mercoledì 28 giugno 2023

È nato…

     Infine era nato. 
Con una gestazione assai lunga e un parto voluto da tempo. Da anni, infatti, nostra signora faceva l’amore con un po’ di persone. Amplessi strani, perché i partners erano uomini molto diversi per età, provenienza, orientamento politico, professione. E c’erano anche tre donne… 
   Uomini e donne avevano però una cosa in comune: erano morti. Chi da poco, chi da decenni, chi suicida, chi ammazzato, chi per morte naturale.     Nostra signora li aveva amati di un amore intenso e costante. Tanto da generare, dalla loro assidua frequentazione, un figlio di carta, partorito grazie a due ‘levatrici’ di sesso maschile: un amico e un editore bolognese. 
“Una sedia nell’aldilà” – dodici lettere a tre donne, otto uomini e a un cane – è il frutto di queste relazioni d’amore, al di là dello spazio e del tempo. 
E del desiderio che queste donne e questi uomini non muoiano nella nostra memoria.

Maria D'Asaro
Dal 30 giugno in libreria: 

domenica 25 giugno 2023

Toledo, il battito antico del cuore di Spagna

     Palermo – Al turista frettoloso che, in visita a Madrid, non prevede una giornata o due per visitare Toledo, l’antica capitale spagnola distante solo 75 Km, non si possono concedere attenuanti.
   Infatti, dichiarata dall’Unesco Patrimonio artistico dell’Umanità, oggi capitale della regione Castiglia-La Mancia, Toledo conserva imperdibili vestigia di due millenni di storia. 
    Di origine greca o fenicia, nel 193 a.C. divenne un’importante città romana: fu ribattezzata Toletum e vi furono costruiti un imponente acquedotto, un anfiteatro e un vasto sistema di strade. Conquistata dai Visigoti nel V secolo d.C., la città raggiunse una grande importanza civile e religiosa, ma nel 711 venne conquistata da Tariq ibn Ziyad e divenne dominio musulmano. Riconquistata alla cristianità nel 1085 dal re di Castiglia Alfonso VI, che la rese capitale del nascente stato castigliano, Toledo divenne poi il centro della vita politica e religiosa della Spagna, sino a quando, nel 1561, Filippo II decise di trasferire la corte e quindi la capitale a Madrid: da allora per la città iniziò l’inevitabile decadenza politica ed economica.
   Degli antichi fasti, Toledo conserva il primato religioso: infatti l’arcidiocesi di Toledo, la più importante del Paese, è sede primaziale, e all’arcivescovo spetta il titolo di Primate di Spagna. 
Specie se si ha poco tempo, è opportuno iniziare il tour proprio dalla Cattedrale di Toledo (Catedral Primada de Santa María), la cui costruzione ebbe inizio nel 1226 ma fu ultimata solo nel 1493: edificata su una moschea, di grandezza imponente con le sue cinque navate e il doppio deambulatorio (corridoio posto intorno al coro e all’abside) e le suggestive 75 finestre che catturano la luce, è oggi considerata il miglior esempio di stile gotico-iberico in Spagna.
Nella facciata esterna della Cattedrale, si aprono tre porte a rilievi: al centro la Puerta del Perdón, a destra la Puerta del Juicio Final,  a sinistra la Puerta del Infierno, vicino alla quale svetta la possente torre campanaria a cinque piani, con colonnine nella parte superiore e  una cupola a spicchi su pianta ottagonale a pinnacoli; nel lato meridionale della chiesa si aprono poi la Puerta Llana, dalla quale è consentito l’ingresso, e la Puerta de los Leones, mentre sul lato nord si trova la Puerta del Reloj (dell’orologio).
All’interno, il turista si trova quasi soverchiato da una composita ed eclettica esplosione di opere d’arte: la Cappella mozarabica, lungo la navata destra; la ricchissima Capilla Mayor, con la splendida cancellata e il colossale retablo (pala d’altare) in legno dorato e policromo; il coro gotico della navata centrale; nel doppio ambulatorio, il cosiddetto Transparente, una delle opere più appariscenti del barocco spagnolo. Dal transetto sinistro si entra poi nel Museo Catedralicio, che presenta opere di assoluto valore di van Dyck, Diego Velasquez, Tiziano, Rubens, Guido Reni, Caravaggio e quindici dipinti di El Greco, pseudonimo del pittore di origine greca Domínikos Theotokópoulos.
    Il grande pittore, considerato uno dei maestri del tardo Rinascimento spagnolo, visse infatti gli ultimi decenni della sua vita proprio a Toledo, dove morì il 7 aprile del 1614. Nella città è possibile visitare la sua casa natale, e molte chiese cittadine ospitano suoi dipinti: nella chiesa di Santo Tomè, ad esempio, si può ammirare il celebre Entierro del Conte de Orgaz.
   Se il tempo lo consente, in particolare merita una visita la chiesa di San Juan de los Reyes, magnifico esempio di sintesi tra lo stile tardo gotico castigliano e lo stile mudèjar, diffusosi in Spagna alla fine del dominio musulmano. E, se non si va di lunedì, giorno di chiusura, andrebbe vista la Sinagoga del Transito, il più grande luogo di culto ebraico in Spagna.
   Ogni angolo, ogni pietra a Toledo hanno un fascino speciale e ne raccontano la Storia: le sue imponenti mura medioevali, la Puerta del Sol, che segnava l’ingresso principale della città e oggi è considerata uno dei suoi simboli, l’Alcazar, il castello voluto da Alfonso VI nel XIII secolo durante la riconquista, edificio più volte devastato, ma sempre restaurato, la cui imponente mole quadrata domina tutta la città vecchia.  Dove, ovviamente, non mancano i posti di ristoro e i negozietti per l’acquisto dell’immancabile souvenir: una spada toledana o l’effigie di don Chisciotte e Sancho Panza…
Infine, se si ha la fortuna di avere un buon passo, prima di lasciare l’antica capitale ci si può incamminare a piedi costeggiando il Tago, il maggiore fiume spagnolo, lungo la Carretera de circunvalacion continuando sino alla terrazza dell’Ermita de la Virgen del Valle, dove si può ammirare un magnifico panorama della città.
    E, se ci si fermerà un istante a contemplare l'intreccio magico tra paesaggio naturale e umano, si proverà l'impalpabile sensazione di riuscire a percepire il battito antico del cuore di Spagna.
Maria D'Asaro, 25.6.23, il Punto Quotidiano



