martedì 31 gennaio 2017

Gli scrutini e gli «Hoffnungsträger»

       I primi scrutini di nostra Signora risalgono all’anno scolastico 1984/5: furono a Cerda, paese in provincia di Palermo, noto perché lì vicino c’era il percorso della "Targa Florio". Nei suoi primi scrutini, nostra Signora espose le ragioni didattiche e umane perché una ragazzina fosse promossa dalla II alla III media; ragioni tradotte da una collega - che avrebbe voluto fare “pulizia” nella classe - con queste parole “La prof. di Lettere vuole promuovere Anna perché ha il seno grosso”.
Da allora nostra Signora non vive con particolare entusiasmo questo momento scolastico: questo pomeriggio, mentre si discuteva della classe, alcuni prof. la sollecitavano a stampare il verbale e spicciarsi: “Dai, fammi firmare, che poi il carrozziere chiude …”. Per carità, avevano pure ragione.
Così per nostra Signora è sempre più difficile essere a scuola una «Hoffnungsträger». Cosa sia un hoffnungsträger lo spiegava bene un uomo speciale che tentò di esserlo per tanto tempo, ma si arrese il 3 luglio 1995, impiccandosi a un albero di albicocche. 
      “A Petra Kelly più che a chiunque altro spettava anche individualmente l’appellativo col quale i «Grünen» nel loro insieme spesso erano stati caratterizzati: «Hoffnungsträger», portatori di speranze collettive. La giovane e minuta ex funzionaria socialdemocratica della Comunità europea (…) con foga quasi religiosa e con enfasi profetica aveva proclamato alcune verità semplici (…): che la pace si fa togliendo di mezzo le armi e gli apparati militari, che i diritti umani e di tutti gli esseri viventi non possono sottostare ad alcuna ragione di stato ed hanno carattere assoluto, che l’umanità deve optare se accelerare la corsa al suicidio (ed eco-cidio) o se preferisce un profondo cambiamento di rotta, magari doloroso per qualche rinuncia nel breve periodo, ma anticipatore di una nuova e più ricca qualità della vita. (…)
Forse è troppo arduo essere individualmente degli «Hoffnungsträger», dei portatori di speranze: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere. (…)
                                                                                 Alex Langer (da “Il Manifesto”, 21/10/1992)

«Hoffnungsträger», portatore di speranza: ecco ciò che dovrebbe essere un Docente. 
In classe, con i colleghi, nella società. Non è facile, parola di nostra Signora.

domenica 29 gennaio 2017

Denunciate gente, denunciate …

              Scrittore, traduttore e pubblicista - tra i suoi romanzi “Strane cose, domani” e “Il tempo dell’innocenza” -  Raul Montanari, tre anni fa, mentre percorreva in bici un incrocio in una via di Milano, è stato aggredito da un tizio perché aveva osato protestare con quest’ultimo che era passato col rosso, rischiando di investirlo. Montanari ha denunciato l’aggressore che, alla fine, messo di fronte alla prospettiva concreta di un processo, ha accettato di pagare un risarcimento. Decisiva per il buon esito dell’azione giudiziaria è stata la testimonianza di un motociclista, tra l’altro, maresciallo capo della Guardia di Finanza. Nella sua pagina FB, lo scrittore conclude con questo monito, valido non solo per i milanesi ma anche per noi palermitani, il racconto della sua particolare esperienza: “Una cosa vorrei dire a tutti: non abbiate paura!  Se assistete a un episodio come questo, offritevi di testimoniare. Se vi succede qualcosa del genere, denunciate!”
                                                                         Maria D’Asaro,   “100NOVE” n.4 del 26.1.2017

venerdì 27 gennaio 2017

Illumina

Una splendida creazione di Adriana



Illumina
La vita
Tessendo ogni giorno
Di perle un’allegria...
Colorata.

