sabato 30 novembre 2019

Non si vive di solo Facebook ...


ma anche di blog,  giornali on line e cartacei, e di ogni forma di pensiero  pensante   …

Oggi  questo blog compie  il suo undicesimo anno di vita. Nostra  signora festeggia l’anniversario brindando virtualmente con alcune/i  compagne/i  di approfondimento   nei mari del web:

- il Punto Quotidiano, giornale online con cui collaboro;
- Santa, che ho avuto il piacere di conoscere: ecco un post del suo blog, davvero superlativo:
 -  Nicola, alias Zio Scriba, che sa scrivere davvero  bene:
 -  Daniele, che con le sue poesie non si stanca di denunciare le storture della società;
 - Rossana, Gianmaria e Rosario, che con il blog Persona e comunità offrono  preziosi, imperdibili      spunti di riflessione;
- Augusto Cavadi, filosofo in pratica, giornalista, saggista, uomo poliedrico impegnato sul serio nel sociale; qui il suo blog e qui il blog magistralmente creato da Adriana Saieva per aggiornarci sugli appuntamenti offerti dalla Casa dell’equità e della bellezza;
- Bruno Vergani, erborista per professione e filosofo per passione;
- Veronica,  autrice di ottime recensioni e riflessioni;
- Ivana o Vele/Ivy, la cui passione per le fiabe è diventata qualcosa di più!
- Francesco,  la lettura del suo blog ci aiuta ad avere uno sguardo più critico e disincantato sul mondo;
- E un brindisi speciale con RiccarDoc, insieme agli auguri di ogni bene, nella vita e nel web …

mercoledì 27 novembre 2019

Oggi noi due facciamo Paradiso ...

