domenica 14 maggio 2023

Ma splende davvero "Il sol dell'avvenire?"

      Palermo – “L’ultimo film di Nanni Moretti è un grande intreccio di storia italiana, di storie personali, della storia del regista, della storia e del senso del cinema e del fare cinema. Tanta roba che a volte sembra sovrabbondare, ma che per lo più trova una straordinaria e semplice armonia. Si ride, si pensa, ci si riflette: un grandissimo film.”
     “Faccio parte della minoranza di coloro che considera Il sol dell’avvenire un “non film”. (…) E in effetti non si capisce bene cosa sia l’ultima, perdibile, opera del regista eletto a coscienza critica della sinistra. Il mio giudizio nasce proprio in quanto avevo apprezzato tante sue pellicole, da Ecce Bombo a Bianca, da Palombella Rossa al Caimano, da La stanza del figlio ad Habemus Papam. In quei casi la sinistra diventa la lente, lo strumento critico per affrontare la condizione umana, i valori universali. Non parla solo a chi è di sinistra Moretti. Parla a tutti. Così intensi, così preveggenti i suoi film, così capaci di carpire lo spirito del tempo. 
    Ma questo? Questo proprio no. Che cos’ha di un film Il sol dell’avvenire? È semplicemente un insulso “patchwork” (ma io preferisco chiamarlo minestrone) autocelebrativo di riferimenti per cinefili amatoriali, condito dalle solite idiosincrasie, ossessioni, gusti e disgusti morettiani”.
    Lette su Facebook, le due valutazioni critiche, diametralmente opposte, scritte da due persone colte e autorevoli (il professore Vincenzo Lima, docente di Filosofia e cinefilo esperto, il dottore Francesco Anfossi, giornalista, già editorialista di ‘Famiglia Cristiana’) attestano quanto l’ultimo film di Nanni Moretti sia divisivo e controverso. Alla scrivente non rimaneva che andare a cinema a vederlo, e farsene una sua opinione. 
    Il film ha come protagonista Giovanni (Nanni Moretti), un regista che sta girando un film su come, in quel momento storico, reagirono i militanti del Partito Comunista Italiano all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Il film di Giovanni è prodotto da sua moglie Paola (Margherita Buy), e finanziato da un altro produttore, Pierre (Mathieu Amalric). Protagonisti del film in progress sono Ennio (Silvio Orlando), giornalista de L’Unità e responsabile della sezione del partito comunista a Quarticciolo, un quartiere di Roma, e la sua compagna Vera (Barbora Bobulova), sarta e militante convinta del partito. 
    Invitato dalla sezione di Ennio, nel quartiere romano arriva il circo ungherese ‘Budavari’, proprio nei giorni in cui i carri armati sovietici invadono l’Ungheria. La brutale e violenta repressione sovietica, risposta cruenta alle richieste di cambiamento del popolo ungherese, suscita in Vera e in Ennio un tormentato conflitto tra la fedeltà alla posizione filosovietica dei vertici del partito comunista italiano e il loro desiderio e quello di tanti compagni di schierarsi a fianco del popolo ungherese. 
Durante le riprese, il sostegno economico di Pierre intanto viene meno perché Pierre è coinvolto in un’inchiesta giudiziaria. 
    E allora le cose si complicano. Paola trova il coraggio di confessare a Giovanni che la loro unione trentennale è in crisi. E una mattina Giovanni occupa materialmente il set del film di un altro regista - film di cui è produttrice sempre la moglie Paola - per contestare l’abusata rappresentazione nei film della violenza fine a sé stessa, senza alcun fine etico e catartico.
Ci si ferma qui per non raccontare tutto.
    Dalla sala cinematografica (piuttosto vuota, in verità) come ne è uscita la sottoscritta?
Né delusa né entusiasta: era il film ‘morettiano’ che si aspettava di vedere. Il regista, infatti, ha confezionato un film intellettuale e autocelebrativo per quanto si voglia, ma comunque intelligente.
   Moretti utilizza ancora una volta la metafora del cinema nel cinema e la storia (con riflessi autobiografici) del regista in crisi, in un continuo – e a mio avviso convincente - gioco di rimandi tra dimensione pubblica e privata. Il film è strapieno di citazioni e autocitazioni, ma così esplicite, manifeste e ironiche da essere ‘digerite’. Certo, Il sol dell’avvenire è assolutamente cerebrale e lascia poco spazio al sentimento o alle emozioni: niente a che fare con Caro diario, Mia madre, Aprile, La stanza del figlio…
   Ma chi, come la sottoscritta, è ‘boomer’ e appassionato/a di Storia e di Politica, ama il Cinema e vede con sospetto l’appiattimento culturale provocato dalle serie di Netflix, viste in 190 paesi perché si utilizzano gli algoritmi che catturano lo spettatore, riesce a gustare il film senza annoiarsi più di tanto, con un certo interesse e con sufficiente partecipazione. E talvolta con un sorriso. 
   E se poi la spettatrice è una donna che in cuor suo spera contro ogni speranza in un qualche ‘sol dell’avvenire’, non può che apprezzare, pensosa e commossa, il colpo d’ala dell’inatteso finale…
Maria D'Asaro, 14.5.23 il Punto Quotidiano

4 commenti:

  1. Concordo sul patchwork spesso forzato, come se di montaggio avesse lavorato ad infilare più memorie e tic possibili. La Nutella però deve sembrata troppo pure a lui.. strano.. ;)

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    1. @Franco: grazie intanto per il 'buona' e non 'buonista'... Penso che una chiave di lettura del "patchwork spesso forzato" sia da cercare - ma qui mi avventuro in introspezione psicologica - nel fatto che forse oggi il Moretti/uomo non riesca a fare sintesi, nè umane nè politiche... E siccome il regista è legato all'uomo, ecco il minestrone non bene amalgamato...

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  2. Spero di guardarlo presto, in modo da farmi un opinione.

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    1. @Cavaliere: in ogni caso, a mio avviso, ne vale la pena...

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