                                                        




venerdì 23 giugno 2023

Discorso all'ufficio oggetti smarriti

G.Klimt: Fregio di Beethoven (particolare), 1902 - Vienna
Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord,
e anche molti dèi per via dall’Est all’Ovest.
Mi si è spenta per sempre qualche stella, svanita.
Mi è sprofondata nel mare un’isola, e un’altra.
Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli,
chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio.
Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva
e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza.
Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe,
me ne uscivo di senno più e più volte.
Da tempo ho chiuso su tutto ciò il mio terzo occhio,
ci ho messo una pinna sopra, ho scrollato le fronde.
 
Perduto, smarrito, ai quattro venti se n’è volato.
Mi stupisco io stessa del poco di me che è restato:
una persona singola per ora di genere umano,
che ha perso solo ieri l’ombrello sul treno.

 Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 305, Adelphi, Milano

giovedì 22 giugno 2023

Benvenuto a Palermo, caro Vasco...

 


Allo stadio "Renzino Barbera", stasera 22 giugno e domani sera 23 giugno.

Qui, la lettera del vescovo di Rimini a Vasco (grazie, Rossana!)


lunedì 19 giugno 2023

Attenti, stiamo avvelenando gli oceani

      Palermo – Delle preziose profondità oceaniche, che occupano circa il 71% della superficie terrestre, conosciamo un misero 5%: rimane sconosciuto il restante 95%, stessa percentuale della materia ignota che forma l’universo… Paradossalmente abbiamo informazioni più sulla consistenza dei suoli della Luna e di Marte che non dei fondali marini.
    Per richiamare l’attenzione sul Pianeta blu, dal 1992 l’otto giugno si celebra in molti Paesi la giornata mondiale degli oceani, che le Nazioni Unite quest’anno hanno voluto celebrare con lo slogan “Pianeta Oceano: le maree stanno cambiando”. 
    Ecco cosa scrive la pagina web dell'Onu dedicata a tale ricorrenza: "Le maree stanno cambiando: per celebrare questa Giornata e il tema del 2023, Pianeta oceano, le Nazioni Unite stanno mettendo insieme le forze con decisori politici, scienziati, dirigenti del settore privato, rappresentanti della società civile, comunità indigene, celebrità e giovani attivisti per mettere l'oceano al primo posto". “L'oceano copre la maggior parte della terra, ma solo una piccola parte delle sue acque è stata esplorata. Nonostante la totale dipendenza dell'umanità da esso e rispetto all'ampiezza e alla profondità di ciò che ci offre, l'oceano riceve in cambio solo un frammento della nostra attenzione e delle nostre risorse". 
   Immensi benefattori dell’umanità – potrebbero essere considerati alla stregua di una superpotenza mondiale, poiché creano beni equivalenti a circa 2.500 miliardi di dollari l’anno – oceani e mari sono sempre più minacciati dalla pesca eccessiva, dal traffico marittimo, dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. Un segno di speranza c’è stato il 5 marzo scorso, quando è stato firmato il trattato internazionale dell’Alto Mare, che prevede la tutela, entro il 2030, del 30% degli Oceani, con restrizioni che riguarderanno quote pesca, rotte marittime ed estrazioni minerarie. 
   Ma non si può attendere il 2030 per intervenire, e soprattutto per contrastare il grave pericolo dell’acidificazione degli oceani. In un’intervista al TG scientifico ‘Leonardo’  lo ha ribadito la dottoressa Cinzia De Vittor, ricercatrice all’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale: “Legato al cambiamento climatico, c’è il problema dell’acidificazione degli oceani, che assorbono oltre 24 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) ogni giorno, circa il 25% di quella che produciamo per l’uso dei combustibili fossili (soprattutto petrolio e carbone). Quando la CO2 viene a contatto con l’acqua si trasforma in acido carbonico e quindi determina un abbassamento del Ph oceanico. È così che, a partire dalla Rivoluzione Industriale, il pH delle acque marine è passato da 8,2 ad 8,1 unità… Un dato che erroneamente sembra piccolo, ma che è invece immenso e rappresenta un incremento di acidità oceanica del 30%, con proiezioni davvero preoccupanti per il 2.100, con un aumento atteso sino allo 0,3% ...” 
