Palermo – “Se Katherine dice che i calcoli vanno bene, allora io vado” – questa la condizione posta da John Glenn, l’astronauta statunitense che eguagliò l’impresa del russo Jurij Gagarin, rimanendo in orbita attorno alla terra per alcune ore.
Infatti, quando nel 1962 con la missione Mercury la NASA utilizzò per la prima volta i calcolatori elettronici per programmare il primo volo orbitale americano, venne chiesto alla matematica Katherine Johnson di verificare a mano, col solo ausilio della sua calcolatrice meccanica, i dati delle macchine elettroniche, poiché Glenn si rifiutava di volare, se lei non avesse dato il suo ok.
Perché era davvero brava con i numeri, Katherine: aveva mostrato sin da bambina il suo spiccato talento per la matematica, conseguendo il diploma di scuola superiore a 14 anni e ottenendo magna cum laude la laurea in matematica a soli 18 anni. Nel 1938 è l’unica donna afroamericana a superare le barriere segregazioniste dell'Università della Virginia Occidentale, accedendo a una specializzazione universitaria sino ad allora preclusa agli studenti di colore.
Dal 1953 Katherine cominciò a lavorare per la NASA. Fino al 1958 svolse l'attività di "calcolatrice", lei e le altre donne afro-americane nel pool di calcolo venivano appellate "calcolatrici di colore" (coloured computers) e soggette a discriminazioni sul posto di lavoro, come il dover lavorare, pranzare e usare servizi igienici diversi dai bianchi.
Nonostante la fatica di lavorare in un ambiente pieno di pregiudizi e di limitazioni, Katherine riuscì a essere ammessa, unica donna e nera per giunta, nel team di lavoro della stanza dei bottoni, quello che progettava le prime missioni nello spazio. E’ proprio lei, nel programma Mercury, a calcolare le traiettorie del primo volo spaziale del 1959, assegnato ad Alan Shepard, e a verificare poi a mano i calcoli del volo orbitale di John Glenn.
Dopo il successo delle prime missioni spaziali, dovuto anche alla straordinaria precisione dei suoi calcoli, Katherine diviene una delle figure di spicco della Nasa: sino al 1986 lavora per quasi tutte le missioni spaziali: la missione Apollo 11 del 1969 con il leggendario sbarco dell’uomo sulla Luna, le missioni dello Shuttle, e dà infine un significativo contributo agli studi teorici per le sonde da inviare su Marte.
Dopo il successo delle prime missioni spaziali, dovuto anche alla straordinaria precisione dei suoi calcoli, Katherine diviene una delle figure di spicco della Nasa: sino al 1986 lavora per quasi tutte le missioni spaziali: la missione Apollo 11 del 1969 con il leggendario sbarco dell’uomo sulla Luna, le missioni dello Shuttle, e dà infine un significativo contributo agli studi teorici per le sonde da inviare su Marte.
La sua storia, assieme a quella delle colleghe Dorothy Vaughan e Mary Jackson, è stata magistralmente raccontata nel libro “Hidden Figures”, da cui nel 2016 è stato tratto il film “Il diritto di contare”, che ha reso Katherine, Dorothy e Mary finalmente celebri in tutto il mondo.
E’ stata persino creata una bambola Barbie con il suo nome e le sue sembianze, come esempio per le bambine di oggi. Nel 2015 il presidente Barack Obama l’ha insignita della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile americana.
Katherine Coleman (Johnson è il nome del secondo marito, sposato dopo essere rimasta vedova del primo) ci ha lasciati il 24 febbraio scorso, a 101 anni.
In prossimità dell’otto marzo, vogliamo ricordarla proponendola come modello luminoso per tutte le donne: perché abbiano fiducia nella propria intelligenza e nei propri piccoli grandi talenti. E lottino con serietà e determinazione per ottenere il diritto di “contare” e di costruire assieme agli uomini un mondo migliore.
Maria D’Asaro, 01.03.2020, il Punto Quotidiano
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