Marc Chagall: Paradiso - 1961

Qualche esegeta fa notare che questa è l’ultima tentazione di Gesù, sulla croce, molto simile alla prima tentazione: “Se vuoi essere Messia, buttati da dove vuoi, tanto tu sei in grado di salvarti. Quindi pensa a te stesso”.
Qui tutti sono coalizzati nei confronti di questo malcapitato: i capi che dicono Ha salvato gli altri, vediamo cosa sa fare nei confronti di se stesso; lo stesso dicono i soldati. E anche uno dei malfattori. La parola malfattore non è una bella parola: si trattava di delinquenti, perché la pena di morte sulla croce veniva data a chi aveva compiuto cose gravissime. E anche quello accanto a lui, che siamo soliti chiamare buon ladrone, magari non era solo un ladro e non era sicuramente buono, era un delinquente pure lui e magari non aveva fatto nulla di buono, sino a quel momento.
Però era rimasto colpito dalla figura di Gesù. Non sappiamo cosa lo avesse colpito maggiormente, però sente che Gesù non è della stessa sua genia: Noi sappiamo per che cosa siamo stati condannati … ma tu guardalo, ti sembra una persona da condannare, questo? Guardalo bene – dice al suo collega.
E chiama Gesù per nome. Gli altri non l’hanno chiamato per nome: hanno detto costui … se sei qualcuno, se sei un re, un messia fai qualcosa … Mentre lui lo appella: Gesù. Il nome Gesù significa Dio salva. Gesù è accusato di un regno strano, di un regno capovolto, rispetto ai regni che noi conosciamo. E che neppure i cristiani hanno saputo intendere. Perché anche il Sacro Romano Impero o i vari regni che si sono succeduti in contesti cristiani hanno frainteso clamorosamente il riferimento a Gesù Cristo, lo hanno inteso come se si trattasse di un regno alla maniera del nostro mondo, dove si desidera diventare re per essere serviti dagli altri: per dominare, comandare, per essere in qualche modo potenti.
Invece il Regno di Gesù è accanto ai malfattori; e Gesù non si vergogna di accettare questo ripudio dell’umanità insieme con loro e a sperimentare la tristezza, la bruttezza assoluta di quest’esecuzione capitale. E poi Gesù risponde a quest’appello del suo “collega”: In verità io ti dico: oggi con me sei/sarai nel Paradiso. Nel Paradiso è Gesù. E non deve venire, questo Regno, perché è quando due persone si comunicano vita che comincia il Paradiso di Gesù. E’ quando due persone incrementano a vicenda, insieme,  la vita intorno a sé – la vita, il perdono, l’accoglienza – questo è il Paradiso, questo è Gesù, è vivere con lui.
Non è un rinvio a un altro mondo. Gesù dice Oggi con me sei in Paradiso. Lo traduciamo anche col futuro, ma nella lingua ebraica non c’è questa differenza tra presente e futuro. Potremmo anche tradurlo Tu mi stai chiamando Gesù - Dio salva - … E Dio salva in un gesto di rispetto, di affetto, E tutto il tuo passato ormai è rimasto alle spalle … Oggi noi due facciamo Paradiso, siamo Paradiso.
Convertiamoci a questa prospettiva di Gesù, care sorelle e fratelli. Che non rinvia il Paradiso altrove, dopo, in altro momento. Che coltiva invece il Paradiso nell’incontro tra due persone che si chiamano per nome. Solo così allora possiamo riconoscere che Gesù è re in tutta la sua regalità, cioè che “regala” la sua vita. Così vorremmo seguirlo questo nostro Re “regale”, che regala, regalante la vita.
E così potremmo trasformare piccoli angoli della nostra terra da inferno a paradiso. Per quel poco che può dipendere anche da noi … tante volte noi stessi non crediamo di poter fare qualcosa di bello, perché magari ci sentiamo sconfitti, non guardiamo agli altri come possibili alleati con cui costruire qualcosa di buono, siamo malpensanti, aspettiamo solo male dagli altri. E così facciamo male soprattutto a noi stessi: è come se avessimo “chiuso bottega”, come se tutto fosse ormai inferno collaudato.
Ed è bello che dopo che Gesù ha detto Padre, perdona loro, perdona queste persone che mi stanno condannando … Pazienza, me l’accollo, Gesù pronunci ancora queste parole, davvero le ultime per san Luca: Oggi tu e io siamo in paradiso, siamo il Paradiso, in questo Dio che ci salva.
Dio non salva se stesso, non ha bisogno di salvare se stesso, Dio vuole salvare tutti noi, ci prova sino alla fine, in maniera sconvolgente, come ad azzerare tutto il passato terribile, di cui sentiamo il peso sopra di noi: il nostro passato personale, degli altri, delle divisioni, della Storia; di una Storia che, quando la narriamo e ne prendiamo le distanze, sentiamo tutta la violenza: di guerre, di conflitti, di sopraffazioni …
Gesù ricomincia proprio qui, da questo nostro fratello. E fa un appello a ciascuno di noi: Io voglio fare Paradiso con te oggi. Oggi. Per quel poco che possiamo, proporzionato alle nostre possibilità, lasciamo che avvenga il suo Regno, il Regno di Gesù, che invochiamo nel Padre nostro. Far avvenire il suo Regno vuol dire chiamare gli altri per nome, guardare gli altri con rispetto, tendere la mano, lo sguardo.
Questo è il Vangelo aperto, che apre i nostri occhi allo sguardo di Dio sulla nostra Storia.

(omelia di don Cosimo Scordato, domenica 24.11.19, Cristo Re, chiesa di san Francesco Saverio, Palermo: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)



domenica 24 novembre 2019

Si chiama femminicidio, baronessa di Carini ...

