mercoledì 5 settembre 2018

Proxima estacion ...esperanza

           L’amico Augusto Cavadi  (che scelse tanti anni fa lo studio della Filosofia perché pensava che fosse un modo di contribuire a cambiare il mondo) anche quest’anno a Lovere, sulla sponda bergamasca del lago d’Iseo, a fine agosto, ha organizzato, col collega e amico Elio Rindone, la “XXI Settimana Filosofica per non... filosofi” sul tema: “lo spazio della speranza nell’epoca della disperazione”.
Ecco come è andata l’esperienza:
"Come sono andate le “Vacanze filosofiche per …non filosofi” a Lovere, sul lago d’Iseo, mi chiedete in molti (a voce, per telefono, per posta elettronica) ? La risposta più sintetica è: benissimo. Le quasi quaranta persone che hanno partecipato complessivamente alle sessioni si sono dichiarate, in privato e in pubblico, decisamente soddisfatte. Bello il posto, bello il tempo atmosferico, sobria ma gradevole l’accoglienza alberghiera. E poi, soprattutto, le varie sessioni sul tema dell’anno (“E’ possibile sperare nell’epoca della disperazione?”) sono state partecipate con vivacità e pertinenza. 
Qualcuno mi chiede anche di raccogliere le linee essenziali della riflessione comune e le conclusioni raggiunte, ma questo è un compito che supera di gran lunga le mie forze. Per non risultare eccessivamente evasivo proverei a raccontarla così.  (Continua qui)

Augusto Cavadi
E ancora qui: (riporto una sintesi dell'articolo)
(...)    C’è un modo per conciliare l’attenzione al (pur sfuggente) presente e uno sguardo lungo sul futuro che non degeneri in illusione alienante? Ecco una mia seconda notazione: il pensatore marxista (eretico) Ernest Bloch sostiene di sì. E’ possibile, anzi doveroso, anzi inevitabile, coltivare una “utopia concreta”: una progettualità orientata al “non ancora” che, però, si basi sull’analisi critica della situazione esistente, del “già”. Egli, nella seconda metà del XX secolo, riteneva che tale “utopia concreta” fosse identificabile nel marxismo, a patto che lo si intendesse come sintesi in divenire della sua “corrente calda” (passione profetica risalente alla tradizione biblica) e della sua “corrente fredda” (teoria scientifica della società e della storia elaborata da Marx e Engels): alcuni di noi - che non erano marxisti neppure nel Sessantotto quando sembrava intellettualmente e eticamente obbligatorio esserlo – continuiamo a pensare che questa identificazione blochiana (“Ubi Lenin, ibi Jerusalem”) non colga nel segno. Ma siamo, oggi come allora, convinti con Giorgio La Pira e molti altri, che il marxismo, fallimentare come terapia in quanto basato su un’antropologia errata, sia istruttivo – anzi, irrinunciabile – come diagnosi. E non è l’ultima delle disgrazie dei nostri giorni che la Destra più potente e più ignorante della storia occidentale – intendo la Destra che governa alcune zone cruciali del pianeta come gli Stati Uniti d’America e che minaccia di installarsi senza contrappesi in Italia – abbia convinto la stragrande maggioranza della popolazione che marxismo sia sinonimo di totalitarismo regressivo. 
        Il riferimento a Marx mi suggerisce una terza notazione. Nel corso di un laboratorio serale, Andrea (il giovane filosofo che lo conduceva) ha chiesto di scrivere su un foglietto la risposta a due domande: “Cosa ti manca nella vita? Cosa stai facendo per ottenerlo?”. Le risposte di cui si è avuta contezza (le leggevano a voce alta solo i partecipanti che lo decidevano) sono state tutte in chiave soggettivo-esistenziale: “mi manca la capacità di relazionarmi con gli altri”, “mi manca la coerenza quotidiana con i miei princìpi etici”, “mi manca una passione che mi coinvolga fortemente”…Nessuna risposta ha riguardato l’ambito sociale-politico. 
         Anche questo dato, a mio avviso, si presta a considerazioni di segno opposto. Di segno negativo: le speranze collettive sembrano tramontate per sempre o, per lo meno, essersi eclissate. Anche nei casi in cui assistiamo ancora con sdegno alle tragedie epocali – dai migranti che annegano a pochi chilometri dalle nostre spiagge, festosamente animate, alle bambine vendute e stuprate per pochi dollari in aree vastissime del pianeta – vi assistiamo con sorda rassegnazione: non vediamo organizzazioni partitiche, sindacali, religiose cui affidare la nostra impotenza individuale per trasformarla in energia collettiva. Per la verità esistono alcune Organizzazioni non governative che lavorano con sufficiente efficacia, ma (...) danno l’impressione di agire solo ...settorialmente; laddove si è convinti (...) che i drammi planetari attuali vadano affrontati preventivamente e, soprattutto, in un’ottica complessiva. 
      Tuttavia il tenore delle risposte alle domande di Andrea potrebbe conservare anche una valenza positiva: l’intuizione che le speranze al plurale nascono sempre, e si mantengono in vita, dalle speranze al singolare. Un’intuizione molto responsabilizzante che elide in radice ogni logica di delega: per dirla con Gandhi – che certamente non era un individualista apolitico – ognuno di noi deve impegnarsi ad essere per primo, nella propria sfera personale, il cambiamento che spera per il mondo. La speranza dell’io non esclude la speranza del noi; anzi, se autentica e intensa, non può che contagiare gli altri. La speranza, che per sua essenza è un atteggiamento del soggetto, può però essere condivisa da altri soggetti sino a diventare, a macchia d’olio, la speranza (se non di un popolo) di una consistente maggioranza di umani. 

Su Google digitando il sostantivo femminile speranza, in 50 centesimi di secondo si ottengono ad oggi 34 milioni e 500 mila risposte. Le più ottimistiche sono quelle “datate”, ma straordinariamente attuali, di  Eraclito: “Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato” e di Aristotele: ” La speranza è un sogno fatto da svegli”.  Le più pessimistiche quelle dello scrittore francese Luc de Clapiers: “Fa più vittime la speranza che l’astuzia” e in particolar modo quanto ha scritto Eloisa su Twitter: ”Non mi è mai piaciuto sperare. Soprattutto da quando ho scoperto che “spero” è l’anagramma di “perso”.  Personalmente restiamo della convinzione che ogni forma di vita rappresenti di per se amore, un sentimento istintivo di speranza. E quindi la vita è speranza e la speranza è vita.


2 commenti:

  1. La speranza non deve mai mancare.
    Saluti a presto.

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    1. @Cavaliere: hai ragione. Ma è così difficile mantenerla viva ... Saluti e buona settimana.

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