Ornella Giambalvo, prof. ordinario di Statistica sociale, UniPa |
Ornella Giambalvo: classe 1967, piglio e aspetto da ragazzina. Eccellente fotografa, viaggiatrice d’eccezione, impegno nel volontariato, un’amicizia speciale con Lucio Dalla. Per lei - nata a Palermo e palermitana doc - un passato anche nelle baracche in un paese colpito dal terremoto del 1968: Santa Margherita Belice, dove trascorre un pezzo d’infanzia.
Oggi è Docente di Statistica sociale all’Università di Palermo e da poco ha conseguito l’abilitazione ad ordinario.
E allora, prof.ssa Giambalvo, cominciamo dando … i numeri: quante sono oggi le donne docenti Ordinarie all’Università di Palermo? Come sono distribuite nelle varie Facoltà? Quante in Sicilia e in Italia?
A Palermo siamo 78, il 19%. Il grosso della presenza femminile è concentrato in quattro ex Facoltà: Psicologia (38% le Docenti Professore ordinario), Lettere (31%), Giurisprudenza (28%). Economia (21%). Nelle altre ex Facoltà palermitane i numeri “rosa” sono davvero esigui. Non va meglio a Catania, dove le Docenti con ruolo di ordinario sono appena il 16,2%; mentre a Messina la percentuale arriva al 23,6%. In Italia siamo il 18,8% su un totale di 3565 donne prof. ordinari.
Domanda obbligata: pensi che ce ne siano abbastanza?
Anche se non mi piace fare queste distinzioni, a
guardare l’esperienza nella gestione dell’Università, le donne hanno una
visione più orientata al servizio, meno legata al potere rispetto ai colleghi
maschi. Emblematica, in tal senso, la durata di un Consiglio di Dipartimento a
seconda di chi lo presiede: se è presieduto da una Docente, in genere dura meno.
Le donne sono più pragmatiche. In questo senso, ce ne vorrebbero molte di più.
Per quanto riguarda la ricerca e la didattica, l’intelligenza e l’onestà
intellettuale nel fare il lavoro del professore universitario, sono trasversali
ed equamente distribuite.
Nell’università italiana, poco meritocratica e
ammalata di nepotismo, diventare Docente ordinario senza raccomandazioni è
quasi un miraggio. Eppure tu ce l’hai fatta. Ci racconti come è andata?
Ho partecipato al concorso di ricercatore a 26 anni,
quando ero ancora dottoranda. Eravamo in tre: gli altri due candidati favoriti
per età e titoli accademici. Durante il corso di dottorato, dopo una selezione
per titoli, ho partecipato ad una scuola estiva organizzata dall’Università
Bocconi, e lì ho imparato moltissimo. Il primo tema del concorso per
ricercatore, che allora consisteva in due prove scritte e una orale, risultò
centrato proprio sul tema della scuola estiva! Anche sulla seconda prova ero
preparata. All’orale sapevo di non aver nulla da perdere: è andata benissimo e
sono arrivata prima, in modo inaspettato anche per la commissione. Anche per il
concorso da associato le premesse non erano diverse: c’era qualcuno più grande e più titolato di me. Tra
l’altro, giocavo fuori casa perché il concorso si è svolto a Bari. Alla seconda
prova del concorso che consisteva nel simulare una lezione, ho scelto la
lezione più difficile. La lezione mi è venuta così bene che la commissione mi
ha premiata: mi sono ritrovata professore associato a 32 anni. L’abilitazione a
professore ordinario è il frutto dell’approvazione da parte di una terza
commissione ( anche questa come per il concorso per associato formata tutta da
docenti esterni) della mia attività scientifica in questi anni.
Cosa consiglieresti a un laureando/a che volesse
oggi tentare di insegnare all’Università?
Di avere pazienza … Di perseverare, di non ragionare
in maniera utilitaristica, ma di usare sempre la propria testa. La personalità e
la preparazione, alla fine pagano. Occorre studiare e lavorare per se stessi e
non per un tornaconto, né tantomeno per fare un piacere ai baroni.
Tu e i numeri. Come è nato quest’amore per la
matematica e la statistica in particolare? Quando ti sei innamorata della curva
di Gauss tanto da farne il tuo pane quotidiano?
