"Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che vi è una sola umanità composta di persone tutte differenti le une dalle altre e tutte eguali in diritti.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che sfera personale e sfera politica non sono separate da un abisso: sempre siamo esseri umani.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza del partire da sè.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza dell'incontro con l'altro.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che è la nascita, l'esperienza e la categoria che fonda l'umana convivenza, l'umano sapere.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che la pluralità, e quindi la relazione, è la modalità di esistenza propria dell'umanità.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che i corpi contano, che noi siamo i nostri corpi.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che ogni forma di autoritarismo, ogni forma di militarismo, ogni forma di dogmatismo reca già la negazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che la prima radice dell'organizzazione sociale e della trama relazionale violenta è nel maschilismo e nel patriarcato.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che solo la nonviolenza contrasta la violenza, che solo il bene vince il male, che solo l'amore si oppone alla morte, che solo l'ascolto consente la parola.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che compito comune è generare e proteggere la vita, prendersi cura delle persone e del mondo per amore delle persone e del mondo.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che compito comune è opporsi ad ogni oppressione, ad ogni sfruttamento, ad ogni ingiustizia, ad ogni umiliazione, ad ogni denegazione di umanità, ad ogni devastazione della biosfera.
Dal femminismo tutte e tutti ricevemmo la coscienza che solo l'arte della compassione fonda la lotta di liberazione.
Il femminismo che è il massimo inveramento storico della nonviolenza.
Il femminismo che è la corrente calda della nonviolenza.
Il femminismo che è il cuore pulsante del movimento di autocoscienza e di liberazione dell'umanità.
E diciamo femminismo e sappiamo che dovremmo dire femminismi, che dovremmo dire pensiero delle donne e movimenti delle donne.
Ma diciamo femminismo e pensiamo a una tradizione che lega infinite donne che hanno praticato l'etica della responsabilità e della liberazione, da Saffo a Vandana Shiva, da Simone Weil a Virginia Woolf, da Edith Stein a Milena Jesenska, da Etty Hillesum a Ginetta Sagan, da Rosa Luxemburg ad Hannah Arendt, da Germaine Tillion ad Anna Politkovskaja, da Simone de Beauvoir a Franca Ongaro Basaglia, da Olympe de Gouges a Luce Fabbri.
Dal femminismo molti doni tutte e tutti abbiamo ricevuto.
In questo otto marzo di ascolto, di memoria, di lotta, diciamo anche la nostra gratitudine.
(Da Peppe Sini, giornale telematico La nonviolenza è in cammino)
Tra i tantissimi omaggi poetici di Peppe a donne che hanno onorato l’umanità, eccone alcuni:
a Etty Hillesum, o la Forza della verità
Scegliere il bene, pensare col cuore,
condividere il dolore, avere cura
degli afflitti, totalmente ripudiare
la violenza, rifiutare
la salvezza per se' che affoga gli altri.
Fare la scelta della compassione
in nulla cedere al male
salvare tutti dinanzi all'orrore
salvare almeno l'umanita' futura.
Virginia Woolf
La coscienza di Virginia Woolf
Alla corsa per l'accaparramento
sottrarsi, e preferire
altro sentiero, la propria autonomia
l'uso corretto delle tre ghinee
l'analisi serrata che connette
e smaschera per sempre
il maschilismo, il fascismo, la guerra.
E la guerra, il fascismo, il maschilismo
combattere con voce e forme proprie
trovando in sè la stanza denegata.
E' questo che chiamiamo nonviolenza.
Bertha von Suttner, o della liberazione
Che cosa resta di lei?
Ma la vera domanda è: perché
a milioni, a miliardi si danno gli umani la morte?
E la vera risposta' ancora quella
che diede allora la saggia e gentile:
giù le armi.
E' il disarmo la scelta necessaria
per aprire la necessaria via.
Anna Politkovskaja
Ci sono le parole
e ci sono le pallottole.
E solo le parole salvano le vite.
