Picasso: Madre e figlio (1905) |
La
lettura di “Quattro soli a motore” (Neo.Edizioni, Castel di Sangro, 2012, € 15)
è avvenuta un po’ per puntiglio e per
rispetto di un impegno con me stessa (avevo chiesto il libro come regalo di Natale),
ma soprattutto perché volevo capire che sostanza e che ‘pasta linguistica’
contenesse l’opera seconda dell’autore, il blogger Zio Scriba, al secolo Nicola
Pezzoli, che nel suo profilo si definisce - oltre a “Umorista, Battutista,
Poeta Pentito, Gambler Esistenziale, Spirito Libero (…) Peter Pan Dichiarato,
Naturalista Contemplativo, Interista Isterico, Bastiancontrario Cronico,
Pericolosa Testa Di Pazzo” - innanzitutto “Natural Born Writer”, o
semplicemente “Scrittore". Questa presentazione ‘leggermente narcisista’ –
come confessato onestamente dal suddetto Nicola – ha fatto sì che iniziassi a
leggere il romanzo con una certa diffidenza, col sospetto che il suo autore si
rivelasse un pallone gonfiato. Invece, avanzando pagina dopo pagina e distanziando
la storia dai miei ingombranti pregiudizi, “Quattro soli a motore” mi ha
commosso e convinto.
La
lettrice si ritrova, nell’estate del 1978 a Cuviago, paesino sperduto della
Lombardia allora inondata da fabbriche e cemento, a fianco di Corradino, protagonista
della vicenda, con suo padre, sua madre “che
l’alcool non rendeva mai cattiva, solo svampita e più dolce”, la svanita nonna
Corinna, la cui esistenza nasconde un mistero, zia Trude, la signorina De Ropp e
le altre “millesettecento anime
abbastanza stronzolotte” del paese. Come Corradino, ha paura del Cane Nero
che abbaia furioso nella notte; si perde con lui nei campi di granturco “dove il vento produceva un fruscio come di
sonagli silenziati, di campanellini con l’ovatta, accompagnato dallo stormire
di centinaia di nacchere in miniatura”; s’indigna nel vedere tremare il
ragazzetto colpito dalle furiose cinghiate di Videla, soprannome affibbiato dal
figlio al padre manesco e violento: “Poteva
bastare una sua domanda innocua per capire che più tardi le avrei prese (…).
Altre volte bastava il suo sguardo, altre ancora una vera e propria
dichiarazione di guerra (…). Ricordo quando mi scoppiò la stupidera, e lui mi
picchiò per quello, perché ridevo e ridevo senza motivo, perché sembravo … un
bambino felice.”
La
lettrice si intenerisce per l’innamoramento struggente e senza speranza che il
ragazzo nutre per la Marilù del bosco. E lo guarda camminarle vicino, serio e
silenzioso “mentre le braci del tramonto
… già incendiavano spicchi di cielo, e ciuffi di nuvole in dissolvenza”. Non
sopporta la cattiveria crudele con cui Corradino viene trattato dai bulletti
del paese, che si divertono a tormentarlo con mille angherie e ad affibbiargli
un ridicolo nomignolo. Infine si appassiona nello scoprire l’intricato mistero
di villa Kestenholz, di cui il protagonista, assieme all’amico Gianni, alla
fine riesce a venire a capo. La lettrice scommette che tutti i lettori
resterebbero affascinati, alla fine della vicenda, dal legame delicato e
profondo che si istaura tra il ragazzo e il vecchio Kestenholz che vuole
saggiamente estirpare dall’anima di Corradino i sensi di colpa che nel tempo si
era fabbricato. Ricordandogli che “Chi
nasce, nasce perché nel suo albero genealogico ci sono dei rami spezzati e …
senza quella legna, segata e spaccata, non ci sarebbe quel fuoco che è la
nostra singola, incidentale vita. Siamo solo, e lo siamo tutti, nient’altro che
capricci del Caso.” E rassicurandolo,
perchè “le parole scritte non uccidono
quasi mai. Le parole scritte uccidono quando vengono considerate verità
assolute da qualche fanatico babbeo. “
Infine,
tra le pieghe del racconto, ma soprattutto nell’epilogo della vicenda, si
percepisce una netta e vibrante denuncia dell’assurdità della guerra, schiava
cieca dell’odio e serva della Grande Mietitrice. Si ricorda la morte inutile e
dolorosa dei soldati, destinata tragicamente all’oblio quando, dopo una guerra,
ce n’è un’altra: “Essere periti in una
guerra mondiale dopo che ce n’è stata già un’altra è (…) come esser stati
calpestati da un elefante di Annibale durante le Guerre Puniche o decapitati da
una scimitarra nelle Crociate.” E il saggio Kestenholz profetizza triste,
alla fine della storia, che “Se gli
uomini sono destinati ad avere sempre più forza e potenza, ma sempre meno
intelligenza, saggezza e capacità di discernimento … e sempre meno bontà … il
prossimo secolo saprà essere più buio. E quello dopo ancora, sempre peggio.”
Allora,
caro zio Scriba, per scacciare la sacrosanta tristezza che ci rimane a chiusura del
libro e per tentare di scongiurare la profezia di Kestenholz, non ci resta che provare
a mettere vita e parole - e tu le parole le sai usare con vero talento! - al
servizio della bellezza e della bontà.
Maria D'Asaro
Ecco perché è bello scrivere: perché esistono Lettrici come Te. E se questa splendida recensione servirà a raggiungere il cuore, la mente e l'anima anche solo di un'altra lettrice, per me sarà come un regalo di Natale anticipato. Grazie!
RispondiElimina@Zio Scriba: che parole calde e nutrienti ... Grazie. Buona scrittura e buona vita.
EliminaBellissima recensione per un libro che sembra davvero meritare.
RispondiElimina@Daniele: ti assicuro che se, a mio sommesso avviso, un libro non merita, non lo recensisco. O recensisco in modo diverso ... Buon fine settimana.
Elimina