Palermo – Come nasce e si sviluppa una guerra? Ci sono analogie e dinamiche ricorrenti tra le guerre combattute nell’antica Grecia e quelle odierne? Andrea Cozzo, docente di Lingua e Letteratura greca all’Università di Palermo, nel libro La logica della guerra nella Grecia antica (University Press, Palermo, 2024), risponde con chiarezza a queste domande, attraverso un’analisi rigorosa e accurata di vari scritti della Grecia antica e la disamina di alcune guerre di oggi.
Per chi scrive, la lettura del testo è stata tanto dolorosa quanto necessaria: dolorosa perché, attraverso le testimonianze storiche riportate dall’autore, è discesa nell’inferno delle guerre antiche facendo memoria di eventi terribili, lutti, stupri, torture e infinite devastazioni; necessaria perché ha preso ulteriore consapevolezza dell’irrazionale assurdità della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Quindi, ad avviso della scrivente, La logica della guerra nella Grecia antica (scaricabile gratuitamente qui: https://unipapress.com/book/la-logica-della-guerra-nella-grecia-antica/), andrebbe letto da ogni persona che vuole accrescere la sua coscienza umana e civile.
Cosa si impara, quindi, da questo saggio prezioso?
Intanto che “Il gioco drammatico della guerra costituisce una vera e propria trappola, perché ha una dinamica propria, in parte oscura e aleatoria”: “è la guerra, il suo meccanismo a farsi soggetto e a prendere il potere sugli uomini”. Come scriveva lo storico Tucidide, riguardo alle guerre civili «la guerra… è un maestro violento, e rende conforme alle circostanze lo spirito della gente».
Leggendo le cronache degli innumerevoli conflitti armati nella Grecia antica, si ha la sensazione che davvero i combattenti, da una parte e dell’altra, siano soggiogati da un «offuscamento mentale» (che Omero chiama áte), e così trasformati in una sorta di burattini tragici, in mano a divinità capricciose che li portano alla rovina.
L’autore sottolinea poi che la prima vittima della guerra è la verità, che spazza via l’oggettività. A tal proposito, evidenzia le analogie tra le dinamiche narrative nel racconto erodoteo delle guerre persiane e in quello della prima guerra del golfo: “Nel primo caso, ai Greci sono attribuiti tutti i valori ritenuti positivi (…). Nel secondo, si applica uno schema pienamente parallelo contrapponendo la libertà, la giustizia, la democrazia occidentale che conduce una guerra ‘chirurgica’, con bombe intelligenti che prendono di mira solo i militari della parte avversa”.
Allora, quando oggi si ascoltano le notizie dei media dai campi di battaglia, bisognerebbe sempre ricordare che la verità non appartiene mai alla guerra perché fa parte dei piani militari non dare informazioni sulle proprie reali condizioni. Citando scritti di Plutarco ed Erodoto e di trattatisti militari, Cozzo sottolinea che “in guerra nessuna evidenza è mai davvero prova di qualcosa” e che “in guerra ciò che conta è l’apparenza, ciò che si vuol fare apparire”. La guerra è poi assimilabile a una pratica teatrale (non a caso spesso si pronuncia la frase ‘teatro delle operazioni belliche’), che si fa non solo con le armi, ma anche con le parole e con la psicologia e che spesso, nel passato come nel presente, prevede la ‘damnatio memoriae’ e la cancellazione dei segni della cultura del nemico.
Inoltre, sottolinea l’autore, ieri come oggi, non fanno un buon servizio alla pace gli attori mediatici che pongono come domande ricorrenti (e forse uniche) “Chi ha ragione? Chi è il buono? (l’aggredito) e chi è il ‘cattivo’ (l’aggressore)? Qual è la causa (rigorosamente al singolare) del conflitto armato? Chi ha commesso crimini di guerra? Quale delle due parti in conflitto fa la propaganda e quale dice la verità? (…). Sono tutte domande all’interno di un’impostazione del problema bellico che pensa la soluzione, sebbene dentro tempi per nulla definiti, in termini militari: ‘ovviamente’, basta capire chi è nel torto e porsi accanto, con le armi, a chi è dalla parte della ragione. (…). Ma la questione è: si tratta di un’impostazione che possiamo ritenere corretta, utile o anche solo necessaria?”
Infatti, riguardo al primo basilare interrogativo (chi ha cominciato?) Cozzo, alla luce di una disamina storica rigorosa, evidenzia che “dalla guerra di Troia in poi, la responsabilità, gli inizi e le cause di una guerra non sono mai lineari” e “Quasi nessuno ammette di attaccare illegittimamente per primo”.
E poi: “La causa di una guerra può essere individuata diversamente da ciascuna delle parti in conflitto: lo si è visto nel disaccordo tra Fenici e Persiani a proposito della responsabilità dell’inimicizia tra Greci e barbari (…) o nel problematico rapporto tra Sparta e Atene nel V sec. a.C.” “Basta periodizzare diversamente da come fa il ‘nemico’ e selezionare un fatto piuttosto che un altro e la giustizia starà interamente dalla propria parte”.
Da sempre le parti in guerra nutrono l’illusione di una rapida risoluzione del conflitto armato: “Tale illusione prevede innanzitutto l’idea che si entri in guerra con decisione perché si tratterà di una guerra-lampo”. La pretesa del controllo e della rapidità della guerra fa un tutt’uno con l’illusione della vittoria. Inoltre, ogni guerra non pone solo la questione delle sue cause reali e di chi abbia iniziato, ma anche di dove risieda la giustizia e a chi appartenga veramente, non essendo torti e ragioni autoevidenti e visibili a tutti allo stesso modo.