Ci sono i corpi palpitanti e fragili
e ci sono le pallottole.
E dopo le pallottole i corpi diventano sasso.
C'è la verità viva
e ci sono le pallottole
che tutto riducono a menzogna, strazio, nulla.
C'è l'umanità fatta di persone
e ci sono le guerre
che l'umanità estinguono.
Scegliere le parole, i corpi, le persone,
scegliere l'umanità. Salvare le vite. Dire
ancora e sempre la verità. Contrastare
tutte le uccisioni.
É questo che chiamiamo nonviolenza.
(e la voce potente di Fiorella Mannoia, evocata dalla carissima amica Maria Di Naro)
Che senso ha essere volontari oggi? E ancora: la punizione del carcere è la migliore soluzione possibile per i colpevoli di un reato?
Nell'ambito delle iniziative per Palermo capitale del volontariato 2025 e per ricordare i 25 anni dell'AS.VO.PE. (Associazione di Volontariato Penitenziario), ne discuteremo insieme venerdì 7 marzo, a Palermo, alle ore 16.30, al Cre. Zi. Plus (Cantieri Culturali della Zisa), con un intermezzo musicale a cura del maestro violinista Giorgio Gagliano e un aperitivo offerto dall'ASVOPE.
Ecco il programma dettagliato dell'incontro:
VENERDI’ 7 MARZO 2025, presso i locali del CRE.ZI.PLUS, Cantieri Culturali della Zisa, via Gili, 4 Palermo, nell’ambito delle iniziative per PALERMO CAPITALE DEL VOLONTARIATO, l’ASVOPE ODV (Associazione di Volontariato Penitenziario) INVITA all’inizio delle CELEBRAZIONI di 25 ANNI di VOLONTARIATO.
Il programma, che si svolgerà nell’intento di lanciare un PONTE FRA IL CARCERE E LA CITTA’, prevede due momenti, distinti, ma collegati:
1) VOLONTARI OGGI: BELLEZZA E CRITICITA’ DI UN IMPEGNO CIVICO;
2) LA DETENZIONE IN CARCERE: LA MIGLIORE SOLUZIONE POSSIBILE?
Ore 16.30-18,00
Saluto del Presidente dell’ASVOPE, dott. BRUNO MARIA DISTEFANO
MARIA D’ASARO dialoga con AUGUSTO CAVADI a partire dal volumetto di quest’ultimo “Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia” (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani). Introduce l’incontro e modera gli interventi del pubblico il coordinatore dell’area comunicazione del CESVOP, NUNZIO BRUNO.
Ore 18.00-18.30 APERITIVO offerto dall’ASVOPE Interventi musicali del Maestro Violinista GIORGIO GAGLIANO
Ore 18.30-20.00: SANTI CONSOLO e FRANCESCO FORACI dialogano con GIOVANNI FIANDACA a partire dal volumetto di quest’ultimo “Punizione” (Il Mulino, Bologna)
Introduce l’incontro e modera gli interventi del pubblico il giornalista ROBERTO GRECO
Sono previsti interventi programmati da parte di PINO APPRENDI e di ENRICO LA LOGGIA
Palermo – È sua la frase “Fuori la guerra dalla Storia”, utilizzata da donne di varie associazioni palermitane che, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, da tre anni manifestano ogni 24 del mese contro tutte le guerre.
Scrittrice, amica di Alfred Nobel, sostenitrice del disarmo totale e dell’istituzione di una corte d'arbitrato internazionale per risolvere i conflitti internazionali, chi era Bertha von Suttner che, nel 1905, fu la prima di diciannove donne che da allora hanno ricevuto il premio Nobel per la Pace? (continua ne il Punto Quotidiano)
A cento anni dalla nascita e a 25 dalla morte, Giuliana Saladino (1925-1999) – giornalista, scrittrice, impegnata nella società e in politica, prima nel ‘grande e glorioso’ partito comunista, poi da indipendente – ha ancora tante cose da dirci.