    Ma in cosa consiste esattamente il processo di acidificazione? Quali ripercussioni può avere sull’ambiente marino e quindi sulla nostra vita? 
Il pH è la misura dell’acidità di un gas o di un liquido, espressa come concentrazione di ioni idrogeno (H+). All’aumentare della concentrazione di H+, dunque, aumenta l’acidità del fluido e diminuisce il valore del pH. 
    Alterare l’equilibrio chimico delle nostre acque implica dunque, in questo caso, un aumento della concentrazione di CO2 in soluzione e la diminuzione del ph nella risorsa idrica. Questo significa mettere in pericolo tutte le forme viventi che vi abitano e che si sono sviluppate in un ecosistema con caratteristiche chimiche più o meno omogenee da migliaia di anni. 
Si tratta di un dato assai preoccupante per l’ambiente marino. Infatti,  molti organismi acquatici (fitoplancton, zooplancton, alghe coralline, coralli, echinodermi e molluschi) si servono proprio degli ioni carbonato per costruire il proprio guscio, o altri elementi rigidi, tramite il processo biologico di calcificazione: se l’acqua risulta troppo acida, gusci e strutture similari si dissolvono o non si formano affatto. Quindi, moltissime forme di vita possono avere ridotti tassi di crescita, di sviluppo e di calcificazione, e minori possibilità di sopravvivere. Si sta già assistendo al deterioramento delle barriere coralline, che comporta la perdita di habitat e di risorse molti pesci e microorganismi. 
   Tutto questo avrà notevoli ricadute sulla nostra vita: il settore ittico sarà gravemente danneggiato dalla scomparsa di organismi che costituiscono, soprattutto in certe aree del pianeta, una risorsa primaria sia per i pesci che per le persone.
   Oggi, l’unica soluzione praticabile per fermare l’acidificazione degli oceani è quella di diminuire significativamente le emissioni di CO2: l’Accordo di Parigi del 2015 si propone proprio di attuare questo obiettivo, cercando di limitare il riscaldamento globale entro 1,5° di aumento di temperatura. 
Per diminuire le emissioni di gas serra nei 190 Paesi aderenti sono stati investiti 100 miliardi di dollari l’anno, dal 2020 al 2025. E si prevedono ulteriori investimenti dal 2025 in poi. 
   Ma tutto questo non basta se non si cambierà radicalmente il nostro stile di vita e di produttività: ci vogliono quindi cambiamenti di rotta coraggiosi, soprattutto a livello collettivo. Solo se tali cambiamenti ci saranno, si potrà sperare che tra qualche centinaia di anni le acque del pianeta tornino allo stato preindustriale. E i nostri pro-pro-pronipoti potranno ancora trovare poetica e sensata, senza maledirci per la nostra condotta pregressa, la lirica di Francesco Petrarca Chiare, fresche e dolci acque…

Maria D'Asaro, 18.6.23, il Punto Quotidiano




 






venerdì 16 giugno 2023

Gent.ma Flavia

Gent.ma Flavia,
                                    quando una coppia si separa mi dispiace tantissimo, perché  l’amore dovrebbe essere eterno. Ma la separazione tra lei e Romano non è stata causata da tradimenti o dissapori, ma dalla Nera Signora verso cui siamo tutti impotenti. Posso intuire l’immenso dolore del suo amato consorte, dei suoi figli, dei nipotini… Spero di cuore che suo marito Romano e la sua bella famiglia continueranno a essere confortati dal suo amore. Il cardinale Zuppi, nell’omelia per il suo funerale, ha pronunciato parole bellissime, ricordando il legame prezioso - d’oro, lo ha definito - che l’ha legata a suo marito. Che, la notte di Capodanno del 2002, da Presidente della Commissione europea, comprò a mezzanotte a Vienna un mazzo di fiori per lei con le prime banconote dell’euro. Sono certa che il profumo di quei fiori non si spegnerà mai e che un filo misterioso continuerà ad unire le vostre anime. 
Maria D'Asaro

