Chi sono i bambini smarriti? Perché tutti i bambini
crescono, tranne Peter Pan? La sua vita, “fatta
di voli, di fate, d’incanto” è davvero gioiosa? E’ possibile coniugare
crescita e felicità? Nel saggio La vera
storia di Peter Pan (Cittadella Editrice, Assisi, 2016, €9,50), lo
psicoterapeuta Giovanni Salonia, il
prof. Antonio Sichera e le docenti Dada Iacono e Gheri Maltese analizzano il
celebre racconto di Barrie, “uno dei
testi più incompresi e mistificati della letteratura per bambini”, offrendoci
un’avvincente disamina delle ragioni della mancata crescita di Peter Pan e
invitandoci a percorrere nuovi sentieri verso un altro “pensiero felice”.
Giovanni Salonia rilegge la storia fantastica di
Peter alla luce della psicologia della Gestalt, secondo cui la “matrice della crescita è proprio ciò che
accade tra i corpi, ovvero l’intercorporeità”. Peter Pan, senza il contatto
caldo e fecondo col corpo materno, si è costruito un mondo a parte “senza una base o un ancoraggio concreto. Un
mondo fantastico, per supplire alla mancanza del corpo della madre (e del
padre). (…) Peter non sa che se fosse stato baciato da sua madre sarebbe
cresciuto. Sarebbe diventato grande in modo gioioso. Se baciati, si cresce per
condividere con altri la gioia del bacio, dello stare insieme.” Ecco allora
l’efficace chiave interpretativa di tutto il racconto: "Chi è Peter Pan? Un bacio mancato. Sono i baci mancati (non-dati
e non-ricevuti) che lasciano nel cuore una profonda nostalgia dell’infanzia”. E
dunque: “Il segreto della crescita dei
bambini sono i baci dei genitori. (…). Un bambino non baciato non saprà di
avere un corpo, di essere incarnato nel tempo e nello spazio.”
A questa sapiente interpretazione, segue quella del prof. Sichera che, attraverso la ricerca delle parole più frequenti del romanzo, ce ne offre un’illuminante analisi semantico/lessicale: il verbo «cry», con le sue complessive 181 ripetizioni, ci suggerisce che “il dire dei personaggi del capolavoro di Barrie appare (…) riportato ai registri ancestrali della voce infantile, dove il corpo è innanzitutto soggetto di grido, di lamento, di pianto”. Scopriamo poi che «time» è il sostantivo più diffuso, anche se nel racconto “il tempo è il vettore di una crisi (…): l’isola di Peter, la sua Neverland è alla lettera un mondo senza tempo, dove quel che accade è un’esperienza priva di ground”: infatti “a mancare in Peter Pan è proprio un vissuto integrale e unitivo del tempo in tutte le sue dimensioni”. Le 48 occorrenze di «house» e le 42 di «home» ci inducono poi a “immaginare tutta l’azione del romanzo come un grande epos infantile impiantato su una partenza e su un ritorno (…) come a dire che a casa bisogna tornare, a un certo punto, al di là di tutto”. E quindi “tutto l’edificio di Neverland e delle sue fatate avventure si basa su un desiderio ferito, che nasconde il proprio volto dolente e prostrato dietro la leggerezza di un volo, verso un’isola che è figura fiabesca di un esilio”. Peter Pan risulta allora, in ultima analisi, un “romanzo ostruito (…) che non ammette cioè nessuna evoluzione. La vita si ripete, ma rimane sospesa.” Come aveva sottolineato Salonia: “Wendy crescerà, avrà un cuore, ma perderà la spensieratezza, l’innocenza, e non riuscirà più a volare. (…)Peter invece non crescerà. Continuerà a far sognare un mondo che vola, ma rimarrà senza cuore. (…) La storia di Peter termina con l’amara convinzione che non è possibile congiungere infanzia e adultità, piacere e dovere, emozione e ragione, principio dionisiaco e principio apollineo, Wendy e Peter Pan.”