Ad esempio sull’America.
Qui stralci del suo articolo titolato Disperazione per una guerra evitabile, scritto nel febbraio 1991, in occasione della cosiddetta prima guerra del Golfo, per la rivista palermitana Segno.
“America. Una parola carica di segno positivo, specie in Sicilia, dove «Trovasti l’America?» vuol dire trovasti ricchezza, abbondanza, benessere. La mia generazione, di chi aveva vent’anni nel ’45, ama l’America. E non solo per i ricordi ‘fisici’ e profondi come il profumo delle prime Camel, il primo pane bianco, le prime notti senza bombardamenti, ma per quell’orizzonte che si squarciò e di cui non sapevamo niente, o ben poco, libertà di associazione, di stampa, di parola, Faulkner, il cinema, il jazz, insomma tutti i crismi di un grande amore che ha resistito al tempo e alle delusioni. Hanno massacrato gli indiani, sì, ma hanno scritto ben prima della rivoluzione francese la Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776; hanno il Klu Klux Klan, la sedia elettrica, il Bornx-Zen, la corruzione e l’arroganza, certo, ma rimane pur sempre un grande paese libero, sede di tutto il male e di tutto il bene dei tempi moderni. (…)
Ma ora stiamo diventando tutti antiamericani. Nessuno, se onesto, può credere che davvero il piano Iraq-Gorbaciov fosse da buttare all’aria in fretta, per passare allo scontro. Personalmente, la famosa notte del 16 gennaio mi rifiutavo di credere che l’America avrebbe attaccato per prima. (…)
A chi gli ha chiesto la scorsa settimana per che cosa dovrebbero combattere gli americani, il segretario di stato ha parlato poco di principi. Non ha parlato di alleati. Ha parlato invece di vitali questioni economiche. “Se volete che riassuma in una parola, ha detto Baker, sono affari (it’s jobs). (…)
La notte dal 16 al 17 gennaio ha cambiato molte cose intorno a noi e dentro di noi. (…) Dentro: una tremante confusa disperazione, un non sapere che fare, che dire, che credere, un assurdo rimpianto dell’89, di un mondo idilliaco mai esistito, tutto inventato da noi, milioni di cretini, che vedevamo cadere il muro di Berlino senza uno sparo, senza un graffio, non siamo in piazza Tien An Men, siamo in Europa, e l’Europa la lezione della storia l’ha appresa e digerita. Ma dove? (…) Ci baloccavamo col mondo nuovo. Quella notte di gennaio sembra lontanissima. (…) Baghdad, il cui solo nome evoca voluttà orientali e ghirigori e mille e una notte era tutta verde marcio, ripresa agli infrarossi, tutta luci vaganti di contraerea, tutta sbuffi di fumo di esplosioni. Non credevamo ai nostri occhi, e nemmeno alle nostre orecchie che registravano boati e tonfi su un brontolio di tuono che non cessava e che non è ancora cessato fino ad oggi 24 febbraio mentre scriviamo…”
Palermo – “Eco-giustizia subito: in nome del popolo inquinato”: ecco lo slogan della campagna nazionale promossa da sei associazioni, laiche e cattoliche (ACLI, AGESCI, ARCI, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera) che il 12 febbraio scorso hanno organizzato un flash mob di protesta davanti al depuratore sotto sequestro dell’I.A.S. (Industria Acqua Siracusana) a Priolo Gargallo, comune distante pochi Km da Siracusa.
