Palermo – Se si vuole continuare a cenare tranquilli, senza troppi pensieri, il libro di Jonathan Safran Foer Possiamo salvare il mondo prima di cena (Guanda, Milano, 2019, €18; tradotto da Irene A.Piccinini) è meglio non leggerlo, né prima né dopo cena.
Il testo infatti - che segue Se niente importa, saggio dello stesso autore sulle scelte alimentari - propone un legame significativo tra ciò che mangiamo e crisi ambientale. Dice Foer: “Questo libro non offre una spiegazione
esaustiva sui cambiamenti climatici e non propone di eliminare in modo
categorico dall’alimentazione i prodotti di origine animale”. Ma: “Dobbiamo rinunciare ad
alcune abitudini alimentari oppure rinunciare al pianeta. La scelta è questa,
netta e drammatica”. I nessi significativi tra alimentazione e crisi climatica, l’autore li
snocciola in 25 pagine (da pagina 89 a 114) che forniscono dati e suggerimenti
per evitare la morìa suprema, o sesta estinzione di massa, già posta in essere dall’Antropocene, la nostra
epoca attuale caratterizzata dal predominio assoluto e nefasto sull’ecosistema
delle attività produttive umane. Scrive Foer “Abbiamo
concentrato la nostra attenzione sui combustibili fossili, ma questo ci ha fornito
un quadro incompleto della crisi del pianeta”. Infatti trascuriamo che: “Metano e protossido di azoto sono il secondo e terzo
gas serra più presenti nell’atmosfera. L’allevamento animale è responsabile del
37% delle emissioni antropiche di protossido di azoto.” “L’umanità sfrutta il
59% di tutta la terra coltivabile per far crescere foraggio per il bestiame, il
60% di tutti i mammiferi presenti sulla Terra sono animali allevati a scopi
alimentari”. E ancora: “Se le
mucche fossero un paese, sarebbero terze in classifica per emissioni di gas
serra dopo la Cina e gli Stati Uniti.” “Il bestiame è responsabile […] del 51% delle emissioni
di CO2 globali annue”. Quindi: “Cambiare il nostro modo di mangiare non sarà
sufficiente di per sé a salvare il pianeta, ma non possiamo salvare il pianeta
senza cambiare il nostro modo di mangiare.”.
Tutto semplice dunque? Niente affatto. Purtroppo noi umani siamo
inadeguati emotivamente ad affrontare quest’emergenza. Foer sottolinea che “Il nostro sistema d’allarme non è fatto per le minacce
concettuali e continuiamo a vivere come se niente fosse.” Percepiamo infatti la crisi climatica astratta e lontana. Così: “Continuiamo a
sentire lo sforzo di salvare il nostro pianeta come una partita fuori casa di
metà campionato”. Per avvalorare questa tesi, lo
scrittore ripercorre l’incontro nel 1943 a Washington tra il partigiano
polacco Jan Karski, e Felix Frankfurter, giudice della Corte Suprema americana,
che non credette al resoconto dettagliato di Karski sulle atrocità naziste
verso gli ebrei. Quindi le informazioni da sole non bastano per cambiare il
corso degli eventi.
Ecco che l’autore chiama in causa lo psicologo e
premio Nobel Daniel Kahneman, uno dei primi studiosi a capire che la nostra
mente ha una modalità lenta (deliberativa) e una veloce (intuitiva): «Per mobilitare le persone, questa (la crisi climatica) deve diventare
una questione emotiva». Quindi, incalza Foer: “Per mettere insieme la
volontà necessaria ad affrontare la crisi del pianeta […] avremo bisogno di
considerare la Terra come la nostra unica casa, non in senso figurato, non a
livello intellettuale ma a livello viscerale.” “Non possiamo concettualizzare
in modo adeguato la crisi ambientale finché non riconosciamo che ha la capacità
di ucciderci.”