       Palermo – La vicenda della baronessa Laura Lanza di Trabia, vissuta tra Palermo e Carini nel sedicesimo secolo, è diventata nota al vasto pubblico già nel 1975, quando la RAI - con la regia  di Daniele D’Anza e con Ugo Pagliai e Janet Agren nel ruolo dei protagonisti – mandò in onda in prima serata uno sceneggiato dal titolo “L’amaro caso della baronessa di Carini”. 
       Cosa ci fu di tanto amaro nella vita di Laura Lanza? 
   Intanto le nozze imposte dal padre con il blasonato e assai ricco barone di Carini, don Vincenzo La Grua-Talamanca, a cui la donna fu costretta a soli quattordici anni, il 21 settembre 1543. Dal matrimonio nacquero otto figli. 
    Ma il cuore della baronessa batteva per un’altra persona: Ludovico Vernagallo, cugino del marito. Con Ludovico, Laura intrattenne una lunga e appassionata relazione d’amore. La notizia di tale relazione arrivò alle orecchie del padre di Laura, il barone di Trabia Cesare Lanza, che, non tollerando l’adulterio della figlia, la uccise insieme all’amante, il quattro dicembre 1563. Secondo la tradizione, Laura, colpita al petto, si toccò la ferita e, appoggiandosi al muro del castello con la mano, vi lasciò un'impronta. La leggenda vuole che proprio ogni 4 dicembre l'impronta della mano insanguinata della baronessa compaia su uno dei muri del castello di Carini. 
La tragica vicenda di Laura Lanza entrò subito nell’immaginario collettivo, come si evince da quest’antica ballata popolare che narra l’assassinio della baronessa: «Chianci Palermo, chianci Siracusa, a Carini c’è lu luttu p’ogni casa. […] ‘Signuri patri chi vinisti a fari? Signura figghia vi vegnu ammazzari’ … Lu primu corpu la donna cadìu, l’appressu corpu la donna murìu, nu corpu a lu cori, nu corpu ntra li rini … Povera barunissa di Carini».
     Ma l’assassinio della baronessa non fu subito di dominio pubblico: le potenti famiglie Lanza e La Grua-Talamanca zittirono le voci che denunciavano la morte violenta della donna. Il vedovo si risposò subito, rinnovando alcune stanze del castello e cancellando le tracce che potevano ricordargli la prima moglie. Cesare Lanza, il padre della povera baronessa, avrebbe scritto una lettera di confessione - forse ancora custodita nell’archivio della chiesa madre di Carini - addirittura al re di Spagna Filippo II. Ma, grazie alle leggi allora vigenti, il padre omicida fu assolto; e poco tempo dopo fu addirittura insignito del titolo di conte di Mussomeli.
    Oggi, cara Laura, daremmo un nome ben preciso alla tua tristissima storia. La chiameremmo “Femminicidio”. Allora il venticinque novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, a 456 anni dal tuo assassinio, ricorderemo anche te, povera baronessa di Carini … 

                                                         Maria D'Asaro, 24.11.2019, su il Punto Quotidiano)






sabato 23 novembre 2019

Lasciate orme profonde, perché ne siete capaci ...



            Lasciate orme profonde, perché ne siete capaci. Siate la vecchia sulla sedia a dondolo che culla l’idea finché non torna di nuovo giovane. Siate la donna coraggiosa e paziente dell’Orso della Luna Crescente, che impara a vedere attraverso l’illusione. Non distraetevi ad accendere fiammiferi (che non scaldano) e fantasie (che non nutrono) come la piccola fiammiferaia.
    Resistete fino a trovare coloro cui appartenete davvero, come Il Brutto Anatroccolo. Purificate il fiume creativo affinché La Llorona possa trovare quel che le appartiene. Come La Fanciulla senza mani, lasciatevi condurre in salvo dal cuore attraverso la foresta. Come La Loba raccogliete le ossa di preziosi valori perduti e cantate per riportarli in vita. 
      Perdonate quanto potete, dimenticate un poco, e create molto. Quel che fate oggi influenzerà la vostra discendenza femminile in futuro. Le figlie delle vostre figlie delle vostre figlie probabilmente vi ricorderanno e, soprattutto, seguiranno le vostre tracce,
      Molti sono i modi e i mezzi per vivere con la natura istintiva, e le risposte alle domande più profonde cambiano quando voi cambiate  […]
      Per una vita, da quando conosco i lupi, ho cercato di capire come fanno a vivere, in tanta armonia. Vi suggerirò quindi di cominciare immediatamente con una voce di quest’elenco. Può essere di grande aiuto, per le donne che stanno lottando, cominciare dal numero dieci.