mercoledì 25 gennaio 2017

Il professore con un gallo al guinzaglio

Il prof. Renato Caccioppoli
      A lui è stato intitolato l’asteroide 9934, che si trova tra Marte e Giove, oltre che l’Istituto di Matematica dell’Università Federico II di Napoli: il prof. Renato Caccioppoli (1904-1959), insigne matematico napoletano, merita davvero di essere ricordato. 
Nato in un contesto familiare colto e vivace  - suo padre Giuseppe era un noto chirurgo napoletano; sua madre, Sofia Bakunina, era figlia del rivoluzionario russo Michail Bakunin; sua zia Maria Bakunin (Marussia), era docente di chimica - la vita del professore, anche se conclusasi purtroppo con un suicidio l'8 maggio 1959,  fu infatti geniale e scientificamente feconda: nel 1931 Renato Caccioppoli vinse, a soli 27 anni, la cattedra di Analisi algebrica all'Università di Padova. Nel 1934 tornò a Napoli per ricoprire la cattedra di Teoria dei gruppi; in seguito passò alla cattedra di Analisi superiore e, nel 1943, a quella di Analisi matematica. Nel 1938 divenne socio ordinario dell'Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli; nel 1958 divenne socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Con la sua opera, "e la sua personalità di uomo e di scienziato", esercitò "un'influenza decisiva sullo sviluppo dell'analisi matematica in Italia". 
     I suoi studi più importanti riguardano l'analisi funzionale e il calcolo delle variazioni. A partire dal 1930, si dedicò allo studio delle equazioni differenziali, utilizzando per primo l'approccio topologico-funzionale. Nel 1931 estese il teorema del punto fisso di Brouwer. Nel 1932 introdusse il concetto generale dell'inversione della corrispondenza funzionale.  Tra il 1933 e il 1938 applicò i suoi risultati alle equazioni ellittiche, stabilendo i limiti maggioranti per le loro soluzioni. Contemporaneamente studiò gli insiemi di funzioni definiti in Cn, dimostrando nel 1933 il teorema fondamentale sulle famiglie normali di variabili complesse. Nel 1935 dimostrò l'analiticità per le soluzioni delle equazioni ellittiche di classe C2. Il 1952 vide poi pubblicata la summa dei suoi lavori sull'area di una superficie e sulla teoria della misura. 
Il prof. con don Savino Coronato (dal blog di Pietro Congedo)
      Non meno interessante fu la sua vicenda umana: ateo dichiarato, il suo assistente più fidato, amico e collaboratore fu un prete, don Savino Coronato. Caccioppoli fu uno strenuo antifascista; il suo convinto antifascismo si espresse in atti di sarcastica presa in giro del regime: nel maggio del 1938 tenne un discorso contro Hitler e Mussolini, in occasione della visita del dittatore nazista a Napoli, insieme con la compagna, Sara Mancuso, prima pagò un'orchestrina in un bar per far risuonare nel locale le note della “Marsigliese”, inno nazionale della democratica Francia, dopodiché cominciò a contestare in un acceso discorso le basi del fascismo e del nazismo. 
Fu quindi arrestato; ma la zia,  Maria Bakunin, allora docente di Chimica all'Università di Napoli, riuscì a farlo scarcerare convincendo le autorità dell'incapacità di intendere e di volere del nipote. Caccioppoli fu comunque internato, ma potè continuare a seguire gli studi di Matematica e a suonare il pianoforte. 
Infine, poiché durante il fascismo, in nome di una presunta "salvaguardia della virilità", era vietato agli uomini passeggiare con cani di piccola taglia, il prof. Caccioppoli, come forma irridente e geniale di contestazione alle ridicole prescrizioni della dittatura, era solito camminare per le principali strade di Napoli con un gallo al guinzaglio. (Grazie a  mio figlio Riccardo e a Wikipedia per le informazioni).

Ecco infine come lo ricorda un suo alunno: l’ing. Pietro Congedo
"Nei riguardi del professore si riferivano aneddoti sulle strane abitudini di vita, sulla militanza politica e soprattutto sulla severità con cui usava punire gli studenti per quelle che a lui sembravano superficialità e approssimazioni. Ma si accennava anche alla sua genialità in campo matematico ed alla sua eccezionale competenza in musica e lingue straniere (parlava benissimo russo, tedesco, inglese e francese) (…) Avvicinatomi alla porta, lo vidi avanzare lentamente nel corridoio, lungo il muro alla sua destra. Quando fu più vicino mi colpì per il suo viso rugoso e magro, coronato da capelli neri e lisci che formavano un ciuffo sulla fronte spaziosa, sotto la quale vigilavano due occhi saettanti.  
Il professore, negli anni '50 (dal blog di Pietro Congedo)
    Fra le labbra sottili  aveva una sigaretta, che fumava con la stessa lentezza del proprio incedere. Non mi sorprese il suo abbigliamento, perché poco prima lo avevo sentito descrivere in maniera dettagliata da uno degli studenti: a causa della pioggia era intabarrato in un impermeabile liso e non proprio pulito, sotto il cui bavero aveva una sciarpa incrociata sul collo, che non si sapeva cosa nascondesse a causa della rigorosa abbottonatura del trench. (…)
Pur non prendendo mai la tessera del partito comunista, Caccioppoli fu molto attivo in politica, specie come animatore dell’organizzazione unitaria “Partigiani per la Pace”, che si batteva per il disarmo. Invitato come tale a parlare in un teatro di Bari, si presentò nell’ora stabilita e salì sul palcoscenico. Avendovi trovato per puro caso un pianoforte, si mise subito alla tastiera ed eseguì brani di Strauss, Beethoven, Debussy ecc., dinanzi ad un’affollata platea. Questa andò in visibilio quando, a conclusione del “concerto”, egli disse che per esprimere il significato della pace non c’era mezzo migliore della musica. (da: Il blog di Pietro Congedo)."

