domenica 29 maggio 2011

NOI LO ASSOLVIAMO....



LUISA MURARO: SE LA MADRE DELLA BAMBINA
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Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) il seguente articolo apparso sul quotidiano "Metro" del 26 maggio 2011 col titolo "Papa' di Elena da assolvere".)



Condivido la riflessione di Luisa Muraro.



Se la madre di Elena lo difende, noi assolviamo il padre. Parlo di quel pover'uomo che ha causato la morte della figlia da lui dimenticata all'interno dell'auto chiusa sotto il sole. Non e' il primo ma speriamo con tutto il cuore che sia l'ultimo. La paternita' come l'intendiamo oggi e' relativamente nuova e gli uomini la stanno imparando. Anzi, in parte, la stanno inventando; la maternita' infatti non e' un modello, e' altra cosa: biologica, potente e non imitabile.
Ci sono uomini che protestano perche', quando si separano dalla madre dei loro figli, la giustizia non considera i loro sentimenti paterni quanto quelli materni. La protesta e' sbagliata se si pretende la parita', che non esiste su questo terreno. Ma ha valore se quello che la protesta esprime non e' il possesso, non e' la ripicca, ma un serio impegno affettivo verso i figli. A questi padri si chiede solo una cosa, di mostrarlo. Come, per esempio? Rispettando, nella donna che non amano piu', la madre dei loro figli.
Una poetessa ha scritto, rivolgendosi a Dio: "Se tu fossi una madre..." Gli uomini si ispirano troppo a un Dio maschile. Ero in taxi quando la radio annuncio' che non c'erano piu' speranze di salvare la bambina Elena. Dopo un silenzio, scoppio' un contrasto tra me e il tassista, lui trovava che l'uomo fosse colpevole e andasse punito, io gli opposi che non era il caso di aggiungere castigo a castigo, lui di rincalzo a dire: poi dimentichera' tutto.

Pensai: dovremmo augurarcelo, ma non osai dirlo. E' stato allora che ho coniato quella frase, che suona come un principio da far valere nelle aule di giustizia: se la madre della bambina lo difende, noi lo assolviamo.

sabato 28 maggio 2011

A SENO SCOPERTO






Questa volta, la domenica mattina sull’autobus, non ci sono volti speciali: solo ragazzini con l’ipod, i pensionati, gli extracomunitari dagli occhi un po’ tristi: ormai con le stesse movenze e gli stessi pensieri dei palermitani, se non fosse per la loro pelle un tantino diversa.

E poi c’è una mamma.

Dai grandi occhi sereni. La pelle chiara la direbbe palermitana.

E’ seduta.



Ha in braccio suo figlio.

Che succhia il suo seno.

Per una volta, un seno mostrato non per solleticare la voglia di piacere o per pubblicizzare l’ultimo modello di reggiseno mozzafiato.

Un seno nudo solo per dare cibo, colore, conforto a un bambino.


Vorrei ringraziarti, giovane, sconosciuta mammina. Per il tuo gesto naturale e sereno. Che è cosa c’è di più antico e spontaneo che allattare un bambino? Forse, niente. Ma per Palermo è una cosa nuova.

Quasi un regalo, in questa città troppo spesso sconcia e violenta.

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 27-5-2011)

domenica 22 maggio 2011

C'e bisogno - Gen rosso e Francesco Guccini

Una bella canzone del Gen Rosso (legato al movimento dei Focolarini, movimento cristiano ecumenico fondato dalla splendida Chiara Lubich) interpretata anche da Francesco Guccini.

Parole bellissime.
Buona domenica a tutte/i.

