sabato 22 ottobre 2016

Dimmi che Etica pratichi e ti dirò chi sei

          Se, parafrasando il celebre film di Woody Allen, cerchiamo … qualche altra cosa che avremmo voluto sapere sull’etica e non abbiamo mai osato chiedere, ecco in soccorso Augusto Cavadi con Etica, (Aracne editrice, Ariccia, 2016, €7), libretto che, malgrado la veste umile e “ristretta”, ci offre significativi bagliori di luce nel sentiero impervio, e spesso confuso, delle scelte morali. Come illustrato nella pagina iniziale di presentazione, la finalità della collana di cui il saggio fa parte è quella di fornire ai lettori un contributo semplice e chiaro alla comprensione di parole/chiave della convivenza sociale, poiché, evitando pregiudizi e fraintendimenti, una loro condivisa “risemantizzazione” è condizione necessaria per la costruzione di una solida casa comune.
         Non a caso l’autore ci fa innanzitutto riflettere sull’ambivalenza semantica della parola “etica”, da alcuni intesa come un insieme di comportamenti pratici, da altri come insieme di idee-guida che orientano i comportamenti; di conseguenza “Non c’è mai chi può vantarsi di avere un’etica rimproverando all’altro di non averne nessuna.” Cavadi evidenzia poi come ogni etica sia “relativa”: a un punto di vista, a un luogo, a un tempo, a un contesto storico; ma ci invita a non confondere tale inevitabile relatività con l’indifferentismo: “Le etiche sono di fatto molte, ma ciò non significa che, dal punto di vista del giudizio (…) siano della stessa qualità”. Ma cosa fa sì che l’individuo scelga un’etica piuttosto che un’altra? “Tutto dipende – argomenta Cavadi – da ciò che uno pensa dell’essere umano e dell’universo; (…) il cerchio grande (la nostra filosofia generale) condiziona il cerchio piccolo interno (la nostra etica personale) e viceversa”. Dunque “Dimmi come concepisci l’uomo e ti dirò qual è la tua etica”.
       Ecco allora la domanda/chiave: quale etica concorre maggiormente alla nostra realizzazione? Non quella impostaci da una presunta divinità o da una morale razionalista, o basata sull’utile o sulla sensazione del momento. A questo punto, viene chiamato in causa Aristotele, il filosofo che, già nel quarto secolo avanti Cristo, suggeriva la prospettiva di un’etica “eudaimonistica”, in grado cioè di dare felicità. E Cavadi, d’accordo con Aristotele, intende l’etica come l’arte di avvicinarsi il più possibile alla felicità, cioè al compimento delle molteplici e irrinunziabili potenzialità della persona umana, legate alla realizzazione delle sue dimensioni costitutive, cioè la corporeità, la capacità di pensare e di amare: “Se l’essere umano è questo fascio di possibilità, il senso del suo esistere nel cosmo è per certi versi da scoprire e per altri da inventare”.
        Di conseguenza: “Vivere eticamente può significare dunque (…) orientare le proprie energie verso la pienezza della propria umanità: ciò che mi arricchisce davvero è morale; ciò che mi arricchisce apparentemente è immorale”. L’autore ci invita poi a riflettere sui comportamenti idonei a favorire il nostro sviluppo armonico e a operare di conseguenza scelte etiche “felicitose” in ambiti decisivi per la nostra vita quali il lavoro, l’affettività, la conoscenza, la politica, la pratica religiosa e l’economia.
           Riguardo al rapporto tra etica e conoscenza, Cavadi, con Gramsci, afferma che «Tutti gli uomini sono intellettuali, anche se non tutti svolgono nella società le funzioni dell’intellettuale»: bisogna allora leggere, esplorare e conoscere, perchè senza una buona base di consapevolezza di sé, della natura e della storia “procederemo come naufraghi su una zattera senza bussola”; riguardo all’etica del lavoro ci ricorda che “Nessuna società potrà considerarsi equa sino a quando ogni cittadino sarà davanti a un bivio: o la miseria del disoccupato o la sopravvivenza economica grazie a un lavoro qualsiasi”; l’autore, ribadendo poi lo stretto legame tra etica ed economia (“l’economia è la cartina di tornasole di ogni etica”), afferma che l’etica ha il dovere di denunziare i vizi capitali dell’economia moderna; e, con Luca Grecchi, sottolinea la negatività morale dell’attuale sistema capitalistico, che ritiene necessario «tenere un numero enorme di persone … in una condizione di precarietà di lavoro e di vita (…) e promuovere un modello di sviluppo in cui i più ricchi diventano sempre più ricchi, senza curarsi delle condizioni di vita dei più poveri». 
           Trattando il rapporto tra etica e politica, il testo ci ricorda che un gesto “acquista i connotati di un’azione politica … quando decidiamo di aiutare gli altri non uno ad uno ma come categoria sociale; (…) secondo un progetto di ampio respiro; mirando (…) ad effetti duraturi anche al di là della nostra partecipazione”; e riesce persino a commuoverci quando ci esorta a trasferire nell’azione politica le caratteristiche dell’amore/dono: “l’amore che non cerca altra ricompensa che vedere rifiorire la vita altrui, segnata dalle ferite della natura e della storia”.  
       
                                                           Maria D’Asaro:100nove” n.39 del 20.10.2016 pag.35

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