Nel 1992 il regista Mario Martone gli ha dedicato un film: Morte di un matematico napoletano. Luciano De Crescenzo, nel suo libro Storia della filosofia greca, cita Renato Caccioppoli come docente di un suo esame, al termine del quale ricevette un "21 di  scoraggiamento".

domenica 22 gennaio 2017

Egregio Andrea, mai 'na gioia ...

Egregio Andrea,
                                        
sicuramente ha giocato a sfavore del suo romanzo “Un bene al mondo” (Andrea Bajani  Einaudi, Torino, 2016, € 16,50) il fatto che mi sia stato presentato come un libro imperdibile e sconvolgente. Così, la mia tendenza di “Bastian contrario”, mi ha indotto a cercarne gli eventuali punti di debolezza.  Uno di essi, a mio sommesso avviso, è una certa “mono-tonia”; 134 pagine sono forse troppe se si ripete essenzialmente un unico concetto, un solo stato d’animo, una prevalente situazione esistenziale: l’indivisibile unità tra un bambino (poi uomo) e il suo dolore, personificato in una sorta di cagnolino. Secondo me, l’intuizione di base, la chiave di volta della narrazione, perfetta se realizzata in un racconto breve, risulta troppo esigua per un romanzo. Che comunque, nella sua mono-cromia contenutistico/espressiva, risulta ben scritto e contiene pagine di raffinato lirismo.
Mi consenta infine di scherzare un po’: riprendendo la frase di Giacomo Leopardi a Pietro Giordani (frase da lei riportata dopo i ringraziamenti, nell’ultima pagina del testo, «Questa povera città non è rea d’altro che di non avermi fatto un bene al mondo») magari il titolo più appropriato per il romanzo sarebbe potuto essere  il tormentone “Mai ‘na gioia” … 

venerdì 20 gennaio 2017

Ali per volare

Rino Martinez
            Vito Restivo, coordinatore in Sicilia dell’Associazione Internazionale Volontari Laici (LVIA: associazione di solidarietà e cooperazione internazionale, che si ispira ai valori evangelici e dal 1966 opera per lo sviluppo umano, contro le disuguaglianze mondiali); Enzo Sanfilippo, membro della Comunità dell’Arca siciliana, movimento nonviolento fondato da Lanza del Vasto, amico di Gandhi; Gregorio Porcaro, coordinatore regionale di Libera Sicilia, l'associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti; Rino Martinez, cantautore e fondatore dell'Associazione Missionaria Interculturale "Ali per volare", che ha promosso varie iniziative umanitarie in Africa; Nino Spitalieri, membro di Mondo di Comunità e Famiglia (MCF), associazione di promozione sociale che cura iniziative di “condomini” solidali: che bello vedere insieme pregare e progettare, a san Francesco Saverio, chiesa cattolica di Palermo, queste cinque persone speciali, capaci di cura per gli altri, soprattutto i più deboli e indifesi.  
Caro Marx, per fortuna la religione non è sempre l’oppio dei popoli …

                                                                        Maria D’Asaro, “100NOVE” n.3 del 19.1.2017

mercoledì 18 gennaio 2017

Briciole

Salici al tramonto  (Vincent Van Gogh)



Briciole
di esistenza
scovate a fatica
in sentieri di rovi.
Forza ...







lunedì 16 gennaio 2017

Bandiere tibetane a Pizzo Sella

Centro buddista a Pizzo Sella - Palermo (foto: "La Repubblica")
        Le villette abusive di Pizzo Sella, promontorio sul golfo di Mondello, sono uno dei tanti scempi di territorio palermitano operato dalla politica collusa con la mafia: edificate alla fine degli anni ’70 (con licenze concesse a una società intestata alla sorella del boss Michele Greco), hanno deturpato in modo orrendo la collinetta. Nessun Tribunale ha potuto ordinarne la demolizione, poiché nel 2015 è stato riconosciuto, a molti dei proprietari, l’acquisto degli immobili in buona fede. Ci proveranno le bandierine di preghiera tibetane a restituire armonia al promontorio: il Comune di Palermo ha assegnato infatti una villetta confiscata al centro Muni Gyana e ad altre sette associazioni buddiste. A dicembre scorso il centro è stato visitato dal Venerabile Lama Monlam, che ha ricordato i capisaldi della concezione buddista: la pratica nonviolenta, il rispetto e la compassione per tutti gli esseri viventi. Che, da Pizzo Sella, l’ottuplice sentiero illumini e benedica Palermo.                                                                                                         
                                                             Maria D’Asaro: “100NOVE” , n.2 del 12.1.2017