C'è bisogno di silenzio, c'è bisogno di ascoltare
c'è bisogno di un motore che sia in grado di volare.
C'è bisogno di sentire, c'è bisogno di capire
c'è bisogno di dolori che non lasciano dormire.
C'è bisogno di qualcosa, c'è bisogno di qualcuno
c'è bisogno di parole che non dice mai nessuno.
C'è bisogno di fermarsi, c'è bisogno di aspettare
c'è bisogno di una mano per poter ricominciare.
C'è bisogno di domande, c'è bisogno di risposte
c'è bisogno di sapere cose sempre più nascoste.
C'è bisogno di domani, c'è bisogno di futuro
c'è bisogno di ragazzi che sono al di là del muro.
c'è bisogno di un amore vero
c'è bisogno di un amore grande
c'è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo sempre più distante.
(...)
C'è bisogno di un amore vero
c'è bisogno di un amore immenso
c'è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo che ritrovi senso.
Abbiamo visto cose nuove
abbiamo fatto tanta strada
ma il mondo che verrà domani
resta un'impresa da titani.
Siamo tutti adesso importanti
siamo tutti un po' più attori
in questi grandi lavori in corso.
(...)
C'è bisogno di un amore vero
c'è bisogno di un amore "amore"
c'è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo che abbia più colore.
C'è bisogno di memoria, c'è bisogno di pensare
c'è bisogno di coraggio, c'è bisogno di sognare.


101 STORIE/ I BUONI MAESTRI (2): CHI CI AIUTA A PENSARE

Una cosa è ormai chiarissima: il compito fondamentale della scuola non è insegnare nozioni, ma aiutare i ragazzi a pensare. Martha C. Nussbaum, una delle piu' influenti pensatrici contemporanee, lo esplicita benissimo con questo suo scritto dal titolo: "Il fascino di vedere il mondo con gli occhi degli altri", pubblicato dal quotidiano "La Repubblica" il 15 aprile 2011.

Dove va oggi l'istruzione? Non si tratta di una domanda da poco. Una democrazia si regge o cade grazie al suo popolo e al suo atteggiamento mentale e l'istruzione e' cio' che crea quell'atteggiamento mentale.
Malgrado cio', assistiamo a cambiamenti radicali nella pedagogia e nei programmi scolastici, sia nelle scuole che nelle universita', cambiamenti sui quali non si e' riflettuto a sufficienza.
La maggior parte dei Paesi moderni, ansiosi di crescere economicamente, hanno cominciato a pensare all'istruzione in termini grettamente strumentali, come ad una serie di utili competenze capaci di produrre un vantaggio a breve termine per l'industria. Cio' che nel fermento competitivo e' stato perso di vista e' il futuro dell'autogoverno democratico.

Come Socrate sapeva molti secoli fa, la democrazia e' "un cavallo nobile ma indolente". Per tenerla sveglia occorre un pensiero vigile. Cio' significa che i cittadini devono coltivare la capacita' per la quale Socrate diede la vita: quella di criticare la tradizione e l'autorita', di continuare ad analizzare se stessi e gli altri, di non accettare discorsi o proposte senza averli sottoposti al vaglio del proprio ragionamento.
Oggi la ricerca psicologica conferma la diagnosi di Socrate: la gente ha la preoccupante tendenza a sottomettersi all'autorita' e alle pressioni sociali. La democrazia non puo' sopravvivere se non poniamo un limite a questi pericolosi atteggiamenti, coltivando l'attitudine a pensare in modo curioso e critico. Fin dal tempo in cui Socrate esortava gli ateniesi a non "vivere una vita senza indagine", sono soprattutto gli studi umanistici, e in particolare la filosofia, a permettere di coltivare tali capacita'.

