lunedì 28 aprile 2014

La globetrotter dei numeri

Ornella Giambalvo, prof. ordinario di Statistica sociale, UniPa
 Ornella Giambalvo: classe 1967, piglio e aspetto da ragazzina. Eccellente fotografa, viaggiatrice d’eccezione, impegno nel volontariato, un’amicizia speciale con Lucio Dalla.  Per lei - nata a Palermo e  palermitana doc - un passato anche nelle baracche in un paese colpito dal terremoto del 1968: Santa Margherita Belice, dove trascorre un pezzo d’infanzia. 
    Oggi è Docente di Statistica sociale all’Università di Palermo e da poco ha conseguito l’abilitazione ad ordinario. 

E allora, prof.ssa Giambalvo, cominciamo dando … i numeri: quante sono oggi le donne docenti Ordinarie all’Università di Palermo? Come sono distribuite nelle varie Facoltà? Quante in Sicilia e in Italia? 
A Palermo siamo 78, il 19%. Il grosso della presenza femminile è concentrato in quattro ex Facoltà: Psicologia (38% le Docenti Professore ordinario), Lettere (31%), Giurisprudenza (28%). Economia (21%). Nelle altre ex Facoltà palermitane i numeri “rosa” sono davvero esigui. Non va meglio a Catania, dove le Docenti con ruolo di ordinario sono appena il 16,2%; mentre a Messina la percentuale arriva al 23,6%. In Italia siamo il 18,8% su un totale di 3565 donne prof. ordinari.
Domanda obbligata: pensi che ce ne siano abbastanza?
Anche se non mi piace fare queste distinzioni, a guardare l’esperienza nella gestione dell’Università, le donne hanno una visione più orientata al servizio, meno legata al potere rispetto ai colleghi maschi. Emblematica, in tal senso, la durata di un Consiglio di Dipartimento a seconda di chi lo presiede: se è presieduto da una Docente, in genere dura meno. Le donne sono più pragmatiche. In questo senso, ce ne vorrebbero molte di più. Per quanto riguarda la ricerca e la didattica, l’intelligenza e l’onestà intellettuale nel fare il lavoro del professore universitario, sono trasversali ed equamente distribuite.
Nell’università italiana, poco meritocratica e ammalata di nepotismo, diventare Docente ordinario senza raccomandazioni è quasi un miraggio. Eppure tu ce l’hai fatta. Ci racconti come è andata?
Ho partecipato al concorso di ricercatore a 26 anni, quando ero ancora dottoranda. Eravamo in tre: gli altri due candidati favoriti per età e titoli accademici. Durante il corso di dottorato, dopo una selezione per titoli, ho partecipato ad una scuola estiva organizzata dall’Università Bocconi, e lì ho imparato moltissimo. Il primo tema del concorso per ricercatore, che allora consisteva in due prove scritte e una orale, risultò centrato proprio sul tema della scuola estiva! Anche sulla seconda prova ero preparata. All’orale sapevo di non aver nulla da perdere: è andata benissimo e sono arrivata prima, in modo inaspettato anche per la commissione. Anche per il concorso da associato le premesse non erano diverse: c’era  qualcuno più grande e più titolato di me. Tra l’altro, giocavo fuori casa perché il concorso si è svolto a Bari. Alla seconda prova del concorso che consisteva nel simulare una lezione, ho scelto la lezione più difficile. La lezione mi è venuta così bene che la commissione mi ha premiata: mi sono ritrovata professore associato a 32 anni. L’abilitazione a professore ordinario è il frutto dell’approvazione da parte di una terza commissione ( anche questa come per il concorso per associato formata tutta da docenti esterni) della mia attività scientifica in questi anni.
Cosa consiglieresti a un laureando/a che volesse oggi tentare di insegnare all’Università?
Di avere pazienza … Di perseverare, di non ragionare in maniera utilitaristica, ma di usare sempre la propria testa. La personalità e la preparazione, alla fine pagano. Occorre studiare e lavorare per se stessi e non per un tornaconto, né tantomeno per fare un piacere ai baroni.
Tu e i numeri. Come è nato quest’amore per la matematica e la statistica in particolare? Quando ti sei innamorata della curva di Gauss tanto da farne il tuo pane quotidiano?