    

venerdì 13 gennaio 2017

La vera storia di Peter Pan

Chi sono i bambini smarriti? Perché tutti i bambini crescono, tranne Peter Pan? La sua vita, “fatta di voli, di fate, d’incanto” è davvero gioiosa? E’ possibile coniugare crescita e felicità? Nel saggio La vera storia di Peter Pan (Cittadella Editrice, Assisi, 2016, €9,50), lo psicoterapeuta Giovanni Salonia, il prof. Antonio Sichera e le docenti Dada Iacono e Gheri Maltese analizzano il celebre racconto di Barrie, “uno dei testi più incompresi e mistificati della letteratura per bambini”, offrendoci un’avvincente disamina delle ragioni della mancata crescita di Peter Pan e invitandoci a percorrere nuovi sentieri verso un altro “pensiero felice”.
Giovanni Salonia rilegge la storia fantastica di Peter alla luce della psicologia della Gestalt, secondo cui la “matrice della crescita è proprio ciò che accade tra i corpi, ovvero l’intercorporeità”. Peter Pan, senza il contatto caldo e fecondo col corpo materno, si è costruito un mondo a parte “senza una base o un ancoraggio concreto. Un mondo fantastico, per supplire alla mancanza del corpo della madre (e del padre). (…) Peter non sa che se fosse stato baciato da sua madre sarebbe cresciuto. Sarebbe diventato grande in modo gioioso. Se baciati, si cresce per condividere con altri la gioia del bacio, dello stare insieme.” Ecco allora l’efficace chiave interpretativa di tutto il racconto: "Chi è Peter Pan? Un bacio mancato. Sono i baci mancati (non-dati e non-ricevuti) che lasciano nel cuore una profonda nostalgia dell’infanzia”. E dunque: “Il segreto della crescita dei bambini sono i baci dei genitori. (…). Un bambino non baciato non saprà di avere un corpo, di essere incarnato nel tempo e nello spazio.” 
A questa sapiente interpretazione, segue quella del prof. Sichera che, attraverso la ricerca delle parole più frequenti del romanzo, ce ne offre un’illuminante analisi semantico/lessicale: il verbo «cry», con le sue complessive 181 ripetizioni, ci suggerisce che “il dire dei personaggi del capolavoro di Barrie appare (…) riportato ai registri ancestrali della voce infantile, dove il corpo è innanzitutto soggetto di grido, di lamento, di pianto”. Scopriamo poi che «time» è il sostantivo più diffuso, anche se nel racconto “il tempo è il vettore di una crisi (…): l’isola di Peter, la sua Neverland è alla lettera un mondo senza tempo, dove quel che accade è un’esperienza priva di ground”: infatti “a mancare in Peter Pan è proprio un vissuto integrale e unitivo del tempo in tutte le sue dimensioni”. Le 48 occorrenze di «house» e le 42 di «home» ci inducono poi a “immaginare tutta l’azione del romanzo come un grande epos infantile impiantato su una partenza e su un ritorno (…) come a dire che a casa bisogna tornare, a un certo punto, al di là di tutto”. E quindi “tutto l’edificio di Neverland e delle sue fatate avventure si basa su un desiderio ferito, che nasconde il proprio volto dolente e prostrato dietro la leggerezza di un volo, verso un’isola che è figura fiabesca di un esilio”. Peter Pan risulta allora, in ultima analisi, un “romanzo ostruito (…) che non ammette cioè nessuna evoluzione. La vita si ripete, ma rimane sospesa.” Come aveva sottolineato Salonia: “Wendy crescerà, avrà un cuore, ma perderà la spensieratezza, l’innocenza, e non riuscirà più a volare. (…)Peter invece non crescerà. Continuerà a far sognare un mondo che vola, ma rimarrà senza cuore. (…) La storia di Peter termina con l’amara convinzione che non è possibile congiungere infanzia e adultità, piacere e dovere, emozione e ragione, principio dionisiaco e principio apollineo, Wendy e Peter Pan.”
Ma se, anche a causa della sua devastante storia personale (uno dei fratelli, David, muore a 14 anni, rubandogli l’infanzia e l’affetto materno), James Matthew Barrie non è riuscito a far crescere Peter Pan, Giovanni Salonia ci propone una diversa via di salvezza: esorta mamme e papà, e i lettori tutti, a crescere essi per primi per favorire il volo dei bambini verso la vita adulta: così “Peter Pan è come un nuovo orizzonte aperto sulla crescita … degli adulti” e sugli “adultescenti” di oggi, così ben tratteggiati da Rosella De Leonibus nella prefazione.
Ci congediamo da quest’imperdibile saggio con la chiusa magistrale del prof. Sichera: “l’avverbio slightly”, con le sue 48 occorrenze (…) ci lascia con il sapore della leggerezza, di quella levità che secondo il narratore si paga con «l’heart-less», con l’essere senza cuore. Ma sappiamo bene che nel fondo inespresso del Peter Pan si annida la speranza (contro ogni speranza) di un volo leggero e spensierato, riscaldato dal fuoco dell’affetto e non segnato dal bisogno della fuga. Dove il cuore e la levità si incontreranno, lì Peter troverà il suo indicibile compimento. Ci sia dato, nella vita nostra, dei nostri compagni e dei nostri figli, di esserne testimoni”.   