Coltivare l'argomentazione di Socrate favorisce inoltre un sano rapporto tra i cittadini nel momento in cui essi discutono di importanti questioni all'ordine del giorno. I mezzi di comunicazione moderni amano le frasi lapidarie e la sostituzione di un'autentica discussione con l'invettiva. Cio' crea una cultura politica degradata.
In un corso di filosofia, invece, gli studenti imparano a sviscerare l'argomentazione dell'avversario e a chiedere quali sono gli assunti sui quali essa si basa. Nel fare cio', spesso gli studenti scoprono che le due parti, in realta', hanno molto in comune e sorge in loro la curiosita' di vedere in cosa realmente essi divergono, anziche' considerare la discussione politica semplicemente un mezzo per segnare punti a favore della propria squadra e di umiliare l'avversario. La filosofia contribuisce cosi' a creare uno spazio realmente deliberativo e questo e' cio' di cui abbiamo bisogno, se vogliamo risolvere gli enormi problemi che affliggono tutte le democrazie moderne.
Ai cittadini occorre anche la conoscenza della storia, i fondamentali delle principali religioni e del modo in cui funziona l'economia globale. Ancora una volta, gli studi umanistici sono essenziali a questo sforzo di comprensione globale: lo studio della storia del mondo e delle principali religioni, lo studio comparato della cultura e la comprensione di almeno una lingua straniera, sono tutti elementi essenziali nel favorire una sana discussione circa i pressanti problemi del mondo.
Inoltre, questo insegnamento storico deve includere un elemento socratico: gli studenti devono imparare a valutare l'evidenza, a pensare da soli sui diversi modi in cui essa puo' essere collocata e messa in atto nella realta' attuale.
Percio', per realizzare un'idea soddisfacente di cittadinanza globale, abbiamo bisogno anche della filosofia. Infine, i cittadini devono essere in grado di immaginare come appare il mondo agli occhi di coloro che si trovano in una situazione diversa dalla loro.
Gli elettori che prendono in esame una proposta che interessa gruppi diversi (razziali, religiosi, ecc.) all'interno della loro societa', devono essere in grado di immaginare le conseguenze che tali proposte hanno sulla vita delle persone reali e cio' richiede un'immaginazione coltivata. In che modo si coltiva l'immaginazione? Tutti noi veniamo al mondo muniti di una rudimentale capacita' di positional thinking, di pensare dal punto di vista degli altri, ma tale capacita', solitamente, opera in un ambito limitato, nella sfera familiare, e richiede un ampliamento e un perfezionamento intenzionali.

Questo significa che abbiamo bisogno della letteratura e dell'arte, attraverso le quali raffiniamo quello che il grande romanziere afroamericano Ralph Ellison definiva il nostro "occhio interiore", imparare a vedere coloro che sono diversi da noi non soltanto come un minaccioso "altro" ma come esseri umani totalmente eguali, con aspirazioni e obiettivi propri.
Ciononostante, in tutto il mondo, gli studi umanistici, l'arte e persino la storia vengono eliminati per lasciare spazio a competenze che producono profitti, che mirano a vantaggi a breve termine (…).
Dobbiamo opporci con forza ai tagli agli studi umanistici, sia nell'istruzione scolastica che in quella superiore, affermando con fermezza che tali discipline apportano elementi senza i quali le democrazie moderne, come quella ateniese prima di Socrate, sarebbero ancora una volta dominate da una mentalita' gregaria e dalla deferenza verso i capi carismatici.
Questo sarebbe uno scenario terribile per il nostro futuro.

sabato 21 maggio 2011

15.05.2011 4° Pasqua – Anno A


(...) Care sorelle e fratelli, questo tema del pastore è molto delicato, perché Gesù dice: “Coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti”. Esclude che quelli che verranno dopo di lui possiamo essere ladri e briganti? Lo esclude forse? Non lo esclude: il caso, di questi giorni, di un prete pedofilo e spacciatore di droga, credo che rientri, purtroppo … Non voglio fare letture troppo pessimistiche.
Voglio dire soltanto che, dinanzi alla parola del Signore, dobbiamo metterci in atteggiamento di perenne conversione, perché tutti noi che siamo pastori siamo indegni di esserlo.
Ma non perché facciamo cose cattive: ma perché non credo che nessuno di noi riesca a interpretare come Gesù Cristo, dato che lo facciamo in nome suo, ma non in sua sostituzione, perché il nostro unico pastore e guardiano delle nostre anime resta lui: Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al Pastore e guardiano delle nostre anime.
 Lui resta l’unico pastore. Noi che esercitiamo il ministero pastorale, credo che dobbiamo partire dal riconoscimento che siamo tutti indegni. Perché?

