domenica 17 agosto 2025

La prof Ornella Giambalvo e il pozzo a Usolanga (Tanzania)

        Palermo – La professoressa Ornella Giambalvo, docente ordinario di Statistica sociale all’Università di Palermo, una delle circa 3.600 donne (quasi il 19% del totale) che ricoprono quest’importante ruolo nelle università italiane, l’ho già intervistata nell’aprile 2014 (qui il link).
      Mi avevano allora colpita e commossa il suo impegno concreto nel volontariato a Palermo, l’amicizia speciale con Lucio Dalla e il racconto di un viaggio in Tunisia nel 1998, con il ‘miracolo’ di una luna immensa che illuminava sette persone ‘perse’ nel deserto del Sahara, senza tablet e telefonini, in compagnia solo di un ragazzino del luogo e quattro dromedari.
      Ornella è una viaggiatrice instancabile e appassionata: a casa sua c’è un pannello/planisfero con tante bandierine, una per ogni luogo del pianeta che ha visitato. Ma, a marzo scorso, andare in Tanzania, a Usolanga (circa 70 km da Iringa, città del centro-sud del Paese), uno dei ventidue villaggi appartenenti alla missione cattolica di Ismani, è stato un viaggio speciale… E non certo perché, oltre all’aereo per Addis Abeba e poi per Dar es Salaam, ci sono volute quindici ore di macchina in strade sterrate per arrivarci…

Professoressa Giambalvo,  racconti da cosa è nato questo viaggio?

A questa domanda potrei rispondere almeno in 10 modi. Mi limito a 3: dal mio desiderio di conoscenza; dalla mia voglia di “costruire” il bene comune; da don Saverio Catanzaro. Sintetizzando queste tre risposte posso dirti che della missione di Ismani sento parlare da quando sono nata. Don Saverio Catanzaro, prete della diocesi di Agrigento e fondatore della missione, è amico della mia famiglia dal 1962, da prima della mia nascita. Don Saverio, oggi novantenne ma ancora tenace e dinamico, con l’energia di un giovanotto, è partito in missione a Ismani nel novembre del 1972. E quando tornava per un periodo limitato dalla ‘sua missione’, ci raccontava quello che stava facendo (costruiva scuole, chiese, pozzi, casette, strade...), del servizio e della disponibilità offerta alle persone povere. Io lo ascoltavo sempre in religioso silenzio e immaginavo… i miei coetanei di Ismani, la scuola di Ismani… la vita, là. 
Avevo forse dieci anni quando, a un tizio che lo aveva apostrofato così: “Don Saverio, come si sta laggiù con gli zulù?!”  lo sentii rispondere con una battuta secca e definitiva: “Mi sa che i veri zulù siete voi…” che dà l’idea del suo spirito battagliero.
A gennaio, alla sua ennesima proposta ad accompagnarlo in Tanzania, ho detto sì. 
Un sì convintissimo, tanto da lasciare stupito anche lui.

Qual è stata la situazione più difficile da affrontare?

In generale, lasciare i bambini per strada che ci facevano festa, vedere malati in paziente e fiduciosa attesa di cure, incrociare occhi desiderosi di attenzione e pieni di povertà. Fra tutte, la delusione dei bimbi quando andavamo via, era dura da digerire.
E poi mi ha colpito vedere un bambino arrivato con una maglietta bucata, tutta toppe, che non andava bene neppure come strofinaccio, indossare con occhi luccicanti la maglietta azzurra che gli era stata donata. Per riprendere poi da terra la sua vecchia maglietta lercia e strappata… Che gli rividi addosso qualche giorno dopo. Evidentemente la maglietta azzurra era un dono troppo prezioso, da custodire bene, centellinandone l’utilizzo.

E il momento più bello?   