La passione per la Matematica è nata con me. Già a
3, 4 anni, a Santa Margherita Belice giocavo a scopone scientifico con il nonno
e i suoi amici. Ho imparato subito le regole del gioco e il nonno mi usava come
“mente fresca” che ricordava le carte passate! Da grande ho capito che non mi
piacciono i conti che non tornano: a mio avviso c’è una sorta di responsabilità
nei numeri e nella logica matematica; se fai qualcosa significa che dell’altro
accade, tu lo sai e puoi farlo accadere o meno. Per la statistica la passione
nasce in modo inconsapevole ed è stata “indotta” dal mio prof. di Filosofia al
liceo, che organizzò uno sportello di auto-aiuto pomeridiano per gli studenti
con problemi di tossicodipendenza. Poi il prof. mi chiese di sintetizzare chi
si era rivolto allo sportello e che servizi richiedeva. Io, inconsapevolmente,
ho fatto una relazione statistica sui dati osservati nel tempo. A quel punto il
prof. mi ha subito indirizzata al corso di laurea in Statistica.
Tu e l’Università: vieni descritta come una Docente
caparbia e decisa, lavoratrice instancabile. Che pretende molto dagli altri
perché pretende tantissimo da se stessa. Qual è il rapporto tra il tuo carattere
e il lavoro universitario?
È un rapporto faticoso e appassionato. Faticoso per
le dinamiche fra i colleghi che a volte sono difficili e perché non mi piace
che molte cose, anche quelle più banali, non funzionino. Appassionato perché
puoi esprimere la libertà in ogni ambito, nella ricerca e nella didattica.
Cosa salvi dell’Università oggi? Cosa andrebbe, a tuo avviso, assolutamente cambiato?
Salverei l’abnegazione di pochi, l’attenzione verso
gli studenti, che per fortuna sta crescendo. Per il resto, dovrebbe funzionare
meglio tutto. Le aule per fare didattica dovrebbero essere utilizzabili sempre
da tutti: invece spesso si perde tempo prezioso prima della lezione per trovare
le chiavi ed aprirle. Vorrei che la didattica fosse un po’ più innovativa e
interdisciplinare. Mi piacerebbe poi che il meccanismo di valutazione della
produzione scientifica dei Docenti tornasse a salvaguardare la libertà di
ricerca che, secondo me, si sta un po’ perdendo.
Tra i grandi amori della tua vita ci sono quelli per
la fotografia e per i viaggi. E’ nato prima l’amore per la statistica o quello per
i viaggi? Come riesci a farli convivere?
Se vado lontano con la memoria, i viaggi mi hanno
sempre accompagnato. I miei genitori amavano viaggiare: si stava una settimana
in montagna e una in visita a una città d’arte. Per fortuna il lavoro mi ha
portato a coniugare questi due amori: ho viaggiato spesso per il piacere della
scoperta di vite e mondi nuovi, ma anche per lavoro. Nel viaggio di lavoro,
anche il più frequente, ad esempio per
Milano, tento di dare un senso alla fatica visitando una mostra, incontrando
degli amici, mangiando un buon risotto … Così la fatica è compensata
dall’arricchimento interiore.
A proposito di viaggi: quale quello più avventuroso?
Un “normale” viaggio in Tunisia, compiuto nel 1988
con 7 amici. Da Tunisi decidiamo di fare un giro di tre giorni nel deserto. Si
rompe il pulmino, ma arriviamo in un’oasi magnifica e poi iniziamo il giro del
deserto sopra i dromedari, con alcuni bambini del luogo. In pieno deserto, la
guida ci dice che torna a Tunisi per reperire un pulmino nuovo in grado di farci
proseguire il giro senza problemi. Arriva il pomeriggio e siamo in mezzo alle
dune. Arriva la sera e nessuno ci viene a prendere. Dei bambini accompagnatori
rimane con noi solo il più piccolo, che non sapeva parlare l’italiano. Siamo sette
ragazzi persi nel deserto del Sahara, con un ragazzino e quattro dromedari. Niente telefonini, niente tablet. Solo
caramelle, qualche cracker e alcune bottigliette d’acqua. E un silenzio carico di
paura e di tensione. Nessuno parla,
perché si ha paura di crollare sotto il peso delle domande. Di notte, qualcuno, vuoi per la
tensione, per il caldo e la stanchezza, si addormenta. Io no: anche perché
soffro d’insonnia. Intanto viene fuori una magnifica luna piena. Quella notte la luna
mi ha fatto compagnia. Una luna più grande del solito: talmente luminosa da
rendere di un bianco accecante anche la sabbia. Quella luna, in qualche modo,
mi ha fatto sperimentare il Divino e la sua grandezza. Ho svegliato un amico
che a fatica era riuscito ad addormentarsi. Dopo qualche imprecazione, si è
reso conto della magia: ora mi ringrazia
ancora per averlo svegliato. Il pulmino
arrivò la sera dopo: la guida pensava che i bambini ci avessero ricondotto
all’oasi!