Perché la differenza tra Gesù, buon pastore, e tutti noi, è che Gesù è pastore perché è pronto a morire per le sue pecorelle. E non le tratta da pecore. Perché l’ultima frase, è la frase più bella che potesse essere detta: “Egli è venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

La vita in abbondanza: cioè la gioia piena, la gioia di esistere. La gioia di esserci, in questa nostra esistenza, l’unica di cui siamo fruitori, e di viverla in pienezza.
(...)
La differenza è questa: Siamo noi a concepire il ministero come disponibilità a morire per la comunità, per la sua salvaguardia, per l’incremento della vita di tutte le sue persone, interrogandoci per ognuna:
- Cosa è meglio per te? Cosa è meglio per te? Come puoi sperimentare la pienezza della vita? - Quindi dovremmo interrogarci sulla pienezza della vita, non sulle privazioni della vita. Quelle poi ce le imporrà la storia, le vicende della nostra vita, ce le imporranno …
Ma noi dobbiamo rispondere a questa domanda: - Che cosa incrementa la tua vita per davvero? Che cosa ti può fare essere felice di te stesso, di te stessa? - E allora il servizio è reso per incrementare tutto questo.

O facciamo questo o altrimenti rischiamo di scivolare verso un ministero pastorale che è di altra natura. Che non è quello che a cui ci invita il Signore. Che tutte le pecore, o meglio il popolo cristiano abbia la vita e l’abbia in abbondanza.
Ed essere pronti a morire per salvaguardare tutti, tutti. Nella ricerca di questa pienezza.
Che non sia lesiva della pienezza altrui, s’intende. L’unico limite è che la ricerca di uno non venga a compromettere la ricerca di un altro, cioè che non ci si faccia male.

Ma a noi non interessa il pensare negativo. Ci interessa solo come il guard-rail sull’autostrada: per non cadere. Perché noi dobbiamo camminare, dobbiamo crescere, dobbiamo incrementare, dobbiamo portare a compimento il progetto di Dio che è ciascuno di noi.

Non il progetto a cui dobbiamo adeguarci: ognuno di noi è un progetto di Dio. Irripetibile, unico che deve essere realizzato. - Come Dio vuole la mia vita? E questo lo facciamo faticosamente, lo andiamo scoprendo a poco a poco, non sempre è facile: nessuno di noi ha formule precostituite, ogni persona è tutta da inventarsi.
Quindi non si tratta di adeguarsi a un progetto che esiste chissà dove: ma noi siamo proiettati, siamo in divenire continuo, e ci realizziamo man mano, anche per tentativi ed errori. Passiamo attraverso tanti errori. Quante volte abbiamo scoperto le cose più belle anche sbagliando…
Si chiama riciclaggio, questo. E’ una categoria nuova, ma la possiamo utilizzare: fare tesoro dei propri e degli altrui errori. E guardare avanti. E incrementare la vita delle persone.
Perché la vita esiste in quanto incarnata in qualcuno. Neppure la vita può essere un’astrazione. La zoè di cui si parla qui è la vita personale. E’ la vita di ogni persona che è chiamata a fare il suo cammino.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)

venerdì 20 maggio 2011

Il ragazzo con la pistola

     E’ ovvio: sarà una pistola giocattolo. Però un ragazzino che punta la pistola finta a un coetaneo, e dice con la faccia feroce: “Ti ammazzo”, mi fa ugualmente pensare. Si sa, i ragazzini spesso ci imitano. Che cosa copiano nelle borgate palermitane? Violenza e arroganza, voglia di prevaricare e di imporsi. Intanto, alzando la voce e facendo a pugni. Oppure brandendo un coltello o una pistola, magari vera. E poi alcuni passano a riscuotere il pizzo o a taglieggiare la ditta che non paga.
Sono passati diciannove anni dal suo assassinio, ma a me Giovanni Falcone manca moltissimo. Mi manca il giudice intelligente e tenace, mi manca il concittadino ironico e onesto. Vorrei tanto che a Palermo i ragazzi di periferia avessero lui e Paolo Borsellino come modelli di vita. E che ci fossero altri don Puglisi, che li guidino verso ideali diversi.
     Senza pistole, vere o finte che siano.