  1. Mangiare
  2. Riposare
  3. Vagabondare
  4. Mostrare lealtà
  5. Amare i piccoli
  6. Cavillare al chiaro di luna
  7. Accordare le orecchie
  8. Occuparsi delle ossa
  9. Fare l’amore
  10. Ululare spesso

 Clarissa Pinkola Estès: Donne che ballano coi lupi, pag. 507/508




giovedì 21 novembre 2019

I templi di pietra, Venezia e la nostra umanità …

Marc Chagall: Il concerto (1957)
          Certo non è facile trovare la bella notizia in questa pagina del Vangelo. Dov’è la bella notizia, l’evangelicità di questa pagina del Vangelo? Che fine ha fatto il tempio di Gerusalemme? L’esercito romano ha voluto la distruzione del tempio … 
        Dobbiamo rendere più comunicabile a tutti noi, care sorelle e fratelli, questa pagina. Che non è facile. E non è, di primo acchito, neppure particolarmente bella: Gesù non può gioire della distruzione del tempio. Ogni avvenimento distruttivo fa male a tutti. Dobbiamo evitarlo. (...)
       Ma qual è il contesto in cui Gesù comincia a parlare con questo tono? Se ricordate, immediatamente prima c’è la scena della vedova, che aveva messo i suoi pochissimi soldini nel tesoro del tempio. In una situazione davvero capovolta: il tempio doveva prendersi cura delle vedove e degli orfani e invece si aspettava di essere sostenuto da vedove e orfani.
        Come se ci fosse una tentazione permanente nella religiosità che, tante volte, ci impoverisce: non è dalla nostra parte, ma quasi quasi diventa la nostra controparte. E una certa religiosità ha alimentato l’idea di Dio che pretende da noi, dopo che ha dato tutto a noi stessi. Come se, alla fine, Dio ci aspettasse al varco per chiederci conto e pretendere da noi …
      Ma noi siamo un dono di Dio a noi stessi. E il tempio di Dio non è né a Gerusalemme né a Garizim né da nessuna parte. Il tempio di Dio è il corpo di Gesù e tutti noi legati a lui e tra di noi.
        Gesù vuole inaugurare questo tempo nuovo, del tempio vivo della nostra umanità. Lo so che tante volte a noi fanno dispiacere i disastri, giustamente. Ad esempio, che l’acqua alta invade Venezia, piazza san Marco …
        Ma pensiamo alle persone che annegano, sott’acqua, persone che sono il tempio vivo di Dio … E le persone che sono buttate fuori dalla vita sociale … E tutto quello che nega esistenza e qualità della vita a milioni, forse miliardi, di persone … Come le può vivere queste cose Gesù Cristo in mezzo a noi? 
        Certo il tempio è bello,  è bella la chiesa di san Saverio dove si riuniamo. Facciamo bene a dire che la nostra chiesa è bella, che Venezia è bellissima. Ma quando impareremo a dire: Come è bella questa persona, perché è umana. Perché è una donna, perché è un bambino, perché è un anziano, perché è quello che è, cosi come è … E’ bello Dio che risplende in questa persona, anche se non me ne accorgo, anche se mi viene difficile riconoscerlo. Anche se questa bellezza è un po’ oscurata dalle vicende, dalle tristezze personali, dalle disavventure della vita.
         Ed è questa la bella notizia che Gesù ci vuole annunziare. Non perché ce l’ha contro il tempio – che doveva essere davvero bello – ma funzionava in maniera problematica perché il tesoro veniva arricchito anche delle offerte delle vedove. Mentre il tempio era stato pensato per aiutare loro.
      Il tempio era bello senz’altro, ma ancora più bello di ogni costruzione umana, di ogni istituzione ecclesiastica – e la Storia ha fatto piazza pulita del Sacro Romano Impero, dello Stato Vaticano, anche se ancora permane una sua piccola parte – la Storia provvidenzialmente ha operato purificazioni continue, come a voler ricondurre la Chiesa a questa pagina, e a tutto il resto del Vangelo. A suscitare la meraviglia dinanzi alla creatura umana e alle creature della terra, agli animali, alle piante, all’aria pulita, all’acqua, alle sorgenti, all’armonia tra l’uomo e la terra. Evitando queste fughe delle belle costruzioni che possono crearci l’illusione di avere fatto così la nostra parte.
         E quindi accogliamo questo dono della conversione che ci viene dal Vangelo: non i luoghi di pietra, che possiamo rendere belli perché ci viviamo, ci siamo, ne fruiamo … meglio renderli belli. Ma soprattutto la pietra vivente che è ciascuno di noi, ogni creatura nella quale Dio ci tiene a essere incontrato, rispettato, venerato, celebrato.
        Certo trovarsi in un luogo come san Saverio è bello, con la sua circolarità, ma san Saverio è bello perché ci siamo noi. E’ bello e accogliente  se noi riusciamo a rendere pieno e bello questo nostro momento di vita, di incontro, di superamento, di grazia.