È difficile scegliere! Quello che mi ha insegnato di più è quando un papà, durante la visita medica della figlia, vedendo che ero rimasta in piedi nella sua capanna, immersa in un campo di girasoli, è corso fuori per prendere un bidone di plastica tagliato per farmi accomodare. Ecco, questa generosità del nulla, mi ha proprio segnata. 
Il momento più bello è vedere che una bimba di 7 anni ha dedotto da sola la relazione fra divisione e sottrazione, solo perché le avevo spiegato la relazione fra addizione e moltiplicazione. Era assetata di matematica. Una mente intuitiva e aperta, come non ne ho mai incontrato. Il momento più bello personale, direi intimo, è stato accorgermi del cielo stellato: intravedere il buio fra gli infiniti punti luminosi delle stelle.

Come funziona l’organizzazione sociale di un villaggio africano?

I villaggi nascono attorno alla missione. La missione di Ismani racchiude 22 villaggi, alcuni molto lontani. Ogni famiglia del villaggio ha una capanna/casa dove vivere, con un appezzamento di terra da coltivare a girasoli o mais. E poi i più fortunati hanno animali, soprattutto galline e…. pulcini. Con i prodotti della coltivazione del terreno e con la vendita delle uova o degli animali, si sostentano. In quasi ogni villaggio c’è una scuola primaria, ogni 2-3 villaggi c’è una scuola secondaria. Poi c’è il dispensario, quello che noi chiameremmo infermeria, e in genere una chiesetta o una cappella. Padre Leonard Maliva, attuale responsabile della missione, punta molto sull’istruzione dei bambini e sulla salute.

Quali le emergenze maggiori a cui ogni villaggio deve far fronte?

Le carenze igieniche sono evidenti. Non c’è molta disponibilità di acqua e quindi non ci si lava nemmeno le mani. In alcuni villaggi l’acqua non arriva e si usa solo quella piovana che viene raccolta con delle bacinelle. Le strade non sono asfaltate e i bambini giocano nella polvere. E poi mancano anche i beni primari: medicine (ne abbiamo portate valigie intere da distribuire ai dispensari e negli ospedali); vestiario (ogni giorno aprivamo il cancello per la distribuzione di magliette, pantaloni, vestitini); scarpe e zainetti (non eravamo molto attrezzati perché non immaginavamo, ma i bambini vanno a scuola con i quaderni nelle magliette),

Quali invece i punti di forza?

La loro dignità, nella povertà. La loro solidarietà: i figli sono figli di madre, i bambini condividono penne, matite, quaderni, gomme, perfino caramelle. Spesso non sanno di cosa hanno bisogno, tanto sono poveri! A volte chiedono interventi che per noi sono banali, come i soldi per la patente, l’acquisto di un biglietto dell’autobus per evitare di fare 12 ore di cammino, i soldi per una balla di vestiti da rivendere….

Si parla tanto di aiuti, di cooperazione con gli stati africani: a tuo avviso, a cosa si dovrebbe dare priorità?

Si dovrebbero organizzare aiuti ed interventi dal basso: ascoltando e facendo proprie le priorità delle comunità. A livello nazionale, si dovrebbe dare priorità alle infrastrutture: non ci sono fognature, non ci sono strade, non ci sono mezzi adeguati per lo sviluppo del territorio. La sanità è, ahimè, a pagamento e solo pochi si possono permettere di accedervi. Ecco ‘rendere’ pubblica la sanità è un intervento che le organizzazioni politiche internazionali potrebbero sovvenzionare. E poi manca la cultura del progresso: ci si rassegna alle condizioni di povertà e di privazione in senso lato e non si ambisce a vivere meglio, vivere di più. Ho notato che, nella cultura africana, è carente la progettualità di medio e lungo periodo. Un profondo cambiamento culturale sul rafforzamento delle loro capacità e sulle loro capacità di fare le cose bene… ecco cosa ci vorrebbe.

A tuo avviso, le istituzioni politiche fanno qualcosa?  C’è la possibilità di una qualche sinergia tra buona volontà dei singoli, delle missioni e istituzioni?

