggo di una giovane madre, che spingeva la carrozzella del pupo, sgozzata in provincia perché difendeva il suo borsellino. Qui, al contatto con la miseria quotidiana – e non davanti alla televisione o ai convegni di sociologia – Bergoglio ha maturato la sua idea di Chiesa “ospedale da campo”. Padre Baya mi racconta che seguiva da vicino l’opera dei preti delle baracche. Convogliava in queste zone parecchi sacerdoti. Durante il suo periodo di guida delle diocesi ha raddoppiato da undici a ventidue la presenza di preti nelle Villas miseria. 
I poveri meritano il meglio, era solito dire”, racconta Baya. Concreto e determinato aiutava sistematicamente questi avamposti di umanità a realizzare doposcuola, centri per anziani, laboratori di formazione professionale, scuole di recupero, centri di riabilitazione per tossicodipendenti. In queste zone perdute Bergoglio ha forgiato la sua pastorale della misericordia. “Non dire mai domani, ci esortava, se qualche fedele viene a chiedere di confessarsi o un’estrema unzione”. E non dire “domani” se si tratta di ascoltare un genitore in difficoltà, aiutare economicamente una famiglia, portare qualcuno all’ospedale o facilitare un’operazione”. “Bergoglio – dice un altro celebre prete di borgata, padre Pepe Di Paola, nominato da lui primo vicario episcopale per le baraccopoli – non ha mai guardato alla realtà dalla prospettiva di Plaza de Mayo (la piazza della cattedrale e del palazzo presidenziale), ma dai luoghi del dolore, della miseria, della povertà: dal basso di una borgata o di un ospedale”. C’è un grande equivoco in Vaticano: Francesco non viene dalla “fine del mondo”. È il primo papa che viene dalle viscere pulsanti di una metropoli. Nessuno, da Pio XII a Benedetto XVI, ha mai fatto un’esperienza così drammatica e moderna.
                                    Marco Politi          (da “Il Fatto quotidiano”,  27 dicembre 2013)

giovedì 26 dicembre 2013

Accarezza




Accarezza 
novelle segrete:
tu, la regina
di una storia felice.
Sognata.                       

martedì 24 dicembre 2013

Parole di cura

      Ecco alcune frasi dell’intervista rilasciata ad agosto da papa Francesco al direttore della Civiltà cattolica: «Vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli. Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. (…) Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo (…). I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi ». Grazie davvero, papa Francesco. 
      Buon Natale a tutti.
         Maria D’Asaro (“Centonove”, n.48 del 20.12.2013)

venerdì 20 dicembre 2013

Trenta giorni ha Novembre ...

    Riguardo ai dodici mesi, nostra signora aveva la sua particolare top twelve. 
 Amava Novembre: ovattato, anonimo, crepuscolare. Dedicato alla contemplazione e al silenzio. Peccato che la sua pace fosse turbata dal prematuro e chiassoso scintillio di luci prenatalizie. Le piaceva tantissimo Maggio: che sapeva di vita rinata, di sole allegro e gentile, di candeline soffiate per persone speciali. Detestava Agosto per quella sua ostentazione di corpi festanti, per le ferie forzate nei giorni dell’afa e delle zanzare. 
     Da qualche anno non amava neppure Dicembre: troppe le pubblicità di famiglie felici, accanto a un panettone e a un camino. Non so se tutti hanno capito, Ottobre, la tua grande bellezza, cantava Guccini: ma a Ottobre se n’erano diversamente andati suo padre, suo marito e il suo cane. E con loro era scivolata via gran parte della sua gucciniana bellezza. Settembre, nel 2001, era stato un mese fatale per sua sorella e per le torri gemelle. Da allora ne aveva una paura tremenda. 
    Gennaio: accidenti, che peso tornare al lavoro con qualche chilo di troppo. Febbraio invece poteva andar bene: corto, ironico e carnascialesco quanto bastava. Un mese impossibile da prendere sul serio. E poi in un suo giorno c’era nato il suo amore di cucciolo. Marzo: troppo violento e ventoso: il sedici si era portata via sua madre, senza neppure bussare. 
     Con giorni lunghi al sonno dedicati il dolce Aprile viene; quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele, che ti chiamò crudele. Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi dopo fatto l’amore, come la terra dorme nella notte, dopo un giorno di sole. Ok, per Aprile: ad avercela accanto, la persona speciale con cui addormentarsi … Giugno e Luglio li aveva amati da sempre: da scolaretta, perché finiva la scuola e c’era l’estate dorata. Da professoressa: perché finiva la scuola e c’era l’estate dorata.
    O giorni o mesi che andate sempre via sempre simile a voi è questa vita mia diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguali la mano e i tarocchi che non sai mai giocare che non sai mai giocare …
     E invece no. Nostra signora aveva deciso ormai di giocarseli: carte e talenti. 
     In ogni mese. In tutti i giorni dell’anno. 


martedì 17 dicembre 2013

Adotta un negozio e un giardino ..