Foer ci mette in
guardia anche da un’ulteriore trappola mentale, il tutto o niente: “Il modo migliore di sottrarsi a una scelta
impegnativa è far finta che le opzioni siano solo due. Il contrario di mangiare
molta carne, latticini e uova non è necessariamente essere vegani ma […] essere
attenti alla frequenza con cui si mangiano prodotti di origine animale.”
L’autore non nasconde comunque che è davvero difficile modificare le
proprie abitudini alimentari, perché “Non
mangiamo da soli. […] Mangiamo come famiglie, comunità, nazioni e sempre più
come pianeta”. “Mangiamo per
soddisfare desideri primitivi, per plasmare ed esprimere noi stessi, per creare
comunità. Mangiamo con la nostra bocca e con il nostro stomaco, ma anche con la
nostra mente e con il nostro cuore. Tutte le nostre identità sono presenti
quando mangiamo e lo stesso vale per la nostra storia.” Ciò nonostante: “Solo se gli individui
prenderanno l’individualissima decisione di mangiare in modo diverso potremo
contenere la distruzione ambientale”.
Certo, Foer si interroga anche sul peso che hanno le azioni individuali
all’interno di un sistema complesso come il nostro. E ricorre a un esempio
concreto: “Nessun singolo automobilista è in grado di
provocare un ingorgo. Ma un ingorgo non può verificarsi senza i singoli
automobilisti.” Infatti: “A innescare
i cambiamenti sociali, proprio come i cambiamenti climatici, sono una
molteplicità di reazioni a catena simultanea”. “Sarà anche un mito neoliberista attribuire alle
decisioni individuali il potere supremo, ma non attribuire alle decisioni
individuali alcun potere è un mito disfattista.” “Per poter contribuire alla creazione del
mondo, anziché alla sua distruzione, un individuo deve agire a beneficio della
collettività. L’umanità fa i grandi passi quando gli individui fanno i piccoli
passi.”
Quasi in punta di piedi, infine, l’autore indica alcune ‘semplici’
azioni per contrastare il riscaldamento globale: ridurre lo spreco di cibo,
ridurre l’uso di aereo e automobile, favorire l’istruzione femminile e la
pianificazione familiare, passare collettivamente a un’alimentazione a prevalenza
vegetale.
E allora, sebbene difficile da “digerire”, il testo è una lettura
obbligata per chi vuole fregiarsi del titolo di cittadino consapevole. Tra
l’altro, si tratta di pagine assai coinvolgenti e ricche di concretezza descrittiva:
i capitoli sono disposti a cerchi concentrici e alternano i dati scientifici a
riflessioni sui comportamenti individuali e collettivi e a toccanti digressioni
personali. La mente di chi legge non viaggerà comodamente su un’autostrada, ma si
addentrerà in sentieri impervi che imporranno una sosta in luoghi strategici
del panorama cognitivo ed emozionale. Si arriverà alla fine del percorso
piuttosto provati, ma consapevoli di avere toccato una meta etica nuova,
spiazzante e impegnativa. Foer ci lascia con alcune innegabili verità: “Non possiamo vivere la nostra vita come se fosse solo
nostra”. “Salvare noi stessi richiederà un’azione collettiva, e agire
collettivamente ci cambierà. […] Compiendo il passo necessario […] non
salveremmo soltanto il nostro pianeta. Renderemmo noi stessi degni di essere
salvati”. “Ci sono solo due reazioni al cambiamento climatico: rassegnazione o
resistenza. Possiamo arrenderci alla morte o possiamo usare la prospettiva
della morte per esaltare la vita.”
Noi da che parte vogliamo stare?
Maria D'Asaro, 04.10.2020, il Punto Quotidiano
Grazie davvero grazie per quanto ho imparato leggendo solo questa pagina. Grazie per avere stimolato la mia curiosità per questo libro e anche per gli altri di Vito e Stefano Mancuso. angela tola
RispondiElimina@Angela: grazie a te per l'attenzione e l'apprezzamento.
RispondiEliminaSaluti cordiali, Maria D'Asaro