Dopo Casale Monferrato, Taranto e Marghera, la campagna nazionale promossa dalle sei associazioni ha scelto come quarta tappa Priolo, per affermare il principio di giustizia ambientale nei principali siti d’interesse nazionale (S.I.N.) da bonificare. Questo l’inizio della sentenza simbolica letta da un finto giudice, l’attore siracusano Giancarlo Latina, durante l’iniziativa di protesta: “In nome del popolo inquinato la giustizia di Priolo, Augusta, Melilli e Siracusa riunita oggi emette la seguente sentenza. Visto il disastro ambientale e il danno subito dalle persone, dall’ambiente e dal futuro delle nuove generazioni, e rilevato che chi inquina non può continuare a farla franca, sentenzia che gli inquinatori sono dichiarati colpevoli… ed il popolo inquinato richiede giustizia immediata, riparazione dei danni ed azioni concrete per fare finire immediatamente l’inquinamento...” Il S.I.N di Priolo si (continua su il Punto Quotidiano)
Come ricorda il professore Andrea Cozzo nel testo “La logica della guerra nella Grecia antica”, già nel 373 a.C. due ateniesi illuminati, Callia e Callistrato, affermarono che bisogna iniziare le guerre con la maggiore lentezza possibile e, quando già ci siano, finirle il più rapidamente possibile e che «certamente, tutti sappiamo che sempre sono scoppiate guerre e sempre sono finite, e che noi, se non ora, poi desidereremo la pace. Perché dunque bisogna aspettare il momento in cui rinunceremo (alla guerra) per la moltitudine dei mali, piuttosto che fare la pace al più presto, prima che avvenga l’irrimediabile?».
A tre anni dalla guerra in Ucraina, oggi dalle 17 alle 19, a Palermo, a piazza Ruggero Settimo (al Politeama) le donne di varie associazioni palermitane manifestano ancora per dire no a tutte le guerre, gridando con Bertha von Suttner, premio Nobel per la Pace nel 1905: “Fuori la guerra dalla Storia”
Ciò che sta avvenendo è la spartizione territoriale dell’Ucraina tra Russia e Stati Uniti, dopo tre anni di sanguinoso conflitto, un milione di morti, danni materiali ed economici incalcolabili, sofferenze ed impoverimento generale. La Russia otterrà l’espansione regionale in Crimea e Donbass, gli Stati Uniti metteranno le mani sulle “terre rare”, mentre l’Europa sta a guardare e l’Ucraina ne esce commissariata.
Questo è il risultato della scelta militare fatta, che ha trasformato l’intera Europa in una regione ad economia di guerra, a traino della Nato. La retorica del “prima la Vittoria, poi la Pace” si è rivelata per quello che era davvero “prima la Guerra, poi la Sconfitta”. E a perderci, prima di tutti, è il popolo ucraino, che vede svanire la propria sovranità, dopo aver sacrificato un’intera generazione di giovani sull’altare del nazionalismo.
L’Europa a 27 velocità, che ha accettato il ruolo di comparsa nell’Alleanza atlantica, è indebolita e afona. Per “salvare il salvabile” si vorrebbe ancora una volta puntare tutto sulla politica di riarmo, la stessa che ha distrutto il sistema sociale della sanità e dell’istruzione nei nostri paesi. Errore fatale. L’Europa, per affrontare la questione Ucraina, ha bisogno di una politica comune di sicurezza, pace e cooperazione, non di una politica di potenza e difesa militare, e deve avere una propria visione democratica alternativa a quella oligarchica di Stati Uniti e autoritaria della Federazione Russa.
Cinque possibili passi necessari di strategia nonviolenta, per prevenire un’ulteriore escalation e per costruire una vera pace: (continua qui)
“Cambia governo, cambia maggioranza, cambia ministro… (…) La cultura, il linguaggio, le idee del tizio di turno sono più o meno sempre le stesse. Molto inglese, molto aziendalese ormai neppure percepito da chi lo pronuncia. Ogni ministro prolunga le idee del precedente o attiva piccole bombe ad orologeria innescate magari due ministeri prima (…). Qualcuno è più solerte, qualcuno meno, qualcuno conosce meglio i meandri della scuola, qualcun altro peggio, ma il risultato non cambia.
Per tutti loro, agenzie di controllo-monitoraggio-valutazione come l’Anvur e l’Invalsi e pensatoi di area confindustriale costituiscono la linea di continuità, il filo tessuto tra un ministero e l’altro.