C’e un viaggio che ti sei pentita di fare? E uno che
vorresti ripetere?
Ogni viaggio lascia qualcosa di interessante. Non ci
si pente mai fino in fondo di essere in un posto diverso dal solito. Forse non ripeterei
il viaggio in Irlanda, rivelatasi un po’ monotona per i miei gusti. Ma … la “Guinness” era meravigliosa! Vorrei
invece tornare in Polinesia. Il viaggio in quell’arcipelago è stato un regalo
per i miei 40 anni. Ci sono andata con una collega canadese, globe-trotter come
me. Per chi ama il mare, la Polinesia è il luogo che diventa orizzonte di vita
sognata. L’effetto Polinesia, cioè una visione della vita dove tutto è bello e
il bello assoluto è possibile, a distanza di 6 anni dura ancora. In Tunisia ho
sperimentato la presenza di Dio; in Polinesia il paradiso.
Torniamo al tuo lavoro: insegni Indagini campionarie
e piani di campionamento. Anche ai non addetti ai lavori appare chiara
l’importanza di queste discipline. Nel 2010 il Comune di Palermo ti ha affidato
persino una ricerca sul numero dei cani randagi in città: come è finita?
Abbiamo stimato il totale dei cani randagi nella
prima circoscrizione, su commissione del
Comune che ha affrontato questo problema, non molto diffuso in altre grandi
città d’Italia. Durante la discussione dei risultati, l’assessore al verde
pubblico ha detto che il lavoro è stato molto importante per procedere con
l’acquisto dei costosi kit di sterilizzazione che, se insufficienti, rendono inutile
la sterilizzazione dei randagi. Ora stiamo ripetendo l’indagine per affinare la
metodologia e per cercare di avere un dato statisticamente “robusto”.
Passando dai cani agli esseri umani, quale è stato
sinora il tuo lavoro di ricerca più utile?
Forse quello di progettare e realizzare un’indagine
campionaria per la stima dei turisti non ufficiali alle isole Eolie: 4 mesi da
pendolare tra Palermo e Lipari per capire quanti siano davvero i turisti in
estate. Con la guardia costiera andavo in giro, alle 7 del mattino, a contare
le barche e nel frattempo ci scappava qualche tuffo! Il lavoro più
significativo, l’indagine sugli standard di vita nel quartiere Albergheria, a
Palermo: un’indagine campionaria sul territorio per stimare come si vive in un
quartiere povero, a rischio di esclusione sociale. I risultati sono stati
impressionanti. Oggi gli operatori del quartiere se ne servono per progettare
interventi mirati.
A proposito di Albergheria, parlaci del tuo impegno
nel volontariato ...
La mia voglia di aiutare chi è meno fortunato nasce
ai tempi del liceo quando mi recavo al Capo per fare doposcuola, soprattutto di
matematica, ai bambini poveri. Poi è arrivato il gruppo di auto-aiuto a scuola
per ascoltare e aiutare i compagni che
erano caduti nella trappola della droga. Nel 1986 ho conosciuto don Cosimo
Scordato che aveva aperto un Centro Sociale all’Albergheria. Lì mi sono
impegnata con il doposcuola e con le famiglie: indimenticabile la gita a Ustica
con 30 bambini, molti dei quali non avevano mai visto il mare. Per due anni sono
stata impegnata anche nel Consiglio direttivo del Centro. Il libro “Al Centro
del margine” è il giusto mix tra il mio
lavoro e l’impegno per il riscatto del quartiere.
Tornando al lavoro: quale è l’indagine che ha portato più lustro alla tua
Facoltà?
Sicuramente il lavoro, che seguo dal 2007, sugli
sbocchi occupazionali dei laureati e dei fabbisogni di alta formazione nella
Sicilia occidentale. È una sorta di osservatorio dei percorsi lavorativi dei
laureati a 1, 3 e 5 anni dalla laurea,
per favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro e per capire la qualità della
laurea posseduta rispetto alle esigenze lavorative.
Di cosa ti occupi in questo momento?