La passione per la Matematica è nata con me. Già a 3, 4 anni, a Santa Margherita Belice giocavo a scopone scientifico con il nonno e i suoi amici. Ho imparato subito le regole del gioco e il nonno mi usava come “mente fresca” che ricordava le carte passate! Da grande ho capito che non mi piacciono i conti che non tornano: a mio avviso c’è una sorta di responsabilità nei numeri e nella logica matematica; se fai qualcosa significa che dell’altro accade, tu lo sai e puoi farlo accadere o meno. Per la statistica la passione nasce in modo inconsapevole ed è stata “indotta” dal mio prof. di Filosofia al liceo, che organizzò uno sportello di auto-aiuto pomeridiano per gli studenti con problemi di tossicodipendenza. Poi il prof. mi chiese di sintetizzare chi si era rivolto allo sportello e che servizi richiedeva. Io, inconsapevolmente, ho fatto una relazione statistica sui dati osservati nel tempo. A quel punto il prof. mi ha subito indirizzata al corso di laurea in Statistica.  
Tu e l’Università: vieni descritta come una Docente caparbia e decisa, lavoratrice instancabile. Che pretende molto dagli altri perché pretende tantissimo da se stessa. Qual è il rapporto tra il tuo carattere e il lavoro universitario?
È un rapporto faticoso e appassionato. Faticoso per le dinamiche fra i colleghi che a volte sono difficili e perché non mi piace che molte cose, anche quelle più banali, non funzionino. Appassionato perché puoi esprimere la libertà in ogni ambito, nella ricerca e nella didattica.
Cosa salvi dell’Università oggi? Cosa andrebbe, a tuo avviso, assolutamente cambiato?
Salverei l’abnegazione di pochi, l’attenzione verso gli studenti, che per fortuna sta crescendo. Per il resto, dovrebbe funzionare meglio tutto. Le aule per fare didattica dovrebbero essere utilizzabili sempre da tutti: invece spesso si perde tempo prezioso prima della lezione per trovare le chiavi ed aprirle. Vorrei che la didattica fosse un po’ più innovativa e interdisciplinare. Mi piacerebbe poi che il meccanismo di valutazione della produzione scientifica dei Docenti tornasse a salvaguardare la libertà di ricerca che, secondo me, si sta un po’ perdendo.
Tra i grandi amori della tua vita ci sono quelli per la fotografia e per i viaggi. E’ nato prima l’amore per la statistica o quello per i viaggi? Come riesci a farli convivere?
Se vado lontano con la memoria, i viaggi mi hanno sempre accompagnato. I miei genitori amavano viaggiare: si stava una settimana in montagna e una in visita a una città d’arte. Per fortuna il lavoro mi ha portato a coniugare questi due amori: ho viaggiato spesso per il piacere della scoperta di vite e mondi nuovi, ma anche per lavoro. Nel viaggio di lavoro, anche il  più frequente, ad esempio per Milano, tento di dare un senso alla fatica visitando una mostra, incontrando degli amici, mangiando un buon risotto … Così la fatica è compensata dall’arricchimento interiore.
A proposito di viaggi: quale quello più avventuroso?
Un “normale” viaggio in Tunisia, compiuto nel 1988 con 7 amici. Da Tunisi decidiamo di fare un giro di tre giorni nel deserto. Si rompe il pulmino, ma arriviamo in un’oasi magnifica e poi iniziamo il giro del deserto sopra i dromedari, con alcuni bambini del luogo. In pieno deserto, la guida ci dice che torna a Tunisi per reperire un pulmino nuovo in grado di farci proseguire il giro senza problemi. Arriva il pomeriggio e siamo in mezzo alle dune. Arriva la sera e nessuno ci viene a prendere. Dei bambini accompagnatori rimane con noi solo il più piccolo, che non sapeva parlare l’italiano. Siamo sette ragazzi persi nel deserto del Sahara, con un ragazzino e quattro dromedari.  Niente telefonini, niente tablet. Solo caramelle, qualche cracker e alcune bottigliette d’acqua. E un silenzio carico di paura e di tensione. Nessuno  parla, perché si ha paura di crollare sotto il peso delle  domande. Di notte, qualcuno, vuoi per la tensione, per il caldo e la stanchezza, si addormenta. Io no: anche perché soffro d’insonnia. Intanto viene fuori  una magnifica luna piena. Quella notte la luna mi ha fatto compagnia. Una luna più grande del solito: talmente luminosa da rendere di un bianco accecante anche la sabbia. Quella luna, in qualche modo, mi ha fatto sperimentare il Divino e la sua grandezza. Ho svegliato un amico che a fatica era riuscito ad addormentarsi. Dopo qualche imprecazione, si è reso conto della magia: ora  mi ringrazia ancora per averlo svegliato.  Il pulmino arrivò la sera dopo: la guida pensava che i bambini ci avessero ricondotto all’oasi!