E anche se non ci fossero, le minime differenze di visione del mondo tra un ministro e l’altro (per avere corpose differenze, a queste visioni del mondo bisognerebbe averci lavorato) assicurano dagli scossoni.
La scuola segue la società e sembra persino dispiaciuta di non poterla precedere. A nessuno tra chi è al potere viene in mente di poter concepire la scuola come ciò che dà equilibrio alla società fornendo ad essa proprio ciò che non ha, qualcosa da mettere sull’altro piatto della bilancia.
Tutti hanno paura di essere seminati da un futuro che arriva sempre più veloce, ma che sempre più somiglia allo stesso presente di prima velocizzato e reso isterico.
La scuola dovrebbe essere il correttivo della società, il suo contrappeso. Se gli studenti sono ormai dipendenti dai social e dallo smartphone, se sono - per dirla con Roberto Casati – ‘digitalmente colonizzati’, allora la scuola dovrebbe essere il luogo per fare altro, per posare gli smartphone e rivederli cinque ore dopo, per allentare la dipendenza e permettere altre esperienze di rapporto con il mondo.
Se la società è ossessionata dalla performance e dalla immediata utilizzabilità, allora la scuola dovrebbe rappresentare ciò che allenta questo guinzaglio e lascia spazio per ciò che è disinteressato. Ma questo coraggio è sempre stato di pochi e quei pochi molto di rado diventano ministri.
Così la scuola spesso potenzia e accelera i processi di deformazione e degenerazione dell’età contemporanea".
Davide Miccione La congiura degli ignoranti Valore italiano editore, Roma, 2024 pp. 82,83
Sulla scuola considerazioni sostanzialmente simili espresse dalla professoressa Rossana Rolando:
"Due logiche vanno oggi ad inquinare la possibilità di un insegnamento significativo, veramente teso alla preparazione degli studenti e ad un’autentica educazione per la vita.
Da una parte, la mentalità economicistica che si è imposta, impregnando di sé il linguaggio stesso dell’Istituzione scolastica. Ecco solo alcuni esempi": (continua qui)
Palermo – Il film “L’abbaglio”, uscito nelle sale il 16 gennaio scorso con la regia di Roberto Andò e con la ormai collaudata presenza di Toni Servillo, Ficarra e Picone, narra alcuni episodi della fase iniziale dell’impresa dei Mille: dalla partenza a Quarto, nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, alla conquista di Palermo, il 30 maggio successivo.
Un po’ come nel film precedente La stranezza, ma, ad avviso di chi scrive, con maggiore scioltezza e sapienza narrativa, ne L'abbaglio il regista alterna in modo assai felice due diversi registri: la serietà della ricostruzione storica, con Servillo che interpreta magistralmente un personaggio realmente esistito, il colonnello siciliano Vincenzo Giordano Orsini - prima ufficiale borbonico, poi a fianco di Garibaldi nell’impresa dei Mille - e i tratti godibili della commedia, con le vicende rocambolesche, e a tratti esilaranti, dei due personaggi di fantasia Domenico Tricò (Salvatore Ficarra) e Rosario Spitale (Valentino Picone), due siciliani trapiantati nel nord del continente, che si improvvisano aspiranti patrioti garibaldini perché vogliono, per motivi diversi, tornare nella loro isola.
Accolto dal favore del pubblico, L’abbaglio è un film apprezzabile, con una buona sceneggiatura e assai ben interpretato.
Per la scrivente, il film ha avuto un riverbero particolare: innanzitutto perché è nata in uno dei paesini interni menzionati nel film, paesino teatro di una delle vicende storiche narrate; inoltre, perché da siciliana doc conosce assai bene tutti i luoghi dell’epopea garibaldina, e rivederli nella pellicola le ha procurato una certa emozione. Poi perché da suo padre, come lei appassionato di Storia, aveva sentito il racconto di alcuni particolari sui ‘picciotti garibaldini’, particolari di cui il nonno del papà era stato testimone diretto.