                                                    
                                       Maria D’Asaro, “100NOVE” n.2 del 12.1.2017, pag.31

lunedì 9 gennaio 2017

Grazie, prof. Zygmunt Bauman

      Il 6 dicembre 2016 lo aspettavamo al Teatro Biondo, a Palermo, invitato dal CIDI (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti). Non ce l’ha fatta a esserci, perché non stava bene. Gli siamo debitori di tante importanti intuizioni sociologiche e filosofiche. 
Grazie, prof. Zygmut Bauman.

(citazioni tratte da wikiquote)
Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell'azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell'ingiusto, e così via. Nell'idea dell'armonia e del consenso universale, c'è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine questa è un'idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali. Probabilmente dobbiamo riconsiderare come incurabile la diversità del modo di essere umani.
L'attenzione verso il corpo si è trasformata in una preoccupazione assoluta e nel più ambito passatempo della nostra epoca. (da La società dell'incertezza)
L'estensione della responsabilità di cui «La società del rischio» ha bisogno e di cui non può fare a meno se non al costo di esiti catastrofici non può essere argomentata o favorita nei termini che sono più comuni e approvati nel nostro tipo di società: quelli dello scambio equo e della reciprocità dei benefici. Qualunque altra cosa si vuole che sia la morale cercata, dev'essere prima di tutto un'etica dell'autolimitazione. (da Le sfide dell'etica, Feltrinelli, Milano, 1996, p. 224)
La nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all'altezza della sfida. L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso. (da L'arte della vita, trad. it., Bari, 2009)

Paura liquida

La fiducia si trova in difficoltà nel momento in cui ci rendiamo conto che il male si può nascondere ovunque; che esso non è distinguibile in mezzo alla folla, non ha segni particolari né usa carta d'identità; e che chiunque potrebbe trovarsi a essere reclutato per la sua causa, in servizio effettivo, in congedo temporaneo o potenzialmente arruolabile. (p. 86)
Le reti di legami umani, un tempo radure ben protette e isolate nella giungla [...], si trasformano in zone di frontiera in cui occorre ingaggiare interminabili scontri quotidiani per il riconoscimento. [...] Complessivamente i rapporti cessano di essere àmbiti di certezza, tranquillità e benessere spirituale, per diventare una fonte prolifica di ansie. (p. 88)
La guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro i disastri di origine naturale o artificiale, sembra avere come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione quantitativa. (p. 102)
La comprensione nasce dalla capacità di gestire. Ciò che non siamo in grado di gestire ci è «ignoto»; e l'«ignoto» fa paura. La paura è un altro nome che diamo al nostro essere senza difese. (p. 119)
La generazione meglio equipaggiata tecnologicamente di tutta la storia umana è anche la generazione afflitta come nessun'altra da sensazioni di insicurezza e di impotenza. (p. 126)
I pericoli che temiamo più sono immediati e dunque è comprensibile che desideriamo rimedi anch'essi immediati: soluzioni «bell'e pronte» che diano sollievo sul momento, analgesici acquistabili anche senza prescrizioni mediche. [...] ci infastidiscono le soluzioni che ci chiedano di prestare attenzione ai nostri difetti e misfatti, che ci impongano – socraticamente – di «conoscere noi stessi». (pp. 142-143)
La vera guerra al terrorismo – che può essere vinta – non si conduce devastando ulteriormente le città e i villaggi semidistrutti dell'Iraq o dell'Afghanistan, ma cancellando i debiti dei Paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai prodotti di base di questi paesi, finanziando l'istruzione per i 115 milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi accesso alla scuola e conquistando, deliberando e attuando altri provvedimenti simili. (p. 137)
Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l'ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante. (p. 153)