(Omelia pronunciata da don Cosimo Scordato il 17.11.19 nella chiesa di san Francesco Saverio a Palermo, XXXIII  domenica del tempo ordinario, anno liturgico C, Vangelo: Luca  21, 5-19. Eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)


martedì 19 novembre 2019

Contact

Henri Matisse: Vaso di nasturzi
           Nel suo quartiere, l’ex prof. incontrava spesso un ex alunno “difficile”, di cui si era occupata quando era una  psico-pedagogista, nel tempo che fu, o, più recentemente, come responsabile della dispersione scolastica. 
       L’ex ragazzino sperduto era ora un incerto sedicenne, oppure  un baldanzoso maggiorenne, se non un uomo maturo di trenta e più anni. L’incontro si sostanziava in un caloroso “Buongiorno, professorè”, se l’ex alunno era particolarmente estroverso e loquace, o in un accennato, ma non meno caldo, sorriso. 
       Ma erano sempre gli occhi a riconoscersi e a scambiarsi un saluto. In quella rapida occhiata, le anime nude dell’alunno e della prof. sostavano un istante, una di fronte all’altra. Anche se adesso l’ex alunno conservava poco dell’innocenza passata e lei era ormai un’ingrigita signora, nell’attimo fuggente della danza di sguardi, accadeva il silenzioso miracolo dell’incontro. E l’antica relazione di cura restituiva adesso, e per sempre, un’invisibile magica scintilla di luce.
Maria D’Asaro

