Ho imparato a conoscervi (e a temervi) attraverso il mio professore di Italiano, al liceo classico. Un ottimo professore, ma un “cattivo maestro”. A metà degli anni ’70 frequentavo il liceo e allora molti intellettuali siciliani erano marxisti e, dall’alto delle loro cattedre, predicavano la lotta di classe e il trionfo della rivoluzione proletaria. E se tutto questo comportava bagni di sangue, pazienza. Era la necessità della Storia.
Perciò, quando il 16 marzo 1978 avete rapito il presidente Aldo Moro, uccidendo senza pietà i cinque uomini della scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi, ne fui terribilmente addolorata, ma non sorpresa.
Ho però sperato sino alla fine che la vita di Moro, uomo mite, buono e intelligente, fosse salvata. Non è stato così. Lo avete assassinato, accecati dalla vostra folle ideologia e avete lasciato il suo corpo dentro la Renault rossa, in via Caetani, il 9 maggio 1978, lo stesso giorno in cui i mafiosi siciliani uccidevano seviziandolo Peppino Impastato.
Non avete cambiato in meglio la società, nonostante i vostri proclami. In compenso, tra marzo e maggio del 1978, avete ammazzato sei persone. Non riesco a perdonarvi. Ho sempre avuto presente lo strazio della moglie di Moro, Eleonora, delle figlie Maria Fida, Anna e Agnese e del figlio Giovanni. Inoltre a Luca, l’amatissimo nipotino di due anni, è stato assurdamente e atrocemente strappato suo nonno.
A rifletterci, la vita è già dura di sua: siamo tutti soggetti a un destino di morte. I fortunati nel proprio letto a 90 anni e più; altri prematuramente per un incidente, un terremoto, una malattia fulminante. Che al mistero insensato del fato si unisca l’azione criminale dell’uomo che uccide un altro uomo, non potrò mai e poi mai sopportarlo. Non c'è rivoluzione che tenga. Non si può ottenere un fine, magari ritenuto buono, con mezzi malvagi.
Non so se qualcuno di voi lo abbia fatto, non so neanche se abbia più senso: ma a quel bambino di due anni, a Luca, bisognerebbe chiedere, tardivamente, perdono.
Maria D’Asaro
(Nel carcere di Latina scontano l’ergastolo cinque donne brigatiste irriducibili : Susanna Berardi, Maria Cappello, Barbara Fabrizi, Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro)
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