Maria D’Asaro, “Centonove”, 20.5.2011

martedì 17 maggio 2011

101 STORIE: La morte, minuto per minuto...


     Non incontro solo ragazzi difficili.
Talvolta, anche i cosiddetti “normali”: quelli che vanno bene a scuola, quelli che non si assentano mai. Quelli che hanno solo un urgente bisogno di essere ascoltati.
    Una volta è venuta a trovarmi una ragazzina: voleva dirmi che non sapeva scegliere con chi fidanzarsi tra due pretendenti. Poco prima avevo salutato un’alunna a cui mancava tanto suo padre, in carcere da anni; dopo mi aspettava un laboratorio di recupero con ragazzini veramente “tosti”. Però, anche se in modo rapido e lieve, qualche istante ai precoci problemi di cuore dell’alunna l’ho dedicato.

    Un giorno, mi si presenta un ragazzino di prima media. Un alunno praticamente modello: frequenza regolare e profitto più che buono. Uno di quelli che, in genere, non ho la fortuna di conoscere. Davanti a me un volto da angioletto, punteggiato da efelidi gentili. Grandi occhi celesti, capelli biondi e tanti ricciolini, quasi da bambina. Un corpo paffutello, ancora cinto dalla pingue rotondità dell’infanzia.
Gli chiedo, con un sorriso, perché ha voluto incontrarmi. Mi dice che alcuni compagni fanno troppa confusione, in alcune ore di lezione. Lo lascio parlare. Intuisco che non è questo quello che vuole dirmi veramente. Non spingo però l’acceleratore sui suoi tempi. Mi saluta e mi chiede se potrà tornare. Guardo l’agenda e fisso un colloquio tra qualche giorno.
Torna, puntualissimo. Comincia con la solita solfa della confusione in classe. Lo ascolto. Poi, intervengo, quasi distrattamente: - Forse, però vuoi dirmi anche qualche altra cosa… -
Giorgio mi guarda.
Poi dice, senza veli: - Mio nonno sta male.- Comincia a raccontarmi dell’affetto che lo lega al nonno. Mi dice che siccome papà e mamma lavorano tutto il giorno, sia lui che la sorellina piccola abitano quasi sempre dai nonni. Ma ora, il nonno/quercia non respira bene. E’ in ospedale. – Gli hanno fatto le lastre. Ha un brutto male –
 Ecco che, accanto a noi, sta per prendere posto anche l’ombra di un’ospite ingombrante. Una che non vorremmo mai invitare ai nostri conviti. Una signora di cui Giorgio ha paura.

La mia stanzetta ha una finestra da cui si intravede un pezzo di un bel giardinetto. Nell’istante di silenzio tra le parole di Giorgio e le mie sono accarezzata dal cinguettio degli uccellini che visitano gli alberi del nostro giardino.
Prendo il respiro. Poi dico a Giorgio che capisco profondamente la sua ansia, la sua sofferenza. Spendo qualche parola sulla possibilità che il nonno possa essere curato, ma non lo illudo più di tanto. Gli dico di andarlo a trovare il più possibile, di essergli accanto, di farsi raccontare tutto quello che vorrebbe sentire da lui.
Finalmente Giorgio si libera. Mi dice: - Ho paura che mio nonno possa morire, professoressa. –
Vorrei abbracciarlo. So bene che non posso e non devo farlo.
Mi limito a dirgli, con la voce più dolce e affettuosa che ho, che la sua è la paura più umana che c’è. Che ogni essere umano, a un certo punto della sua vita, viene attraversato da questa paura e, prima o poi, dall’esperienza dolorosissima del distacco da un suo caro.
Gli dico che comunque le cose belle che ha vissuto e che ancora potrà vivere col nonno se le porterà nel cuore e gli faranno buona compagnia per tutta la vita. Nessun ladro potrà mai rubargliele.
Giorgio mi regala un sorriso fragile, appena accennato. Mi dice se può tornare, la prossima settimana. Siamo a metà aprile. Gli dico senz’altro di sì.

