venerdì 19 luglio 2024

Rita, settima vittima di via D’Amelio

Murales di Rita Atria, realizzato nella scuola media G.A.Cesaro - Palermo
       Palermo – Il 19 luglio 1992, a Palermo, nei pressi dei numeri civici 19/21 di via Mariano D’Amelio, alle ore 16.58 una Fiat 126 contenente circa 90 chili di esplosivo al plastico uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a morire in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sebbene vari processi non siano ancora riusciti a fare piena luce su depistaggi e su alcuni lati oscuri della strage, è ormai certo che l’attentato, avvenuto appena 57 giorni dopo la strage di Capaci, venne deciso e pianificato dalla cupola mafiosa di allora, come ritorsione per la sentenza della Cassazione del 30 gennaio 1992 che confermava a Riina (allora ancora latitante) e a tanti altri mafiosi gli ergastoli sanciti dal Maxiprocesso di Palermo.
Non tutti ricordano però che la strage di via d’Amelio causò un’altra vittima: infatti, sette giorni dopo, il 26 luglio, si tolse la vita a soli 17 anni la testimone di giustizia Rita Atria.
     Chi era Rita? Nata nel 1974, era figlia di un pastore di Partanna (comune della Sicilia occidentale, in provincia di Trapani), affiliato a Cosa nostra. La ragazzina aveva solo undici anni quando suo padre fu ucciso in un agguato, il 18 novembre 1985. Rita allora si strinse al fratello Nicola e a sua cognata, la giovane Piera Aiello. Anche Nicola faceva parte di Cosa Nostra e Rita venne a conoscenza di particolari importanti sugli affari e le attività della mafia a Partanna. 
Rita Atria
       Nel giugno 1991 anche Nicola Atria venne ucciso. La moglie Piera, che assistette all'omicidio del marito, decise allora di denunciare gli assassini e collaborare con la polizia. 
Nel novembre 1991, Rita seguì l’esempio della cognata: si rivolse quindi alla Magistratura, informando gli organi giudiziari dei reati mafiosi di cui era a conoscenza, chiedendo giustizia per l’uccisione del padre e del fratello.
    Venne ascoltata dal giudice Paolo Borsellino, all'epoca procuratore di Marsala, al quale Rita si legò come a un padre. Le deposizioni di Rita e di Piera, insieme ad altre testimonianze, permisero di arrestare numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e di avviare un'indagine sul deputato democristiano Vincenzino Culicchia, per trent'anni sindaco di Partanna. 
    Rita pagò cara la sua collaborazione con la giustizia: fu abbandonata dal fidanzato Calogero e venne isolata a Partanna anche dai suoi familiari perché, secondo loro, aveva disonorato la famiglia con le sue rivelazioni alla Magistratura.  Fu quindi costretta a trasferirsi a Roma, in località segreta e sotto falso nome, e a vivere isolata dal resto del mondo. Il giudice Borsellino cercava davvero di esserle vicino come un padre putativo.
Piera Aiello
    La sua morte fu per lei una tragedia. Ecco cosa lasciò scritto nel suo diario: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura, ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici… la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”. 
    Anche se ancora qualcuno avanza dubbi sul suo suicidio, la domenica successiva alla morte del giudice Paolo, Rita si è uccisa lanciandosi dal settimo piano del palazzo dove abitava, a Roma. 
Per avere un’idea dell’immensa solitudine di Rita, che rinunciò ai suoi affetti e alle sue sicurezze per collaborare con la Magistratura, si ricorda che la madre, Giovanna Cannova, la ripudiò ufficialmente da viva e, come se non bastasse, distrusse poi a martellate la lapide dove era stata sepolta. 
    A questa ragazza coraggiosa e sfortunata che, dopo l’approvazione della legge n. 45 del 13 febbraio 2001, può essere definita testimone di giustizia, è intitolata a Bologna l'aula magna del Liceo Scientifico Copernico, un parco giochi a Scordia, in provincia di Catania, un capannone confiscato alla criminalità a Calendasco, in provincia di Piacenza e, infine, un punto di ritrovo presso l'istituto tecnico commerciale Calamandrei di Roma, dove la figura di Rita viene ‘presentata’, nel primo giorno di scuola, ai ragazzi delle prime classi. 
    “Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia - scriveva Rita - che al di fuori c’è un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quello o perché hai pagato per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo”.
Grazie, Rita. Oggi, senza di te e senza il giudice Paolo Borsellino, l’Italia è più triste e più povera…

Maria D'Asaro, 14.7.24, il Punto Quotidiano



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