Andrea Cozzo si ritrova d’accordo con la tesi dello studioso Johan Galtung (da poco scomparso) secondo cui sia le guerre dell’antichità che quelle contemporanee sono fondate sul sistema di pensiero DMA, acronimo di Dicotomizzazione, Manicheismo, Armageddon. Per Galtung la DMA è una vera e propria sindrome patologica, in quanto i rapporti tra i contendenti sono impostati sulla Dicotomizzazione, cioè sulla polarizzazione irrisolvibile Io-l’Altro, senza possibilità di dialogo e di confronto tra le parti; sul Manicheismo, che induce a credere che da una parte, naturalmente la propria, ci sia tutto il Bene e dall’altra, quella altrui, tutto il Male; sull’Armageddon, l’idea per cui il conflitto deve risolversi inevitabilmente con il ricorso alle armi.
Ancora, il testo induce chi legge ad abbandonare l’illusione che nella guerra possano esistere limitazioni etiche: citando molti esempi, l’autore mostra che c’è una ferocia strutturale in tutti i conflitti armati e che “la ferocia e non ‘proporzionalità dei danni da infliggere al nemico, ben diversamente da come oggi spesso si pretende, sono un elemento organico alla guerra e non una sua anomalia. (…) “Quelli che chiamiamo ‘crimini di guerra’ fanno parte intrinsecamente della pratica bellica, e la distinzione tra combattenti e non combattenti si rivela solo vuota retorica (…). La tecnica della guerra non conosce distinzioni né limiti: essa è, per definizione, uno stato d’eccezione rispetto a ogni regola”.
Il testo mostra come nell’antichità (e spesso anche oggi) la situazione dei civili non fosse affatto migliore di quella dei soldati. La vendetta atroce si esercitava nel passato soprattutto sulle donne degli sconfitti: da sempre donne e bambini patiscono le peggiori conseguenze delle guerre.
L’autore sottolinea ancora che ogni guerra si trasforma in un vicolo cieco e cita il professore Alberto Camerotto che scrive «quando si comincia una guerra non si può più tornare indietro. Una volta intrapresa la strada delle armi, appare necessario arrivare alla vittoria, perché il sangue delle vittime apparirebbe essere stato versato inutilmente (…) Nessuno pensa invece al sangue che, con la cessazione della violenza, verrebbe risparmiato».
Si riporta poi lo stretto rapporto nell’antichità tra religione e guerra, evidenziando i vari modi in cui tale relazione si esplicava. Cozzo però aggiunge: “Che le cose vadano in questa maniera in una società in cui politica, giustizia e religione non sono ambiti autonomi…non dovrebbe stupirci. A stupirci, piuttosto, forse dovrebbe essere il fatto che anche oggi (…) ogni esercito abbia i suoi cappellani militari che benedicono uomini che vanno a uccidere e a essere uccisi”.
L’autore evidenzia infine come nell’antichità il ruolo degli storici vada inteso in senso molto lato: “A quei tempi generi e strutture narrative non hanno uno statuto distinto o, almeno, esso non coincideva con le categorie odierne”. I resoconti di Erodoto, Tucidide, Polibio, Diodoro Siculo restano all’interno di un pensiero segnato dall’orizzonte bellico: “il mestiere dello storico è la continuazione, sul piano della scrittura, di quello del soldato e del comandante”. Qualche spiraglio di un diverso orizzonte si ha con Plutarco di Cheronea e in Dionigi di Alicarnasso, secondo cui “Il racconto storico deve educare non solo a vincere la guerra, ma anche a costruire la pace”.
È consolante leggere, comunque, che già nel 373 a.C. due ateniesi illuminati, Callia e Callistrato, affermassero rispettivamente che bisogna iniziare le guerre con la maggiore lentezza possibile e, quando già ci siano, finirle il più rapidamente possibile e che «certamente, tutti sappiamo che sempre sono scoppiate guerre e sempre sono finite, e che noi, se non ora, poi desidereremo la pace. Perché dunque bisogna aspettare il momento in cui rinunceremo (alla guerra) per la moltitudine dei mali, piuttosto che fare la pace al più presto, prima che avvenga l’irrimediabile?»
Bellum alienum a ratione, denunciava già nel 1963 la Chiesa cattolica con l’enciclica Pacem in Terris: modalità irrazionale e diabolica di affrontare i conflitti internazionali, la guerra è davvero il male assoluto. Saremo così saggi da capirlo in tempo e di cancellarla dalla Storia?
Maria D'Asaro, 13.10.24, il Punto Quotidiano
"Bellum alienum a ratione, denunciava già nel 1963 la Chiesa cattolica con l’enciclica Pacem in Terris: modalità irrazionale e diabolica di affrontare i conflitti internazionali, la guerra è davvero il male assoluto. Saremo così saggi da capirlo in tempo e di cancellarla dalla Storia?". La conclusione del tuo articolo è giustamente interlocutoria: non pensavamo di trovarci nuovamente così vicini alla guerra. E non dobbiamo in alcun modo assuefarci. Perciò grazie di cuore per la presentazione di questo libro. Buona domenica, Rossana.
RispondiElimina@Rossana: grazie della tua attenzione costante e del tuo apprezzamento. Buona domenica.
EliminaLa guerra è l'apoteosi della stupidità umano.
RispondiElimina@Cavaliere: hai proprio ragione...
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