La bussola degli sguardi (grazie a Massimo Messina, che lo ha postato su FB)

"Conosco bene il cammino francescano che solca il confine tra l’Umbria e le Marche. È un percorso magnifico, non particolarmente impegnativo — è un cammino, appunto, non una scalata — ma attraversa boschi e zone isolate, silenziosissime e remote.
C’era un temporale, quel giorno. Posso solo immaginare che momenti debba aver vissuto chi si trovava con lei, il marito e gli amici più cari, quando si è sentita male. L’attesa dei soccorsi deve essere stata un tempo di disperazione. 
Però credo, nel dolore, è anche un piccolo ristoro il pensiero che fossero i luoghi di San Francesco quelli che si sono iscritti da ultimo nello sguardo, insieme ai volti amati.
È una storia di sguardi, quella che conosco: non c’è stata una volta, delle molte in cui li ho incontrati per lavoro o per caso, in cui lo sguardo di Romano Prodi non abbia cercato, durante la conversazione, quello di Flavia. E viceversa. Non perdevano mai il contatto visivo. 
Spesso, a Roma, nei tempi in cui lui era presidente del Consiglio, sembrava che lei non ci fosse ma c’era, invece. Compariva. Aveva su di lui un ascendente formidabile, giustificato: riportava ogni cosa al senso profondo delle cose. In politica, nelle relazioni occasionali e in quelle profonde, familiari. Era come se lei avesse la bussola, lui lo sapeva. Era una donna di eccezionale qualità intellettuale.
Ci si può smarrire, senza un orientamento così — ho pensato in queste ore. Ma anche ritrovare, certo, definitivamente."
Concita De Gregorio: la Repubblica 15.06.2023


Omelia per una donna mite

"Stando insieme tanti anni si entra in simbiosi, si assomigliano perfino le calligrafie, stare insieme è garanzia di armonia nella diversità. L'amore è concreto, prende tutto il corpo ma anche tutta l'anima. È un legame abbondantemente d'oro che ha legato Flavia a Romano, dove si confonde la metà dell'uno alla metà dell'altro. Dove lo sguardo li univa tanto da sembrare che non ci fosse, ma c'era". Lo ha detto il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, in un passaggio dell'omelia nel corso della funzione che si è svolta oggi a Bologna.
"Il loro legame richiede quel trucco, che come ha detto intelligentemente Romano, è la manutenzione. Manutenzione che c'è stata, fino alla fine ed è sempre richiesta. Il legame di tutti i legami è quello con Gesù", ha aggiunto il cardinale Zuppi. Quello di Romano Prodi e della moglie Flavia "è un legame di amore che unisce Giorgio, Antonio, con le loro famiglie, e la grande, non dico quanto le stelle del cielo ma quasi, famiglia Prodi. Legame che unisce Flavia anche alle sue e ai suoi nipoti". Flavia "li contemplava, li ascoltava, discuteva con loro ma le piacevano molto. Insomma, è stata anche una grande nonna", ha sottolineato il cardinale Zuppi. 
"Mite lo è sempre stata - ha continuato Zuppi - con quel radicalismo dolce che era la sua fermezza e che la coinvolgeva intimamente alle vicende dei suoi e del suo prossimo". "Amava i piccoli, era riservata - ha aggiunto - In un mondo spesso sguaiato, di vanagloria, che riduce l'amore ad apparenze, Flavia preferiva la solida vicinanza e la delicatezza - ha proseguito - partendo proprio dai più fragili, legandosi a loro nella sua ricerca anche accademica che non era chiusa nei corridoi, ma facendo dei luoghi dell'umanità le vere aule in cui imparare e vivere, da studiare con cuore e intelligenza, per sentire l'urgenza di cambiare e per trovare le soluzioni"
"È giusto ricordare - ha detto Zuppi - come con Achille Ardigò e tanti altri, scelse una branca della sociologia vicina alla marginalità, che per certi versi verifica e corregge le decisioni anche degli effetti degli economisti: certi tagli alla spesa ad esempio con conseguenze spesso lasciate ai più fragili o a chi viene dopo". "Lei scelse sempre di vedere il mondo a partire dai poveri e non viceversa - ha aggiunto - con tanta passione civile per i servizi sanitari e sociali, uniti alla comunità umana. L'assistenza domiciliare va dentro una comunità che rende la città 'casa'; indispensabile ai servizi sociosanitari e sociali perché sia pubblica e universalistica, con prossimità e cura, che ripeteva con la pazienza di un lavoro all'uncinetto", ha precisato l'arcivescovo di Bologna.
(grazie alla pagina FB di Luigi Pasotti, da cui ho copiato il testo) 