Fanno quello che possono, spesso disperdendo le forze. A mio avviso una buona cooperazione passa dall’Istituzione. È lo stato della Tanzania che dovrebbe gestire i fondi per le scuole pubbliche, per la sanità, per la formazione e l’alfabetizzazione alla valutazione, al monitoraggio. Non esiste un servizio di anagrafe… Tecnicamente lo Stato non sa se, quando e dove nascono i bambini. Se e dove muoiono le persone. Se non ci fosse la chiesa e le missioni laiche che provvedono, tali informazioni sarebbero perse. E non lo dico solo per il piacere di fare Statistica… Sapere quanti bambini nascono sarebbe utile per programmare una campagna di vaccinazione che attualmente è lasciata alla volontà delle missioni; sapere quante persone muoiono e la loro causa di morte servirebbe per prevenire i fattori di rischio e migliorare la sanità (anche indirizzando la specializzazione dei medici); sapere quanti giovani potrebbero lavorare (la forza lavoro) potrebbe essere utile per lo sviluppo del territorio…
A Usolanga ho incontrato un medico che faticava a raccapezzarsi sui bambini a cui doveva somministrare prima o seconda dose di vaccino. Sarebbe stato sufficiente un semplice schema in excel, nel quale avrebbe potuto inserire i pochi dati necessari – nome del bambino, data I dose vaccinazione, data II dose… – per procedere in modo più sicuro ed efficiente nel suo lavoro. Mi ha detto che Lui ha un vecchissimo portatile (personale) dove mi ha chiesto di inserirgli il file… Ecco, servirebbero anche le infrastrutture informatiche, per vivere meglio.

Forse le Università sono tra le poche istituzioni che cercano di stabilire ponti e incrementare percorsi formativi con gli studenti e le studentesse dei paesi più poveri…

Sì, anche se ci sono altri volontari come le ALM (Associazioni Laiche Missionarie) che vivono nel territorio e che conoscono le reali esigenze delle persone. Però è vero che le università hanno un ruolo cruciale perché agenti del cambiamento culturale. L’Università di Palermo ha bandito 12 posizioni per fare studiare, a titolo gratuito, 12 ragazzi provenienti da paesi africani e segnalati dalle università locali. E fra queste c’è l’Università di RUHA, di Iringa che ho visitato.

E, infine, tra poco ci sarà un nuovo pozzo a Usolanga….

Usolanga è un posto magico. Il villaggio più lontano della missione. Ci vivono in tanti e altri villaggi fanno riferimento a Usolanga perché l’antico dispensario è diventato negli ultimi anni una sorta di ospedaletto con 15 posti letto che dispone di un ambulatorio, di un laboratorio per le analisi e di una sala parto.
Impreziosito da filari di magnolie a perdita d’occhio nella terra rossa, e da occhioni di bambini che vengono alla luce colmi di speranza, l’acqua, quando scorre dai rubinetti, è rossa. Insieme agli altri volontari, al nostro ritorno, abbiamo messo in moto una raccolta fondi per la costruzione di un pozzo, in accordo con padre Maliva e il parroco del villaggio, padre Kayage… L’acqua pulita servirà per l’ospedale, per le famiglie, per l’irrigazione dei campi…Penso che entro ottobre, questo villaggio e gli altri limitrofi, potrebbero beneficiare di un po’ di questo bene, tanto prezioso quanto necessario a tutti e per tutti.

Si spera che in autunno, quando in Tanzania sarà primavera, grazie alla tenace opera di sensibilizzazione della professoressa Giambalvo, l’oro blu possa essere attinto anche a Usalonga. Allora grazie di cuore a Ornella per la sua preziosa testimonianza e perché lei e gli altri volontari e benefattori, assieme all’acqua, donano agli abitanti di Usolanga anche la speranza di una vita migliore.


Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 17 agosto 2025

Scuola della missione

Parrocchia di Ismani

Interno della missione di Ismani

Mamme in attesa del vaccino per i bambini

I viaggi della professoressa Giambalvo

La collinetta di Usolanga davanti alla quale si farà il pozzo

Ancora la missione di Ismani

La professoressa Ornella Giambalvo con alunne e alunni


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