sabato 7 gennaio 2017

Gente bella

   
      “Gente bella” è il titolo di un libro in cui, qualche anno fa, in pagine toccanti e incisive, Augusto Cavadi tracciava il profilo di alcuni esponenti de ‘il popolo del bene’: “quella folla anonima, dispersa sulla faccia della Terra, costituita da singole personalità attive nei campi più disparati (…) ed accomunate dalla convinzione che la felicità altrui è il metro della propria gioia di vivere”: citiamo tra essi don Carlo Molari, don Francesco Stabile, Simona Mafai, Giovanni La Fiura, Luigi Lombardi Vallauri, Franco Cassano, Amelia Crisantino; e i compianti Pietro Valdo Panascia, don Pino Puglisi, Francesco Lo Sardo, Giorgio La Pira, Peppino Impastato, tra chi non c’è più.  
     Parafrasando la celeberrima chiusa de “Le città invisibili” di Italo Calvino, l’augurio per l’anno appena iniziato è allora quello di essere capaci di riconoscere, in noi e fuori di noi, i semi del bene: e annaffiarli, e farli durare e dargli spazio.
                                                                         Maria D’Asaro:100NOVE” , n.1 del 5.1.2017

giovedì 5 gennaio 2017

Buon Anno da don Nunzio

         Ecco anche gli auguri di don Nunzio Galantino, segretario generale della CEI (Conferenza episcopale italiana). Articolo apparso  sul "IlSole24oreil 31.12.2016.

papa Francesco e don Nunzio (foto di Ornella Giambalvo)
           Sorte diversa è toccata al Capodanno rispetto al trattamento riservato al Natale. Del Capodanno tutti conoscono le ragioni che gli meritano il carattere della festa: segna  di un nuovo inizio. Anche se in tanti continuano ad attribuire al primo di gennaio – tra lo scaramantico e l’ingenuo – la forza di “principio principiante” piuttosto che quella meno pretenziosa di “principio numerico”. A proposito dell’ingenua illusione di chi considera il  primo giorno dell’anno come “principio principiante”, quand’ero ragazzo venivo invitato a comportarmi bene il primo di gennaio … avrei messo così (illudendomi!) una seria ipoteca di bontà su tutto l’anno. Delle vere ragioni che rendono eccezionale il giorno di Natale sembra invece che interessi davvero poco. Mi è capitato di seguire trasmissioni radiotelevisive sul Natale senza però sentire, nemmeno en passant, un richiamo a Gesù di Nazaret. Eppure non ci sarebbe Natale senza di Lui e senza un rimando alla sua nascita! Davvero, come ha detto con la solita franchezza  papa Francesco durante l’omelia della vigilia: «Questa mondanità ci ha preso in ostaggio il Natale: bisogna liberarlo!». Quasi a ricordarci l’amara realtà di un Natale divenuto ormai “altro” rispetto alla sua origine. Soppiantato e sostituito nelle sue ragioni più vere.(...).
        Al di là di tutto, ma senza per niente rassegnarmi al “Natale preso in ostaggio”, entrambe le ricorrenze continuano a rappresentare per me delle straordinarie opportunità. È così che mi piace andare incontro a eventi e ricorrenze che attraversano la mia esistenza. Ed è così che mi piace guardare alla conclusione di un anno e all’inizio di un anno nuovo. Se dalla fine di un anno mi sento invitato a guardare al tempo che è passato, l’anno che incomincia spinge il mio sguardo verso ciò che mi si apre dinanzi, in termini di possibilità e di progetti. «Il tempo – ho letto da qualche parte – viaggia con diversa andatura a seconda delle persone. Con alcuni il tempo procede al passo, con altri va al trotto, con altri ancora al galoppo. Ma con alcuni se ne sta del tutto immobile senza muovere un passo».  Ci sono  persone che vedono fuggire il loro tempo senza riuscire a occuparlo pienamente e c’è chi sta davanti a una giornata che non passa mai, quasi fosse eterna. Vivere il tempo è un’arte, un esercizio, un dovere. Non sempre però abbiamo la sensibilità che trasforma in arte giornate che si presentano sempre uguali a se stesse, non sempre possediamo le energie sufficienti per fare delle ore di cui disponiamo un esercizio che assicura la crescita nostra e degli altri e non sempre veniamo sorretti dalla forza di trasformare le nostre azioni in dovere assolto in maniera retta e consapevole. 
     Proprio per questo, tra i tanti sentimenti che affollano in queste ore il mio animo, c’è posto innanzitutto per la richiesta di scusa a Qualcuno. Sapermi però ancora in cammino e sapendo di poter ancora contare su ore, giorni e tempo mi piace vedere nel Capodanno il “giorno della promessa e dell’impegno” per una Verità da dire, una Vita da vivere, una Luce da accendere, una Strada da percorrere, una Gioia da donare, una Pace  da costruire e da diffondere, un Sacrifico da offrire. Possibilmente con discrezione ma anche con tanta determinazione.
        Davvero faticose si sono rivelate essere le pagine del calendario che ci apprestiamo a riporre! Raccontano di storie che solo la lontananza fisica dai luoghi che noi abitiamo rende appena sopportabili. Sono pagine che portano impressi i volti impauriti e sfigurati dei milioni di bambini, uomini e donne in fuga dalle loro case per sottrarsi a morte certa e  violenta. Pagine che trasmettono l’odore acre di corpi bruciati in chiese o case a causa della loro fede. Ricordano mestamente le lacrime di chi, fino a qualche giorno fa, è stato costretto a piangere la perdita della propria figlia, partita in cerca di realizzazione dei suoi sogni e ritrovatasi schiacciata, oltre che dal peso insopportabile di un camion, dalla violenta stupidità di un fanatico lasciato girovagare per le strade dell’Europa.
      Sulle pagine del calendario che ci apprestiamo a riporre si sono depositate tante macerie e tanta polvere, quella che il terremoto ha levata in alto. La polvere provocata dal crollo di interi paesi anche a causa della ingordigia di chi ha pensato bene (!) di arricchirsi rendendo meno sicuri edifici pubblici e abitazioni private. Per fortuna le pagine del calendario che stiamo per riporre portano anche il ricordo di vite salvate e di generosità mai riposta, di diffusa accoglienza capace di resistere ai discorsi interessati di sciacalli sempre pronti a catapultarsi sui frutti amari della violenza per contribuire a innalzare muri. 
        Alle pagine belle del vecchio calendario veniamo chiamati a dare continuità, rimettendoci in cammino per contribuire a rendere gli spazi che abitiamo luoghi di relazioni pulite e costruttive. Consapevoli che siamo ancora una volta destinatari di un dono. Il dono dei giorni, della vita fisica, della salute del corpo, dell’intelligenza e della brama di sapere posto in ciascuno di noi. Sicuri che davanti a noi si aprono possibilità nuove che attendono di essere accompagnate da buone ispirazioni e consapevoli che ciascuno di noi è chiamato a scrivere, per la parte che gli spetta, le pagine di un nuovo calendario.  
       A proposito, mi piacciono tanto i calendari che riportano solo l’indicazione della data e una breve frase che illumina la giornata. Mi piace pensare che lo spazio bianco di quelle pagine, giorno per giorno, attende di essere riempito da me, spendendomi perché  il lamento non  prevalga sullo stupore e le delusioni non schiaccino l’entusiasmo. Insomma per fare del tempo un tempo sempre nuovo da vivere, della storia una storia sempre nuova da inventare, della vita una vita sempre nuova da inseguire.
      Per questo «Possano le strade farsi incontro a te. Possa il vento essere alle tue spalle. Possa il sole splendere caldo sul tuo viso. Possa la pioggia cadere leggera sui tuoi campi. E, fino a quando non ci rincontreremo, possa Dio tenerti nel palmo della sua mano» (Antica benedizione gaelica).