"In 54 anni di matrimonio, Romano Prodi e la moglie Flavia hanno «sempre parlato di tutto e sempre condiviso tutto». Lo ha detto il professore in un passaggio del messaggio al termine del funerale della moglie, nella chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna. «Abbiamo sempre condiviso tutto - ha sottolineato Prodi - dalla nostra presenza in questa città tanto amata, alla mia presidenza dell'Iri, e poi alla vita politica a Roma e a Bruxelles. Abbiamo proprio sempre parlato di tutto, e ho chiesto a lei infiniti consigli e anche ieri pomeriggio, parlando con Giorgio e Antonio, mi è venuto spontaneo dire questo lo chiedo a Flavia». La sua era «una presenza intellettuale discreta e raffinata, una intelligenza all'avanguardia con generoso disinteresse», ha aggiunto il professore. La moglie era «affezionata alla città e allo Stato. Aveva come obiettivo costruire un'Italia molto seria». «Questi sono i pochi pensieri che voglio condividere con voi nel momento in cui salutiamo Flavia per l'ultima volta - ha concluso Prodi - Non pensate che la nostra vita insieme sia stata solo fatta solo di scambi intellettuali: abbiamo vissuto insieme cielo e terra, anche terra. Con felicità tra di noi, con gli amici e nelle vacanze con tutta la tribù. Proprio alla vigilia della partenza per Assisi, mentre camminavamo come sempre, per le vie di Bologna, ci siamo chiesti se dal Paradiso si vede possa eventualmente vedere piazza Santo Stefano. Io credo proprio di sì», ha concluso.


mercoledì 14 giugno 2023

Chi nicchi e nacche

      Chi nicchi e nacche: intraducibile. Si dice per un discorso o una situazione che non sta né in cielo né in terra. Usata in tutta la provincia di Agrigento, l’espressione trovò forse applicazione perfetta un sabato sera del 1936. 
     Il federale De Magistris, del resto obbedendo a ordini dall’alto, per concretamente dimostrare come il fascismo fosse interclassista, fece la bella pensata di organizzare un serata danzante al mio paese, nella palestra di una scuola, e invitò ricchi e poveri, avvocati e scaricatori di porto, commercianti e spazzini, medici e pescatori. Con rispettive signore, s’intende. Nessuno osò declinare l’invito che aveva il tono di un ordine. Nella palestra, addobbata con festoni e bandiere, si operò subito una sorta di selezione naturale: i borghesi si aggrupparono da un lato e i proletari in quello opposto e tutti coi musi lunghi, a nessuno andava di mescolarsi in un ballo interclassista (e meno  di tutti, a onor del vero, ai proletari).
    Accolto dalle note di “Giovinezza” suonate da una volenterosa orchestrina, arrivò il federale e subito, sbrigativamente com’era nello stile dei gerarchi dell’epoca, diede inizio alle danze, andando a invitare una donna del popolo. Si trattava, per sua disgrazia, della gna’ Rosina Trupìa, donna di servizio a ore, nota in tutto il paese perché amava parlare latino, non quello di Cicerone. Da noi parlare latino significa non avere peli sulla lingua. Gna’ Rosina guardò freddamente il federale in uniforme che davanti a lei stava a metà piegato nell’inchino e proruppe a voce altissima: “In prìmisi in prìmisi ‘un sacciu abballari, e po’ chi nicchi e nacche abballare cu vui?”
    Il federale capì senza bisogno di traduzione (e non credo occorra nemmeno ai miei lettori). Poco dopo, con molti “alalà”, la festa si sciolse.