domenica 17 novembre 2019

Mare, pizza e filosofia, un legame speciale


    Palermo - Che relazione può esserci tra la filosofia, il mare, la pizza e l’olio d’oliva? E tra la filosofia e le figure mitiche di Abramo e Ulisse? Augusto Cavadi, nel saggio Pensare sul mare tra-le-terre (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2019, €10) constata innanzitutto che pizza e pensiero filosofico sono entrambi prodotti del mare Mediterraneo: a Napoli infatti è nata la pizza e sulle rive del Mediterraneo si sono affacciati e hanno argomentato Protagora, Socrate, Platone, Aristotele, Democrito, Epicuro, Pirrone. E poi Agostino, Tommaso Campanella, Gian Battista Vico. Seguiti, nel XX secolo, da maestri del pensiero del calibro di Antonio Gramsci e Luigi Pirandello.  
        L’autore, a sostegno della sua originale connessione, cita il sociologo Franco Cassano, che ha ipotizzato un nesso di natura geofisica tra mare e amore della sapienza: “Non è un caso che la filosofia sia nata sul mare, quando è venuta ad esistenza la parola ‘ente’, il suo ondeggiare tra l’essere e il niente, quando il divenire è diventato una parola dotata di senso cognitivo, mettendo in discussione le verità forti […] Il sapere si è sottratto alla sua forma oracolare e sacrale, è diventato opinabile, discutibile, occasione di contesa”. La filosofia inoltre - sospesa tra memoria e nostalgia di un’Itaca perduta e tensione progettuale creatrice, aperta alla speranza di nuove scoperte e più appaganti orizzonti – evoca sia Abramo, in cammino verso una sconosciuta meta promessa, sia l’inquieto Ulisse. Abramo e Ulisse sono allora definiti personaggi ‘ancore’ in quanto “come ogni filosofo, hanno sentito l’esigenza di radicarsi in una ‘patria’, solo dopo aver esercitato le capacità perlustrative”. 
       Cavadi sottolinea quindi la vocazione ‘marinara’ della filosofia: “Solo chi ha navigato molto […]può stabilirsi in un luogo senza farsi illusioni sulla precarietà ontologica dell’esistenza; dunque senza fossilizzarsi […] Non è così anche per la ricerca-della-saggezza? […] Essa non è inattingibile, ma la si può assaggiare solo dopo aver gettato molte ancore in molti porti.” “La filosofia sa dunque di mare e di sale”: infatti il sapere filosofico deve ‘salpare’ da ogni credenza acquisita per abitudine e tradizione per guadagnare un approdo più saldo e convincente di quello abbandonato. L’incessante navigazione della mente sarà allora il suo metodo specifico.
Augusto Cavadi
E come il Mediterraneo – è ancora Cassano a essere citato  - esalta il valore della pluralità e favorisce scambi e amicizie tra le sue sponde, nonostante le differenze tra popoli e culture, così la filosofia, in quanto “scuola di laicità”, può lavorare nel disinnescare i tanti fondamentalismi che ammorbano il nostro tempo: “Alla filosofia […] spetta il compito, impegnativo ma entusiasmante, di favorire la conoscenza reciproca delle ‘visioni del mondo’ in gioco, la cernita serena di ciò che vale e di ciò che non vale nella tradizione sapienziale propria e altrui.”
Ma perché possa assolvere a questo e ad altri compiti significativi, la filosofia ha bisogno, oggi più che mai, di superare le vecchie contraddizioni tra “contemplazione e azione; tra rigore logico e accessibilità comunicativa; tra gratuità della ricerca e attenzione alle urgenze della storia.” E, soprattutto, deve abbracciare quella che il filosofo siciliano Davide Miccione definisce la sua «svolta pratica»: cioè “lo sciogliersi dell’identità della filosofia nel concreto filosofare, nel suo venire esercitata”. Tale dimensione pratica del filosofare, che è poi un ritorno alla pratica filosofica socratica, comporta il porre in secondo piano le accademie, le teorie asettiche e specialistiche lontane dalle esigenze delle donne e degli uomini dei nostri giorni e, al contrario, posizionare al centro delle pratiche di pensiero i non-filosofi, in quanto portatori di problemi autentici e di esperienze significative. Così inteso, il filosofare comporta un impegno costante per la crescita civile e politica del pianeta, in quanto sollecita “governanti e governati ad affrontare le sfide epocali con le armi dell’intelligenza e del confronto razionale, temperando e orientando le pulsioni primordiali”. 
Dunque, in quanto incessante ricerca del fondamento, la filosofia “non può non mettere in discussione i fondamenti dati per ovvi” per indagare il senso del mondo e degli eventi storici. D’accordo con  Husserl che ha definito i filosofi ‘funzionari dell’umanità’, Cavadi conclude affermando che essi non solo hanno la responsabilità di pensare anche per chi pensa poco e male, ma anche di ricordare i tratti irrinunciabili dell’humanitas. E, in questo contesto, si apprezza e commuove la dedica del testo “al quattordicenne migrante del Mali, annegato nel Mediterraneo con la pagella scolastica cucita nella tasca interna della sua giacca: simbolo di una strage attuale che rende inquieti i sonni degli europei onesti e dovrebbe rendere insonni i loro governanti”.   