martedì 3 gennaio 2017

A che gioco giochiamo

Buon 2017 a tutte/i.  Il primo post dell'anno è   dedicato ai cosiddetti  giochi da tavola.   Di cui non sono affatto appassionata: invano i miei figli hanno tentato di coinvolgermi in partite a Monopoli, Risiko e, in seguito, a Terra  Mystica,  Puerto Rico ed Agricola: comincio a sbadigliare dopo i primi cinque minuti di spiegazioni …  

              
        In compenso i miei ragazzi sono davvero campioni in questo ambito: a loro è dedicata questa breve rassegna ludica.

    
      Un gioco da tavolo è un gioco che richiede una ben definita superficie di gioco, che viene detta di solito tabellone o plancia (…); sulla superficie vengono solitamente piazzati e/o spostati i pezzi che, sempre in assenza di termini più specifici, si diranno segnalini. (…) In sostanza, si potrebbe includere in questa categoria qualunque gioco richieda un tavolo o superficie analoga, ma escludendo i giochi di carte tradizionali, che sono un mondo a sé; oppure ci si può rifare all'espressione (tutto sommato non meno vaga) "giochi in scatola".
     I giochi da tavolo rappresentano un fenomeno piuttosto diffuso nei paesi occidentali come momento di aggregazione, sebbene la loro importanza nella vita sociale dipenda anche dalle tradizioni nazionali. In Germania e nei paesi di lingua tedesca, per esempio, la cultura del gioco da tavolo è molto più diffusa che in Italia. Non a caso proprio la Germania ospita il premio Spiel des Jahres (gioco dell'anno), che è il più importante del mondo.
     Questo genere di giochi ha una notevole importanza come intrattenimento per la famiglia, specialmente per quelli che si prestano a essere giocati a tutte le età; ma non mancano giochi da tavolo le cui regole possono risultare troppo complicate persino per molti adulti (come alcuni wargame), o che richiedono un ragionamento attento e approfondito (come molti classici giochi astratti quali gli scacchi e la dama).