C’e un viaggio che ti sei pentita di fare? E uno che vorresti  ripetere?
Ogni viaggio lascia qualcosa di interessante. Non ci si pente mai fino in fondo di essere in un posto diverso dal solito. Forse non ripeterei il viaggio in Irlanda, rivelatasi un po’ monotona per i miei gusti. Ma  … la “Guinness” era meravigliosa! Vorrei invece tornare in Polinesia. Il viaggio in quell’arcipelago è stato un regalo per i miei 40 anni. Ci sono andata con una collega canadese, globe-trotter come me. Per chi ama il mare, la Polinesia è il luogo che diventa orizzonte di vita sognata. L’effetto Polinesia, cioè una visione della vita dove tutto è bello e il bello assoluto è possibile, a distanza di 6 anni dura ancora. In Tunisia ho sperimentato la presenza di Dio; in Polinesia il paradiso.
Torniamo al tuo lavoro: insegni Indagini campionarie e piani di campionamento. Anche ai non addetti ai lavori appare chiara l’importanza di queste discipline. Nel 2010 il Comune di Palermo ti ha affidato persino una ricerca sul numero dei cani randagi in città: come è  finita?
Abbiamo stimato il totale dei cani randagi nella prima circoscrizione, su commissione  del Comune che ha affrontato questo problema, non molto diffuso in altre grandi città d’Italia. Durante la discussione dei risultati, l’assessore al verde pubblico ha detto che il lavoro è stato molto importante per procedere con l’acquisto dei costosi kit di sterilizzazione che, se insufficienti, rendono inutile la sterilizzazione dei randagi. Ora stiamo ripetendo l’indagine per affinare la metodologia e per cercare di avere un dato statisticamente “robusto”.
Passando dai cani agli esseri umani, quale è stato sinora il tuo lavoro di ricerca più utile?
Forse quello di progettare e realizzare un’indagine campionaria per la stima dei turisti non ufficiali alle isole Eolie: 4 mesi da pendolare tra Palermo e Lipari per capire quanti siano davvero i turisti in estate. Con la guardia costiera andavo in giro, alle 7 del mattino, a contare le barche e nel frattempo ci scappava qualche tuffo! Il lavoro più significativo, l’indagine sugli standard di vita nel quartiere Albergheria, a Palermo: un’indagine campionaria sul territorio per stimare come si vive in un quartiere povero, a rischio di esclusione sociale. I risultati sono stati impressionanti. Oggi gli operatori del quartiere se ne servono per progettare interventi mirati.
A proposito di Albergheria, parlaci del tuo impegno nel volontariato ...
La mia voglia di aiutare chi è meno fortunato nasce ai tempi del liceo quando mi recavo al Capo per fare doposcuola, soprattutto di matematica, ai bambini poveri. Poi è arrivato il gruppo di auto-aiuto a scuola per ascoltare e aiutare i compagni  che erano caduti nella trappola della droga. Nel 1986 ho conosciuto don Cosimo Scordato che aveva aperto un Centro Sociale all’Albergheria. Lì mi sono impegnata con il doposcuola e con le famiglie: indimenticabile la gita a Ustica con 30 bambini, molti dei quali non avevano mai visto il mare. Per due anni sono stata impegnata anche nel Consiglio direttivo del Centro. Il libro “Al Centro del margine” è il giusto mix  tra il mio lavoro e l’impegno per il riscatto del quartiere.
Tornando al lavoro: quale è l’indagine che ha portato più lustro alla tua Facoltà?
Sicuramente il lavoro, che seguo dal 2007, sugli sbocchi occupazionali dei laureati e dei fabbisogni di alta formazione nella Sicilia occidentale. È una sorta di osservatorio dei percorsi lavorativi dei laureati  a 1, 3 e 5 anni dalla laurea, per favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro e per capire la qualità della laurea posseduta rispetto alle esigenze lavorative.
Di cosa ti occupi in questo momento?