Ho appena effettuato, con l’aiuto di una giovane
ricercatrice, un’analisi del ritardo della maternità delle donne italiane
confrontate con quelle Ungheresi, a causa della crisi del lavoro e delle
mancate politiche per la famiglia. A breve dovrebbe essere pubblicato un lavoro
sull’esperienza didattica effettuata quest’anno, con la partecipazione
entusiasta degli studenti, che ha previsto la trasformazione e “traduzione” di una
poesia in un piano di campionamento. Il titolo del lavoro, parafrasando la mia
idea che ogni campione è diverso dagli altri, è “Campioni diVersi”. Purtroppo in
Italia l’approccio quantitativo ai fenomeni è ancora poco diffuso. Chi si
occupa di Statistica ha oggi un impegno: contribuire ad accrescere tale approccio nell’analisi sociale. Aggiungo
anche che spesso le indagini campionarie di cui si parla anche nei media, di “campionario”
hanno davvero poco. Deve essere sempre desta la coscienza etica dello studioso
di Statistica che non deve mai forzare
il dato per piegarlo alle proprie ipotesi.
Infine, la tua passione per la musica: un coro e la
tua amicizia con Lucio Dalla. Partiamo dal coro: una prof. cantante mancata?
In effetti, dal 1990 al 1996 sono stata cantante
contralto nel coro “Emanuele D’Astorga”. Ho lasciato perché non riuscivo a
essere presente a tutte le prove e io detesto fare le cose a metà …
Tu e Lucio Dalla: un sodalizio profondo e
affettuoso. Come vi siete conosciuti?
Ho conosciuto prima la sua voce e le sue canzoni: un
caro amico mi ha fatto sentire la prima volta “Stella di Mare” una sera al
mare, avevo dodici anni. Mi sono innamorata di questo poeta. Da allora il mio
obiettivo è stato conoscerlo. Nel frattempo mi sono documentata e sono
diventata una grande esperta delle sue canzoni. Poi nel 1988 l’ho conosciuto
quasi per caso: ero a Siracusa durante il suo tour con Morandi. Lucio passeggiava
per le vie del teatro greco dove si sarebbe tenuto il concerto e io l’ho
incontrato. La prima reazione è stata quella di scappare, gli ho invece chiesto
dove avrei potuto acquistare i biglietti per il concerto. Lui si è incuriosito,
mi ha fatto alcune domande … ero quasi impietrita dall’emozione, ma poi abbiamo
chiacchierato fino a poco prima dell’inizio del concerto, con buona pace di
Morandi. Ho cantato con lui e gli ho raccontato che avrei voluto scrivere un
libro sulle sue parole. Da allora non mi ha più mollato. Nel 1990 gli ho
consegnato il libro.
Cosa ci racconti dell’uomo e del cantautore?
Dalla era un uomo davvero libero, curioso e generoso. La libertà, coniugata con la
curiosità, lo ha portato a sperimentare molteplici stili di vita (passava dalla
cena nel grande albergo a Sorrento al pranzo con i barboni di Bologna), ad
incontrare persone e tenersele accanto anche nella libertà, come me. Non aveva ansia
da prestazione, improvvisava sempre e creava atmosfere speciali con una
facilità invidiabile. Da cantautore riusciva a tradurre in parole e in musica e
armonia non soltanto le sue emozioni, ma quelle delle storie degli altri. E poi
era geniale: molte sue intuizioni musicali sono ancora innovative per i giovani
musicisti. Un ultimo ricordo di Lucio: mi diceva che avevo un approccio
matematico persino con la musica: avrei dovuto lasciarmi andare di più …
(intervista
a cura di Maria D’Asaro, pubblicata su “Centonove” del 4.4.2014 pagg.34,35)
Ciao, ho letto tutta l'intervista e devo dire di essere contenta... perché dimostra che anche le persone meritevoli possono fare carriera all'università, non solo i raccomandati! Ogni tanto fa bene leggere anche queste storie.
RispondiEliminaDoppio inchino: ad Ornella per la sua speciale interpretazione della vita, a Maruzza per avercela abilmente raccontata con l'ammirazione che merita. Ho visto premiare "donne dell'anno" per molto meno, ma quelle che davvero valgono non cercano premi, semplicemente vivono.
RispondiElimina@Vele: grazie dell'attenzione dedicata alla prof.ssa Giambalvo: una donna in gamba, che merita davvero. Un abbraccio.
RispondiElimina@DOC: grazie del tuo delizioso commento. Un abbraccio.