Giorgio mi verrà a trovare ogni settimana. Sino a giugno. Avrò notizie continue sull’ospedalizzazione del nonno. Sui suoi rientri a casa. Sul suo, illusorio, miglioramento. Sui pensieri tristi e arruffati che si intrecciano nella sua mente.
A giugno ci salutiamo.
Gli prometto che in estate gli sarò accanto col mio pensiero costante e affettuoso.

Rientriamo a scuola a metà settembre.
Mi viene a trovare il secondo giorno di scuola.
La sua espressione mi dice che il nonno è morto. – Il venticinque agosto, professoressa…–
Comincia a piangere. Una pioggia copiosa di lacrime calde bagna le sue efelidi chiare. Irrefrenabile. Lascio che questo liquido prezioso sciolga, almeno un pochino, il macigno che lo opprime, di dentro.
Lo accarezzo con la voce.
Gli dico che ha il diritto di piangere il nonno. Per tutto il tempo che vuole.
Gli confesso di capire bene cosa prova: quel senso di vuoto incolmabile, quella nera tristezza. Che ho provato anche io, quando ho perso mio nonno.
Giorgio si abbandona: alla sua pena, alla sua sofferenza acerba e durissima.
Gli porgo un fazzolettino. So che Giorgio e la sua famiglia sono cattolici: accenno alla possibilità che l’anima del nonno possa continuare misteriosamente a essergli accanto e a volergli bene.

Il ragazzo mi chiede se può tornare: gli dico ovviamente di sì.
Lo incontrerò per tutto l’anno scolastico: mi parlerà spesso del nonno, del dolore della nonna, di come è cambiata la vita, per lui e per tutti i suoi, adesso che il nonno non c’è.
Piano piano questo lutto lo elaboriamo insieme.
A fine anno lo vedo più grande, più distratto e sereno.

In terza media, non mi ha più cercata.

Qualche giorno fa, non vista, l’ho rivisto: ormai sedicenne dal corpo sfilato, col viso più asciutto e più duro: aveva accanto la sorellina, anche lei dai riccioli d’oro.
Chissà perché, ho sentito una zaffata di tristezza.
Forse anch’io ho bisogno, ogni tanto, di qualcuno che mi aiuti a elaborare i miei lutti …

venerdì 13 maggio 2011

Un altro giorno è andato ...

A mio avviso, una delle canzoni più belle di Francesco.
Quasi un manifesto dell'esistenzialismo contemporaneo. Senza uno sguardo affettuoso che ci sostenga e ci accarezzi, forse la vita non ha alcun senso.
C'è solo una litania di giorni che avranno una fine, ma forse non un fine...


ALIENI IN BICICLETTA


Nella mia Palermo priva di piste ciclabili, tranne la striscia che va dalla Stazione Centrale a Mondello, andare in bici è insieme un’avventura e un rischio. Che, infatti, affrontano solo pochi, eccezionali, individui.
Ad esempio gli extracomunitari: che, oltre alle gambe allenate a percorrere strade in salita, possono magari permettersi solo le due ruote di una bici malandata. E poi in bici vanno i ragazzi ecologisti e un po’ “freak”: quelli che preferiscono la bici silenziosa, a un più arrogante “motore”. Infine, la prediligono anche alcune donne speciali. Ad esempio, due mie vicine di casa. Due madri: una ha scelto di iscriversi all’università per coronare un antico sogno, a quarant’anni compiuti. L’altra, già cinquantenne, va in bici perché, oltre alla poesia, ama l’aria pulita.
A queste donne, agli uomini privi di inquinanti corazze, m’inchino. Io e Palermo vi ringraziamo: profeti nascosti di una vita più umana, più lenta, più dolce.

                                                                 Maria D’Asaro    (pubblicato su “Centonove” il 13-5-2011)