Dopo il 1992, annus horribilis in cui furono uccisi i magistrati Falcone, Morvillo e Borsellino e le persone delle scorte, Palermo ebbe un moto di ribellione corale: la scuola s’impegnò nel promuovere la reazione dei cittadini alla barbarie mafiosa. Nacque così “Adotta un monumento”: il progetto di presidiare vestigia significative della città, come segno della volontà collettiva di cura e controllo del territorio. Dopo vent’anni, l’iniziativa andrebbe incrementata e “rinverdita”: le scuole, oltre che i monumenti, potrebbero adottare anche un negozio che non paga il “pizzo” e uno spazio verde da tenere pulito. Che bello, se nel 2014 adottassimo 20 giardini e altrettanti negozi pizzo/free ... Qualcuno potrebbe sorridere, con disincanto. Ma, come ci insegna Rosa Park, che l’1 dicembre 1955 rifiutò di  cedere il posto a un bianco sull’autobus e diede l’avvio negli U.S.A. alla lotta contro la segregazione dei neri,  le vere rivoluzioni nascono spesso da piccoli gesti.
                                                        Maria D’Asaro (“Centonove”, n.45 del 29.11.2013)

domenica 15 dicembre 2013

Allenta




Allenta
La presa
Vorace sul mondo:
Morbido, lieve, il respiro.
Adesso.    

venerdì 13 dicembre 2013

Sembra facile …

Le prenoto l’intervento – mi comunica con tono gentile la ginecologa del consultorio. Il giorno stabilito sono in ospedale e, dopo aver pagato il ticket, salgo al piano indicato. Dove però ambulatori di ginecologia ce ne sono tre, con porte sprangate, che non si aprono al mio deciso bussare. Sveglio la detective che è in me: la porta presenziata da donne in dolce attesa, di certo non farà al caso mio. Ne restano due: quale la giusta? Chiedo a un dottore: alza gli occhi al cielo e si allontana smarrito. Intanto è passata un’ora. Continuo le indagini: un’ottantenne, più confusa di me, farà il mio stesso esame. Allora una delle due porte sarà quella giusta. Verso le undici, un’infermiera chiarisce l’arcano: è tutto chiuso perché le dottoresse sono ancora impegnate in reparto. Verranno, prima o poi. Servirsi ancora della sanità pubblica non è semplice. Ma non bisogna demordere. Resistete, donne, resistete.
                                          Maria D’Asaro   (“Centonove”, n.47 del 13.12.2013)

mercoledì 11 dicembre 2013

Sii dolce con me ...

Sii dolce con me. Sii gentile.
E’ breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo
dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani. Non potremo
fare carezze con le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.
Una nostalgia d’imperfetto
ci gonfierà i fotoni lucenti.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
di ogni meccanismo di volo
di ogni guizzo e volteggio
e maturazione e radice
e scorrere d’acqua e scatto
e becchettio e schiudersi o
svanire di foglie
fino al fenomeno
della fioritura,
fino al pezzo di carne sulla tavola
che è corpo mangiabile
per il mio ardore d’essere qui.
Ringraziamo. Ogni tanto.
Sia placido questo nostro esserci -
questo essere corpi scelti
per l’incastro dei compagni
d’amore.
Mariangela Gualtieri

Mariangela Gualtieri - Rocca di Vignola, 23.11.2011, video di  Maddalena Baraldi



martedì 10 dicembre 2013

Luce fuori, buio dentro …


       Come credo sia avvenuto nelle altre città italiane, anche quest’anno, già dalla prima settimana di Novembre, strade e negozi palermitani ostentavano luci e decorazioni natalizie. Cosa nefasta, a mio avviso, per i seguenti motivi: primo, per l’enorme spreco energetico; secondo, perché la festa, laica o religiosa che sia, dovrebbe essere un evento speciale, racchiuso in un tempo/spazio ben definito, distinto dal tempo ordinario. Il Natale infatti, festa pagano/cristiana evocata dalle luminarie, dovrebbe essere celebrato il 25 dicembre, non due mesi prima. Novembre è un mese normale, durante il quale si sarebbe potuto fare magari un po’ di silenzioso raccoglimento interiore. Infatti, se tutto diventa festa, niente lo è più veramente. Il problema è che abbiamo svenduto il senso della vita e dei suoi gesti alle logiche di mercato, alla stupida voglia di consumo. Allora, anche in giorni così illuminati, rischiamo che alla luce esteriore corrisponda purtroppo una desolante oscurità interiore.
                                                            Maria D’Asaro  (“Centonove”, n.46 del 6.12.2013)


domenica 8 dicembre 2013

Grazie, Cosimo

  Solo grazie alle parole illuminanti di don Cosimo riesco a dare un senso alla mia adesione problematica alla proposta spirituale cattolica. Ecco le belle parole con cui Augusto Cavadi su Repubblica-Palermo di oggi recensisce il libro raccolta delle omelie di don Scordato:

    Da trent'anni ormai (molto prima dell’era Bergoglio) la messa domenicale presieduta da don Cosimo Scordato, nella chiesa di San Francesco Saverio, è veramente la celebrazione dell’accoglienza evangelica di sorelle e fratelli segnati dai travagli della vita (omosessuali, divorziati, ex-preti, intellettuali e artisti alla ricerca di un approdo esistenziale).
Quasi “a insaputa” dello stesso celebrante, le edizioni Cittadella di Assisi hanno licenziato, col titolo "Libertà di parola", una raccolta — curata da Maria D’Asaro e Ornella Giambalvo — di alcune delle omelie più significative di questo “prete di strada” in occasione dei suoi sessantacinque anni. 
In ogni momento del suo servizio presbiteriale don Scordato incarna come pochissimi altri esponenti del clero la libertà di chi, avendo meditato su un tema, avverte il diritto-dovere di dire ciò che ritiene giusto: sia che ciò coincida con l’insegnamento ufficiale del magistero romano del momento sia che se ne discosti profeticamente. Radicata nella libertà, la sua parola — a sua volta — è liberatrice: alleggerisce, infatti, l’interlocutore dalle superfetazioni dogmatiche e dagli appesantimenti moralistici che possano soffocare la fede autentica nel vangelo. Tanta franchezza spiega il fascino che don Scordato esercita verso fasce sociali disparate: dal ragazzo di Ballarò convinto a uscire da giri mafiosi a Francesco De Gregori che, dopo averlo voluto a Genova alla registrazione di un disco, glielo ha dedicato in copertina.

venerdì 6 dicembre 2013

Grazie, Madiba

          Quando se ne va una grande anima, tutto il pianeta perde qualcosa. Un po’ del suo cuore, del suo respiro vitale. E' morto ieri sera a 95 anni Nelson Mandela, leader dell’African National Congress  e della lotta nonviolenta per l’uguaglianza razziale nel Sudafrica.
       Mandela, Madiba per il suo popolo, con la sua testimonianza di vita, ci ha donato un grande arcobaleno di luce: infatti, sebbene avesse trascorso ben 27 anni in carcere a Robben Island, dopo la sua liberazione e l'elezione nel 1994 a Presidente del Sudafrica, ha speso con successo tutte le sue energie per promuovere un cammino di giustizia e pacificazione nazionale. Assieme a Frederik De Klerk, ultimo presidente sudafricano al tempo dell’apartheid, ricevette nel 1993 il premio Nobel per la pace.

A mio avviso, Clint Eastwood, con il film Invictus, ne ha fornito un ritratto indimenticabile.


mercoledì 4 dicembre 2013

35, ma non li dimostra.

      Oggi sono 35. Gli anni di lavoro di nostra Signora. Che cominciò a lavorare in banca il 4 dicembre 1978, a vent’anni appena. Sei anni dopo, lasciato l’Istituto di credito, iniziò a fare l’insegnante. Pensava che in una Scuola avrebbe potuto un po’ meglio prendersi cura degli altri.
Oggi nostra Signora vorrebbe che qualcuno si prendesse un po’più cura di lei. 
  
 "In effetti se, da una parte, è vero che la sofferenza è inevitabile, è altrettanto vero che gli umani sono dotati di un’innata competenza alla comprensione dell’altro (e del suo dolore)… Quindi la competenza del ‘prendersi cura’ dell’altro non riguarda unicamente il compito genitoriale, ma si estende a tutta la condizione umana. È come se la vita stessa ci offrisse un rimedio per ‘sopportare’ il suo lato oscuro: il reciproco prendersi cura e consolarsi."           Giovanni Salonia   (Dal blog: Gestalt Therapy hcc Kairos)


domenica 1 dicembre 2013

Un blog ti cambia la vita


Con un giorno di ritardo (perché ieri sono stata impegnata a presentare il libro “Libertà di Parola” di Cosimo Scordato) oggi festeggio il quinto compleanno del mio blog.
Voglio farlo quest'anno ringraziando i blog amici. Alcuni in particolare:
Colorare la vita: per la cura della scrittura, l’amore per le fiabe e per le pennellate di luce.
Nine hours of separationper i reportage da san Francisco, per l’eccellente capacità di
padroneggiare fatti e parole con squisita competenza.
Super Doc: per l’ottima veste grafica e i suoi contenuti originali. E per la cura che Super Doc
ha per Mari da solcare.
Piccole cose di un Calzino: per l’umanità intelligente ed ironica della sua autrice. E per la sua 
capacità di parlare di sé in modo schietto e autentico.
Aris blogL'albero dei sassiEl gropo: perché le loro originali creazioni artistiche danno colore e
smalto alle giornate buie.
Il blog di Augusto Cavadi: perché raccoglie e condensa le mille iniziative culturali del mio amico 
Augusto, scrittore, giornalista e filosofo consulente.
Il blog di Leila Orlando: perché ci mostra con efficace semplicità come si dovrebbero insegnare 
Italiano, Storia e Geografia nella scuola media.
         Sguardi notturni: perchè Veronica è capace di "leggere" il cinema e i quadri con lo sguardo
        profondo e ispirato della mente e del cuore. 

E un grazie di cuore a tutti gli altri bloggers e a chi mi legge. Un abbraccio virtuale a tutti/e