        Alcuni giochi possono essere considerati come simulazioni, più o meno semplificate, di aspetti della vita e del mondo reale, favorendo la finzione e il gioco di ruolo. Esempi celebri di giochi di simulazione includono Monopoli (che è una simulazione del mondo del mercato immobiliare), Cluedo (in cui i giocatori impersonano investigatori sulla scena di un delitto), o RisiKo!, il più celebre e diffuso fra le molte migliaia di giochi che simulano la guerra e la geopolitica. (…).
         
   D'altro canto, alcuni giochi non rappresentano alcuna situazione reale, o alludono alla realtà solo molto vagamente; vengono solitamente detti giochi astratti. Esempi classici includono gli scacchi, la dama, la dama cinese, il go e il reversi, il domino, il mahjong, il mancala, il backgammon. Molti di questi giochi hanno forti connotazioni geometriche o matematiche. In questa categoria si possono anche classificare i giochi di parole come Scarabeo, Verba Game oppure Scrabble e i giochi di indovinelli e domande come Trivial Pursuit.
Giampaolo Dossena, uno tra i massimi esperti di giochi in Italia, ha proposto la suddivisione dei giochi in giochi di ambientazione e di simulazione. I primi sono i giochi il cui regolamento non ha nessun legame specifico con il contesto rappresentato (per es. Monopoli), i secondi, viceversa, rappresentano ricostruzione in meccanismi e procedure di gioco dell'ambito reale di ispirazione (per es. i wargame).

         Un'altra suddivisione dei giochi può essere fatta in ragione della rilevanza dell'elemento casuale, e quindi della fortuna, nelle dinamiche del gioco. Nei giochi a informazione completa la fortuna è in genere completamente assente; una buona parte dei giochi astratti (scacchi, dama, e così via) ha questa caratteristica. Questi giochi hanno una meccanica completamente deterministica: in ogni momento, la situazione di gioco dipende esclusivamente dalle scelte via via operate dai giocatori, e i giocatori hanno tutte le informazioni necessarie per prevedere le conseguenze di tali scelte.
L'estremo opposto è costituito dai giochi di pura fortuna, dove il giocatore in effetti non ha la possibilità di eseguire alcuna scelta strategica; si tratta normalmente di giochi per bambini, come il gioco dell'oca. La maggior parte dei giochi per adulti con componente casuale, invece, si possono classificare come giochi statistici. In questo caso l'elemento casuale è presente ma la sua rilevanza viene ridimensionata dalla legge dei grandi numeri ed è possibile agire strategicamente sulla base di considerazioni statistiche.
I Coloni di Catan
Un altro gioco tipicamente statistico è I coloni di Catan, in cui la probabilità di ottenere un certo risultato casuale è addirittura indicata esplicitamente sul tabellone di gioco. (...)
Sebbene alcuni puristi considerino l'elemento casuale nei giochi poco desiderabile, altri sostengono che il caso, per lo meno nei giochi di tipo statistico, possa condurre a problemi strategici più interessanti e ricchi di sfaccettature attraverso concetti come il valore atteso e la gestione del rischio.
(fonte:Wikipedia, da qui )


Un’altra “storica” distinzione tra i giochi da tavola è quella tra American Games e German Games: nei primi la sorte (lancio dei dadi, ad esempio) ha un ruolo molto forte, l’ambientazione è determinante, i giocatori sono molto coinvolti emotivamente: le persone con cui si gioca sono “nemici da battere”. Nei giochi americani la logica è: “annienta l’avversario prima che l’avversario annienti te”. Esempio tipico di gioco americano è RisiKo. 
American game: RisiKo

German Game: Agricola 
Da qualche decennio, i tedeschi hanno esportato una nuova filosofia ludica: dopo che hanno perso due guerre mondiali, hanno lanciato sul mercato giochi con un nuovo assetto ludico/strategico: l’avversario non è più un nemico da annientare, ma un rivale con cui confrontarsi nell’ambito di “risorse” e strategie di gioco da saper gestire. Scompaiono i dadi (l’elemento casuale), compaiono appunto le risorse, da aumentare e/o governare con intelligente attenzione. Ogni giocatore è impegnato a costruire, pianificare e portare avanti la sua strategia che lo porterà alla vittoria se risulterà migliore di quella degli altri. Esempi tipici di giochi “tedeschi” sono Puerto Rico e Agricola. (fonte: mio figlio Riccardo)
  
Ecco poi due siti che si occupano di giochi da tavola (ringrazio Luciano e Riccardo per le segnalazioni):

La tana dei Goblin

Gioconauta

Mio figlio Riccardo con  Agzaroth ...

























Se siete curiosi di conoscere quando e dove è nato RisiKo, cliccate qui

Se avete tempo e voglia di ascoltare il grandissimo John Nash, qui: (grazie Slec)