A questa sapiente interpretazione, segue quella del prof. Sichera che, attraverso la ricerca delle parole più frequenti del romanzo, ce ne offre un’illuminante analisi semantico/lessicale: il verbo «cry», con le sue complessive 181 ripetizioni, ci suggerisce che “il dire dei personaggi del capolavoro di Barrie appare (…) riportato ai registri ancestrali della voce infantile, dove il corpo è innanzitutto soggetto di grido, di lamento, di pianto”. Scopriamo poi che «time» è il sostantivo più diffuso, anche se nel racconto “il tempo è il vettore di una crisi (…): l’isola di Peter, la sua Neverland è alla lettera un mondo senza tempo, dove quel che accade è un’esperienza priva di ground”: infatti “a mancare in Peter Pan è proprio un vissuto integrale e unitivo del tempo in tutte le sue dimensioni”. Le 48 occorrenze di «house» e le 42 di «home» ci inducono poi a “immaginare tutta l’azione del romanzo come un grande epos infantile impiantato su una partenza e su un ritorno (…) come a dire che a casa bisogna tornare, a un certo punto, al di là di tutto”. E quindi “tutto l’edificio di Neverland e delle sue fatate avventure si basa su un desiderio ferito, che nasconde il proprio volto dolente e prostrato dietro la leggerezza di un volo, verso un’isola che è figura fiabesca di un esilio”. Peter Pan risulta allora, in ultima analisi, un “romanzo ostruito (…) che non ammette cioè nessuna evoluzione. La vita si ripete, ma rimane sospesa.” Come aveva sottolineato Salonia: “Wendy crescerà, avrà un cuore, ma perderà la spensieratezza, l’innocenza, e non riuscirà più a volare. (…)Peter invece non crescerà. Continuerà a far sognare un mondo che vola, ma rimarrà senza cuore. (…) La storia di Peter termina con l’amara convinzione che non è possibile congiungere infanzia e adultità, piacere e dovere, emozione e ragione, principio dionisiaco e principio apollineo, Wendy e Peter Pan.”
Ma se, anche a causa della sua devastante storia
personale (uno dei fratelli, David, muore a 14 anni, rubandogli l’infanzia e l’affetto
materno), James Matthew Barrie non è riuscito a far crescere Peter Pan,
Giovanni Salonia ci propone una diversa via di salvezza: esorta mamme e papà, e
i lettori tutti, a crescere essi per primi per favorire il volo dei bambini
verso la vita adulta: così “Peter Pan
è come un nuovo orizzonte aperto
sulla crescita … degli adulti” e sugli “adultescenti” di oggi, così ben
tratteggiati da Rosella De Leonibus nella prefazione.
Ci congediamo da quest’imperdibile saggio con la
chiusa magistrale del prof. Sichera: “l’avverbio
slightly”, con le sue 48 occorrenze (…) ci lascia con il sapore della
leggerezza, di quella levità che secondo il narratore si paga con
«l’heart-less», con l’essere senza cuore. Ma sappiamo bene che nel fondo
inespresso del Peter Pan si annida la speranza (contro ogni speranza) di un
volo leggero e spensierato, riscaldato dal fuoco dell’affetto e non segnato dal
bisogno della fuga. Dove il cuore e la levità si incontreranno, lì Peter
troverà il suo indicibile compimento. Ci sia dato, nella vita nostra, dei
nostri compagni e dei nostri figli, di esserne testimoni”.
Maria D’Asaro, “100NOVE” n.2 del 12.1.2017, pag.31
Molto bella questa recensione, ricca di spunti pedagogici, ma anche filosofici (in particolare il riferimento nietzschiano mi ha colpito: "principio dionisiaco e principio apollineo, Wendy e Peter Pan"). Grazie, un caro saluto, Rossana.
RispondiEliminaRossana: grazie dell'apprezzamento! Sono stati davvero bravi gli autori e le autrici. Ricambio saluti cordiali, Maria.
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