Andrea Camilleri, Il gioco della mosca, Sellerio, Palermo 1999


domenica 11 giugno 2023

A Gibilrossa Filosofia rima con Filìa

    Ai diari di bordo, appassionati e competenti, di Federica Mantero (qui) e di Augusto Cavadi (qui) sul festival della filosofia organizzato a Gibilrossa dall’1 al 4 giugno scorso, c’è davvero poco da aggiungere…
     Anche perché a chi non c’era è difficile comunicare non tanto temi e contenuti, quanto il particolare stato di grazia che ha accompagnato le/i partecipanti durante lo svolgimento delle varie attività.
    Forse uno dei segreti della condizione di Ben-essere sperimentata da tutte/i le/i partecipanti è stata la Musica, intesa nelle sue molteplici accezioni di ritmo, ascolto di sonorità esterne, percezione di  risonanze interiori, canto: dalle campane tibetane fatte vibrare con sapienza da Stefano Maltese, alle riflessioni e alle danze guidate da Barbara Crescimanno, al violino suonato con eccellente virtù da Giorgio Gagliano, al suono allegro della chitarra di Luigi (e di Roberto!), alla voce calda e avvolgente di Federica, alla quale si sono unite quelle di Caterina, di Camillo e via via tutte le voci liete dell’allegra brigata. 
     E sicuramente è stato motivo di armonia prendere i pasti in comune, preparati da Federica e Paola con assoluto rispetto dei fratellini animali; nonché, grazie al gruppo dell’ORSA (Organizzazione Ricerche e Studi di Astronomia), immergersi nella vastità del cielo e contemplare le stelle, della cui materia siamo fatti anche noi.
      La filosofia, la riflessione comunitaria sui pensieri fondativi dell’esistenza umana, c’è stata eccome. Non si sottolineerà mai abbastanza lo spessore speculativo e la chiarezza espressiva con cui Giorgio Gagliano ci ha fatto riflettere sulla “contraddizione come condizione dell’esistenza” (nonostante una certa logica dica che non sia possibile) e ci abbia permesso di scoprire invece come non sia fondato  l’apparente contrasto tra approccio occidentale, che esclude la contraddizione come ‘falla’ logica, e approccio orientale, più complesso ed esistenziale…
Abbiamo così rivisitato il terzo principio aristotelico di non contraddizione (ma Aristotele non lo aveva chiamato così!), riscoprendone un’accezione più profonda e convincente: È impossibile che una cosa sia e non sia, nello stesso momento e dallo stesso punto di vista (È impossibile che Giorgio stia parlando e non stia parlando, ma attenzione: nello stesso momento e dallo stesso punto di vista). 
Grazie a Giorgio abbiamo scoperto (o riscoperto) un Aristotele che ci dà una regola aurea per analizzare rapporti e movimenti tra gli opposti.
   Piano piano, condotti dalla sua conversazione argomentata e appassionata, abbiamo intuito che le affermazioni del Taoismo (o Daoismo) -  «Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao, il nome che può essere nominato non è l'eterno nome. Senza nome è il principio del Cielo e della Terra...» 
    “Agisci senza agire… sai senza sapere” -  hanno un fondamento: la realtà funziona per et… et e non per out-out.
   E, allora, se riuscissimo a guardare agli accadimenti e alle cose come a una danza, intuiremmo la possibilità di armonizzare i momenti e i colori diversi che la vita presenta. 
    Perché, ricorda Giorgio: “Né la caduta è una caduta, né l’errore sbaglia”. E quindi,: “più abbiamo orecchio per le contraddizioni, più il sistema-vita trova un suo misterioso equilibrio… se diamo spazio agli ‘ospiti inquietanti’ forse riusciremo ad accoglierli e magari a smorzarli…
     Impossibile poi riportare l’invito all’interiorità e le suggestioni ‘di cura’ donate da Pippo La Face, psicologo e psicoterapeuta, e la grazia sapiente con cui ha condotto le meditazioni e le riflessioni nutrienti sul vissuto: “Meditare è far emergere quello che c’è qui e adesso dentro di me… è l’onesta di stare con quello che accade in quel momento… è la capacità di ‘stare’ con quello che ci tocca senza farcene assoggettare”, perché come dice il poeta Neruda “la parola è un’ala del silenzio, il fuoco ha una metà di freddo”…
   E, infine, Augusto Cavadi ha volato alto avviando una sessione di ‘filosofia in pratica’ sul tema controverso della felicità (riporto anche qui il link della sua introduzione). Riflessione alla quale hanno donato il proprio contributo tutti i presenti:
     Caterina ha sottolineato di essere d’accordo con la Costituzione Usa che sancisce il diritto dei singoli alla felicità, in quanto lo Stato ha il dovere di creare le condizioni per una felicità possibile; mentre Pietro è infastidito da questa sorta di diktat giuridico e ritiene che, comunque, il coinvolgimento verso il dolore altrui ci renda più ricettivi ed empatici; anche Anna pensa che il diritto sancito nella Costituzione statunitense sia una sorta di ‘obbligo’ e ritiene che la Felicità è essere in una certa condizione, magari  diversa per ognuno.
       Gabriella ha condiviso una sua esperienza durante un viaggio nel Mar Rosso, sottolineando che il rapporto pieno con la Natura può renderci felici e che chi ha figli ha il dovere di creare le condizioni per la loro felicità; per Giulia la felicità è accontentarsi delle piccole cose, affrontare – quasi stando a galla – la vita con saggezza e leggerezza; Paola ha detto che è importante sentire armonicamente i confini propri e degli altri e ha legato la percezione della Felicità alla capacità di provare emozioni, anche dolorose, sentirsi comunque ‘vivi’…
      Samuela ha poi sottolineato quanto il proprio carattere possa essere condizionante: ci sono persone ‘naturalmente’ felici in condizioni difficili e altre ‘naturalmente’ infelici in situazioni ottimali; ha poi affermato quanto trovare il proprio ‘daimon’, la propria ispirazione, la propria vocazione e passione di vita possa influire nell’abitare la Felicità.
     Per Maurilio spesso confondiamo la Felicità con gli eventi, con il ruolo dell’Eroe e del Vincente a tutti i costi, mentre, a suo parere, la Felicità è diluita nel percorso della vita, quasi a prescindere dai risultati: raggiungere un traguardo ci rende contenti, non felici.
    Valentina riflette sul fatto che forse solo la perdita di un figlio è l’unica esperienza umana incompatibile con la Felicità… per il resto la Felicità è compatibile con qualsiasi altra esperienza, anche dura, anche difficile, se attingiamo alla resilienza, al nocciolo duro che c’è in ognuno di noi. Lo Stato sociale è poi indispensabile ma non deve assolutamente legare Felicità e merito.
    Anche per M. lo Stato dovrebbe garantire condizioni di vita equa per tutti. La Felicità per lei è sentirsi presenti, vivi, qui e ora con tutto quello che c’è e inglobarlo dentro di sé. Felicità: sprazzi che arrivano se siamo in condizione di percepirli, specie se ci si sente “in connessione e al sicuro”.
   D’accordo con lei Giovanna, che sottolinea come Madre Teresa o i Medici senza Frontiere siano sereni pur operando in mezzo a tragedie.
     Federica ricorda l’etimologia del termine Felicità, che deriva da fertile: come un terreno è fertile se accoglie ciò che vi viene seminato, permettendo anche la crescita di erbacce magari necessarie all’ecosistema, così ciascuno dovrebbe fare spazio a tutto ciò che la natura semina in lui/lei: idee, persone, gesti… senza l’ansia di creare il giardino più bello, non escludendo a priori il dolore.
     Luisa ci ha donato una bella affermazione di Giaime Pintor: “Felicità è aiutare qualcuno a sollevarsi…”
     Per Giorgio la questione della Felicità somiglia ai dibattiti sulla Grazia divina: il volere di Dio serve, ma se non c’è disponibilità personale ad accoglierla il dono è sterile… La Felicità è dunque un movimento duplice, qualcosa che accade, ma che ci dobbiamo anche conquistare… Allora, citando anche Scoto Eriugena “un bravo pittore fa gioco di chiaroscuro” – la Felicità è dialettica di luce e ombra e si costruisce insieme…
    E poi sono intervenuti: Roberto, che richiama l’attenzione alla distorta definizione di Felicità data da Google, e manifesta gratitudine verso le riflessioni del buddismo che mettono in guardia da attaccamento, avversione e ignoranza; Camillo, che sottolinea quanto sia difficile parlare di qualcosa così difficile da definire… e azzarda comunque un’idea di Felicità legata al soddisfacimento di bisogni anche complessi; Gigi, secondo cui comunque lo Stato deve garantire le condizioni di base della Felicità; Maria, che afferma come la cosa peggiore sia chiudersi alla Vita e ricorda il nostro detto siculo “Buon tempo e malu tempo non dura tutto il tempo”, Claudia, che sottolinea come la Felicità sia legata ai desideri…
(Mi scuso se non ho riportato in modo esauriente e corretto il pensiero di ciascuno/a)