Ancora, la spettatrice sicula si è ‘scialata’ (è stata assai contenta) di capire benissimo, senza l’ausilio dei sottotitoli, i coloriti dialoghi in dialetto tra Rosario e Domenico. Anche perché, come ha sottolineato la cara amica che con lei ha visto il film, Rosario/Ficarra e Domenico/Picone esprimono alla perfezione la capacità di comunicare propria della gente del Sud: immediato, ricco di sguardi, di gesti, di mimica… il linguaggio siculo non verbale è capace di superare ogni barriera.
Dal punto di vista di ex docente di Storia, chi scrive ha poi ripensato con disincanto a quel momento della storia siciliana e italiana: sa bene quanto fosse difficile nell’isola intorno al 1860 la condizione dei contadini e, più in generale, della massa dei meno abbienti… E di come questi ultimi avessero accolto Garibaldi e i Mille non tanto come liberatori dai Borboni per fare l’Italia unita, ma soprattutto come chi potesse liberarli da ingiustizie e miseria. Purtroppo, sebbene il 2 giugno 1860, con i suoi poteri speciali di dittatore, Garibaldi avesse emesso un decreto nel quale prometteva aiuti ai poveri e la tanto attesa divisione delle terre, la sospirata riforma agraria poi non ci fu.
Così, dopo l’annessione della Sicilia e del Meridione al Regno d’Italia, i contadini rimasero poveri come prima. Già nell’agosto del 1860 la controversa repressione di Bixio a Bronte, con processi sommari contro i presunti responsabili di alcuni fatti di sangue, aveva svelato la fretta e le ambiguità dei liberatori. E dopo il 1861 vi furono rivolte contro il nuovo governo e varie proteste contro la leva obbligatoria, che durava tra i quattro e i cinque anni e sottraeva braccia di lavoro ai campi. Nacque e si alimentò in tutta l’Italia meridionale il fenomeno del brigantaggio.
Il film ovviamente non si occupa di tali problemi, visto che il suo orizzonte narrativo è appunto compreso tra Quarto e la conquista di Palermo, nel maggio 1860.
Ma che in qualche modo l’impresa dei Mille sia stato un abbaglio, questa amara conclusione viene messa infine in bocca allo stesso colonnello Orsini, venti anni dopo l’impresa, a conclusione del film.
Tra i pensieri sparsi di chi scrive, c’è stato dunque anche il riemergere della frase assai nota “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, pronunciata da Tancredi, nipote del principe Salina, nel romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Forse non è stata sufficiente la pur eroica e generosa impresa di un manipolo di patrioti idealisti delle regioni del nord Italia, accompagnati anche da valorosi stranieri (tra essi l’ufficiale ungherese Lajos Tüköry, italianizzato, Luigi Tukory, morto a Palermo il 6 giugno 1860) e da picciotti siciliani con i più disparati interessi; non è bastato un cambio di re (da Borbone a Sabaudo) perché la mentalità dei siciliani, la loro situazione culturale, sociale ed economica cambiasse veramente.
Scrive in un giornale palermitano il giornalista Francesco Palazzo: “Se un film ti serve a pensare criticamente alla tua storia, è un ottimo prodotto culturale anche se dissenti. L'unità d'Italia non è stata un abbaglio. Ma l'apertura alla modernità, alla democrazia e alla legalità. Così come, aggiungo, non è un abbaglio l'Unione europea. Bisogna vedere cosa fai dentro la Storia” (…).
Comunque, la suggestiva potenza narrativa de L’abbaglio rimane intatta.
Grazie allora ad Andò, a Toni Servillo e soprattutto a Salvo Ficarra e a Valentino Picone, che hanno rispolverato un’importante e impegnativa pagina di Storia siciliana e italiana, facendoci riflettere. Ma anche, per fortuna, sorridere e divertire.