Ho appena effettuato, con l’aiuto di una giovane ricercatrice, un’analisi del ritardo della maternità delle donne italiane confrontate con quelle Ungheresi, a causa della crisi del lavoro e delle mancate politiche per la famiglia. A breve dovrebbe essere pubblicato un lavoro sull’esperienza didattica effettuata quest’anno, con la partecipazione entusiasta degli studenti, che ha previsto la trasformazione e “traduzione” di una poesia in un piano di campionamento. Il titolo del lavoro, parafrasando la mia idea che ogni campione è diverso dagli altri, è “Campioni diVersi”. Purtroppo in Italia l’approccio quantitativo ai fenomeni è ancora poco diffuso. Chi si occupa di Statistica ha oggi un impegno: contribuire ad accrescere  tale approccio nell’analisi sociale. Aggiungo anche che spesso le indagini campionarie di cui si parla anche nei media, di “campionario” hanno davvero poco. Deve essere sempre desta la coscienza etica dello studioso di Statistica che non deve mai forzare  il dato per piegarlo alle proprie ipotesi.
Infine, la tua passione per la musica: un coro e la tua amicizia con Lucio Dalla. Partiamo dal coro: una prof. cantante mancata?
In effetti, dal 1990 al 1996 sono stata cantante contralto nel coro “Emanuele D’Astorga”. Ho lasciato perché non riuscivo a essere presente a tutte le prove e io detesto fare le cose a metà …
Tu e Lucio Dalla: un sodalizio profondo e affettuoso. Come vi siete conosciuti?
Ho conosciuto prima la sua voce e le sue canzoni: un caro amico mi ha fatto sentire la prima volta “Stella di Mare” una sera al mare, avevo dodici anni. Mi sono innamorata di questo poeta. Da allora il mio obiettivo è stato conoscerlo. Nel frattempo mi sono documentata e sono diventata una grande esperta delle sue canzoni. Poi nel 1988 l’ho conosciuto quasi per caso: ero a Siracusa durante il suo tour con Morandi. Lucio passeggiava per le vie del teatro greco dove si sarebbe tenuto il concerto e io l’ho incontrato. La prima reazione è stata quella di scappare, gli ho invece chiesto dove avrei potuto acquistare i biglietti per il concerto. Lui si è incuriosito, mi ha fatto alcune domande … ero quasi impietrita dall’emozione, ma poi abbiamo chiacchierato fino a poco prima dell’inizio del concerto, con buona pace di Morandi. Ho cantato con lui e gli ho raccontato che avrei voluto scrivere un libro sulle sue parole. Da allora non mi ha più mollato. Nel 1990 gli ho consegnato il libro.
Cosa ci racconti dell’uomo e del cantautore?
Dalla era un uomo davvero libero, curioso  e generoso. La libertà, coniugata con la curiosità, lo ha portato a sperimentare molteplici stili di vita (passava dalla cena nel grande albergo a Sorrento al pranzo con i barboni di Bologna), ad incontrare persone e tenersele accanto anche nella libertà, come me. Non aveva ansia da prestazione, improvvisava sempre e creava atmosfere speciali con una facilità invidiabile. Da cantautore riusciva a tradurre in parole e in musica e armonia non soltanto le sue emozioni, ma quelle delle storie degli altri. E poi era geniale: molte sue intuizioni musicali sono ancora innovative per i giovani musicisti. Un ultimo ricordo di Lucio: mi diceva che avevo un approccio matematico persino con la musica: avrei dovuto lasciarmi andare di più …

(intervista a cura di Maria D’Asaro, pubblicata su “Centonove” del 4.4.2014 pagg.34,35)

3 commenti:

  1. Ciao, ho letto tutta l'intervista e devo dire di essere contenta... perché dimostra che anche le persone meritevoli possono fare carriera all'università, non solo i raccomandati! Ogni tanto fa bene leggere anche queste storie.

    RispondiElimina
  2. Doppio inchino: ad Ornella per la sua speciale interpretazione della vita, a Maruzza per avercela abilmente raccontata con l'ammirazione che merita. Ho visto premiare "donne dell'anno" per molto meno, ma quelle che davvero valgono non cercano premi, semplicemente vivono.

    RispondiElimina
  3. @Vele: grazie dell'attenzione dedicata alla prof.ssa Giambalvo: una donna in gamba, che merita davvero. Un abbraccio.
    @DOC: grazie del tuo delizioso commento. Un abbraccio.

    RispondiElimina