Felicità:
Connessione feconda
Grembo di Cura
Sprazzi di Luce nel buio…
Grazie

mercoledì 7 giugno 2023

Prima o poi...

P.Picasso: Donna che piange, 1937 (Tate Gallery - London)
       Prima o poi, dopo mesi o interminabili anni, ogni guerra deve pure finire – pensava nostra signora mentre stendeva magliette o, presa da primaverile sacro furore, puliva anfratti nascosti dove nugoli di polvere giacevano indisturbati.
     E allora perché non farla finire prima? Sovente nostra signora pensava con angoscia alle migliaia di madri, spose, sorelle alle quali le guerre avevano ucciso figli, sposi, fratelli… questi lutti, perché?   
        Nell’attuale guerra in Ucraina, dove sì c’è stato un aggredito e un aggressore, non c’era o non c’è un modo diverso di risolvere il conflitto? Perché continuare a utilizzare armi letali come ‘parola’ dei conflitti? Vincerà il migliore, il più buono, quello che incarna il bene? Ammesso che sì, a che prezzo?  
      O vincerà chi ha la migliore strategia militare e più strumenti di morte? E se si ricorrerà ad armi ancora più terribili, che succederà per la salute del pianeta e degli esseri umani? 

Maria D'Asaro
Qui le parole poetiche dell’immensa Wislawa

domenica 4 giugno 2023

Il bacio, da millenni incontrastato segno d'amore

      Palermo – Immortalato da quadri celebri come quelli di Francesco Hayez e di Gustave Klimt, il bacio è il più diffuso e significativo gesto di amore dell’umanità, sia come segno di attrazione nell’ambito erotico/sessuale sia come momento di effusione amorevole tra genitori e figli o in altre relazioni affettuose.
     Che fosse praticato anche nell’antichità lo si sapeva da tempo. Aveva già fornito prova storica della pratica del bacio a sfondo erotico un manoscritto dell’Età del bronzo, risalente a circa 3.500 anni fa, proveniente da territori poi diventati l’odierna India. Lo studio pubblicato qualche settimana fa sulla rivista Science dagli studiosi Sophie Lund Rasmussen e Troels Pank Arbøll, delle Università di Oxford e di Copenaghen, dimostra ora che i baci ‘romantici’ erano già praticati circa 4.500 anni fa nell’antica Mesopotamia.
“Nell'antica Mesopotamia, che corrisponde all'attuale Iraq e Siria, si usava scrivere in caratteri cuneiformi su tavolette di argilla” - racconta Troels Pank Arbøll - “Molte migliaia di queste tavolette di argilla sono sopravvissute fino ad oggi e contengono chiari esempi del fatto che il bacio era considerato parte dell'intimità romantica già nei tempi antichi, oltre che dei rapporti di amicizia e delle relazioni familiari”.
Il bacio, di F.Hayez
    “I primi riferimenti al bacio si trovano nelle narrazioni mitologiche sul comportamento degli dei. Poco dopo (soprattutto all’inizio del secondo millennio a.C.) troviamo chiari riferimenti al bacio in documenti privati” - continua Troels Pank Arbøll.
   I ricercatori affermano poi che non bisogna pensare che il bacio sia stata una modalità di contatto affettivo sviluppata in una singola regione, dalla quale si sarebbe poi diffusa, ma è probabile che, per millenni, invece sia stata praticata in più culture antiche. Come afferma la coautrice dell’articolo Sophie Lund Rasmussen, ciò suggerisce che questa pratica “è un comportamento fondamentale negli esseri umani, il che spiega perché si può trovare (in alcune delle sue sfaccettature) in tutte le culture”.
    Precedenti studi avevano poi ipotizzato che il bacio, come segno di un’intesa sessuale, si sia diffuso ed evoluto anche allo scopo di valutare gli aspetti dell’idoneità di un potenziale compagno, attraverso segnali chimici comunicati nella saliva o nel respiro. Ovviamente, oltre alla recezione chimica di una buona intesa, baciarsi sviluppava al contempo i sentimenti di attaccamento.
    Inoltre, il bacio è diffuso anche tra alcuni animali, come bonobo e scimpanzé, i ‘parenti’ viventi più stretti dell’uomo. 
Il bacio, di G.Klimt (particolare)
    Pare comunque che il bacio erotico e non puramente affettuoso già 4.500 anni fa fosse malvisto fuori dal matrimonio. I ricercatori hanno individuato un racconto, sempre nelle tavolette della Mesopotamia, che riferisce di una donna «quasi traviata dal bacio di un altro uomo» che non era il marito. Simili divieti, presumibilmente introdotti per motivi morali, probabilmente servivano, inconsapevolmente, anche a scopi igienici, offrendo a chi non dava né riceveva baci un grado di protezione della salute. I due ricercatori ricordano infatti che patogeni comuni “possono infettare gli umani attraverso la saliva rendendo il bacio una potenziale via d'infezione”.
    Secondo gli autori della ricerca, non è però da sopravvalutare negativamente l’effetto collaterale del bacio nella diffusione di virus tra gli esseri umani: infatti, visto che la pratica si è presto diffusa e radicata in molte società del passato, i suoi effetti nella trasmissione di patogeni sono stati più o meno costanti ed è perciò improbabile che possa essere stato un innesco decisivo della diffusione di particolari malattie, anche se pare ormai dimostrato il ruolo decisivo della pratica del bacio nella diffusione del virus HSV-1, responsabile dell’herpes labiale come lo conosciamo oggi.
    Una ricerca curata l’anno scorso dall’Università di Cambridge ha suggerito infatti che il ceppo del virus HSV-1 sia sorto circa 5.000 anni fa in seguito alle grandi migrazioni verso l’Europa dalle steppe eurasiatiche. La diffusione dell’herpes simplex nel Neolitico, rilevata nel DNA di quel tempo, potrebbe aver coinciso con l’avvento dei baci erotici. In ogni caso né l’herpes né nessun’altra malattia contagiosa sono riusciti a fermare una delle pratiche che meglio esprime l’afflato erotico/affettivo della società umana.
E allora, adesso che finalmente la minaccia del contagio da Covid 19 sembra più mitigata e lontana, come canta Lorenzo Cherubini alias Jovanotti, baciam(oc)i ancora, perché E l'amore che detta ogni legge…Tutto il resto è un rumore lontano/Una stella che esplode ai confini del cielo.

Maria D'Asaro, 4.6.23, il Punto Quotidiano


venerdì 2 giugno 2023

La Repubblica italiana ripudia la guerra...


 dal sito del Movimento nonviolento

Nella Pacem in Terris, papa Giovanni XXIII definì la guerra, in latino bellum “alienum a ratione”. Si riporta qui un passo dell’enciclica:

9. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.

Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrente delle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.

Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. "Non si deve permettere — proclama Pio XII — che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità" [48].

61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.

62. È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante.

È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?

(Pacem in Terris, Enciclica di Giovanni XXIII, 11 aprile 1963)