Il gioco della mosca lo si praticava da maggio a settembre, quando il sole asciugava la spiaggia inumidita dalle piogge d’autunno. Ci si distendeva, sei o dieci ragazzi, in cerchio a pancia sotto sulla sabbia e e ognuno metteva al centro, all’altezza della propria testa, un monetina da venti centesimi. Sulla propria monetina ogni giocatore abbondantemente sputava.
Poi si restava immobili, magari per ore, in attesa che una mosca andasse a posarsi su un ventino. Il proprietario del ventino prescelto dalla mosca vinceva i soldi puntati da tutti gli altri.
Si dava il caso che, durante tutta una mattinata o un pomeriggio, nessuna mosca si facesse viva: in tale circostanza, il gioco veniva ripetuto paro paro il giorno seguente.
Era ammesso il condimento della saliva, prima dello sputo, con odori e sapori gradevoli alle mosche quali miele, succo d’uva, zucchero. Bertino Zappulla per qualche giorno ebbe una fortuna strepitosa, poi scoprimmo che condiva lo sputo con la sua stessa merda. Venne squalificato.
Severamente proibita, durante il gioco, la lettura: il fruscio delle pagine voltate avrebbe potuto indurre la mosca alla fuga o a un cambiamento di rotta. Parimenti proibito parlare.
Sono fermamente persuaso che nel corso di questo gioco, durato anni, si sono decisi i nostri destini individuali: troppo tempo impegnavamo nella pura meditazione su noi stessi e il mondo.
E così qualcuno divenne gangster, un altro ammiraglio, un terzo uomo politico. Per parte mia, a forza di raccontarmi storie vere o inventate in attesa della mosca, diventai regista e scrittore.
Andrea Camilleri, Il gioco della mosca, Sellerio, Palermo, 1999, pagg 84,85
Quello che usava la merda scommetto politico.
RispondiElimina@Franco: mi sa che vinci la scommessa...
RispondiElimina