Palermo – I miei stupidi intenti (Sellerio, Palermo, 2021), romanzo di esordio di Bernardo Zannoni, vincitore nel 2022 del Premio Bagutta Opera Prima e del Premio Campiello, stupisce, cattura e intriga il lettore, perché l’autore dà voce agli animali che vivono in un boschetto (volpi, ricci, faine, tassi, lepri, cani, maiali…) e li fa interagire come se vivessero nel mondo degli uomini.
Niente a che vedere però con fiabe e favole: si tratta di un universo animale misteriosamente sospeso tra umanità pensosa e ferinità istintuale, in una sorta di limbo nè umano né bestiale, ma che è entrambe le cose e forse qualcosa di più… Un’inedita situazione di confine resa in modo felice sotto il profilo creativo ed espressivo.
Protagonista della storia è una faina maschio di nome Archy che , appunto, esprime pensieri e sentimenti umani. Archy, divenuto zoppo dopo l’infelice tentativo di predare delle uova in un nido, viene venduto dalla madre Annette a Solomon, una vecchia volpe che vive in cima a una collina e che esercita il mestiere di usuraio.
Dopo il difficile adattamento alla vita da servo alle dipendenze di Solomon, ad Archy si squaderna un mondo nuovo e sconvolgente: la volpe, che è riuscita a carpire dagli uomini il segreto della scrittura e possiede una vecchia Bibbia, decide di iniziare anche la faina alla straordinaria dimensione delle parole: “Mi insegnava con grande impegno, superando la fatica. (…) Vedevo in lui una foga nascosta, un accanimento mansueto che non sapevo a cosa legare”.
Così Archy scopre che Solomon ha scoperto Dio nelle parole della Bibbia, lo adora sopra ogni cosa e, in qualche modo, si ritiene suo figlio. Attraverso le parole di Solomon, però la faina viene a conoscenza dell’ineluttabile destino di morte, comune a bestie ed esseri umani: “la tremenda scoperta della morte mi tolse il sonno e mi rese fiacco, lasciandomi annegare in una silente disperazione (…); il mio rapporto della vita era scomparso dietro la coscienza della fine”.
Sebbene Solomon lo avesse messo in guardia sulla caducità dei legami d’amore – “sono cose da animali, il fottere, affezionarsi a un odore, legarsi ad un solo corpo tra gli altri, sono cose per stupidi” – Archy ritrova baldanza e voglia di vivere quando incontra Anja, una faina femmina per la quale prova un innamoramento feroce e repentino. Per unirsi a lei, è disposto a superare ogni ostacolo. Accetta così nuove sfide, continuando a pensare con sagacia e premeditazione umana come nel suo corpo di faina, ma, se è il caso, ad agire in modo violento e spietato, come capita tra gli animali e tra gli uomini…
E la vicenda presenta ulteriori sviluppi e colpi di scena.
Però, se come la scrivente si ha ribrezzo della violenza e dello spargimento di sangue, il romanzo si legge con sofferenza e si fa fatica ad arrivare alla fine. La sottoscritta confessa che forse non lo avrebbe mai intercettato, se non le fosse stato donato da una cara amica, tanto il libro è distante dal suo abituale orticello di letture e dalle prospettive ireniche e di armonia da lei auspicate.
La scrivente ammette però che è stata una lettura gradevole dal punto di vista linguistico: la storia è scritta in prima persona, come se fosse direttamente Archy a raccontare, con una scrittura limpida e semplice, ma chiara, accurata e preziosa.
E si tratta comunque di una storia in qualche modo formativa: I miei stupidi intenti, infatti, anche se duro da digerire per palati sensibili e delicati, è un libro potente e disperato, a tratti quasi epico, che pone con crudezza gli interrogativi esistenziali di sempre: perché si vive, animali o uomini che siamo? C’è un antidoto alla violenza, alla lotta senza quartiere per la sopravvivenza e per affermare i nostri stupidi intenti? Qual è il confine tra natura umana e natura ferina? C’è davvero un confine? C’è un aldilà dopo la morte?
Sicuramente la possibilità di raccontarsi attraverso la scrittura, se non ci salva, ci consola. Anche se l’ultima parola, ci dice il giovane e talentuoso autore, lascerà poi il posto al silenzio disperato e misterioso del non essere più.
Così anche Solomon, la volpe che aveva scoperto Dio, “Alla fine, salvato o meno, non se n’era andato con un sorriso, non aveva pregato Dio, ma chi gli era accanto nel letto, sperando di rialzarsi, come un animale. Forse è questo che la morte ci insegna, per chi sa del suo arrivo: quell’attimo più buio è un percorso solitario, nei meandri di sé stessi, dove ogni cosa sparisce e si tenta di riacciuffarla. É l’anima di questo mondo, la sua forza più grande; nessuno chiede di nascere, ma nemmeno di andar via”.
Maria D'Asaro, 21.5.23, il Punto Quotidiano
Molto interessante.
RispondiEliminaTi auguro una serena domenica e buon pranzo.
@Cavaliere: grazie dell'attenzione... buona serata.
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