Maria D'Asaro, 17.11.19, il Punto Quotidiano



giovedì 14 novembre 2019

Donna, ti voglio cambiare

Tina Anselmi
          "Le donne non possono sottrarsi. Se cambiamento deve esserci, quello siamo noi. […] Se deve esserci cambiamento nel mondo, noi donne abbiamo il nostro modo per aiutare a compierlo. […] Se state per fuggire, per affrontare un rischio, osando agire in modi vietati, allora scovate le ossa più profonde, fecondando gli aspetti naturali e selvaggi delle donne, della vita, degli uomini, dei bambini, della terra. Usate il vostro amore e i buoni istinti per sapere quando ringhiare, assalire, colpire violentemente […].
             Per vivere il più vicino possibile al selvaggio numinoso una donna deve scuotere più la testa, traboccare di più. Avere più intuito, più vita creativa, più «lasciarsi sporcare», più solitudine, più compagnia di donne, più vita naturale, più fuoco, più cucina di parole e idee.
          Deve riconoscere meglio la sororità, la semina, le radici, la gentilezza verso gli uomini, la rivoluzione nel vicinato, la poesia, la pittura di favole e fatti […].
          Deve scuotersi di dosso la pelle che la ricopre, incedere sugli antichi sentieri, affermare la sua conoscenza istintuale. Possiamo tutte dire di essere socie dell’antico Clan delle Cicatrici, di portare le cicatrici di guerra del nostro tempo, di scrivere segreti sui mari, di rifiutare di vergognarci. 
Non spendiamo troppo in collera. Da questa, piuttosto, facciamoci potenziare. […] Ricordiamo che il meglio non può e non si deve nascondere. […]
             Lasciate orme profonde, poiché ne siete capaci." 

                                                              Clarissa Pinkola Estès: Donne che ballano coi lupi, pag. 507

)

martedì 12 novembre 2019

Novembre




Novembre:
fiorisci ancora,
maestra di resilienza,
tra freddo e tempesta ...
Plumeria.

domenica 10 novembre 2019

Muro di Berlino, morire per la libertà

Winfried Freudenberg

             Palermo – Se a marzo del 1989 avesse atteso ancora solo otto mesi, meno del tempo di una normale gravidanza, Winfried Freudenberg oggi sarebbe ancora vivo. E avrebbe festeggiato con i berlinesi, e con tutti gli uomini e le donne che amano la libertà e la democrazia, i trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, avvenuta nella notte del nove novembre del 1989. Invece Winfried, ingegnere elettronico di 32 anni, e sua moglie Sabine, alla fine dell'inverno del 1989 non riuscirono più a resistere nella grigia e dittatoriale Berlino est. La coppia progettò di fuggire a ovest con una sorta di mongolfiera, costruita con pezzi di tessuto di polietilene, usato per tende o serre, tessuto che potevano comprare senza destare sospetto. Con uno speciale nastro adesivo, assemblarono in casa, a Prenzlauer Berg, un aerostato alto 13 metri e largo 8. Poiché la notte del 7 marzo 1989 soffiava un vento da nord est adatto per il volo, i due, con la loro auto, portarono l’aerostato nella stazione per la regolazione del gas, della quale Freudenberg aveva le chiavi come impiegato della VEB Energiekombinat, azienda del gas cittadino; e verso mezzanotte iniziarono a riempirlo con il gas.
    Ma furono visti da un cameriere che rientrava a casa. Costui chiamò subito la polizia. Nel piazzale si precipitò una pattuglia della Volkspolizei, così sul pallone - dove non c’era ancora gas sufficiente per sostenere due persone – salì solo Winfried, mentre Sabina veniva arrestata. Purtroppo il volo finì male: il cadavere dell’uomo fu ritrovato il pomeriggio dell’8 marzo, in un quartiere a sud ovest di Berlino. Winfried Freudenberg fu l’ultimo dei caduti per la fuga verso la libertà.
    Quanti siano stati in tutto i morti - dal 13 agosto 1961, data di inizio della costruzione del muro, all’8 marzo 1989, giorno in cui morì Winfried - non si sa ancora e forse non si saprà mai, visto che tanti documenti in proposito sono stati occultati o distrutti dalla Stasi, la terribile polizia segreta della Germania est. Secondo le fonti più accreditate, i morti oscillerebbero tra un minimo di 138 a circa quattrocento. Qualunque sia stato il numero totale dei caduti, inclusi i morti per infarto alla frontiera per i controlli estenuanti e brutali della polizia, "Ogni singolo morto è stato un morto di troppo", ha dichiarato il 13 agosto del 2009 Klaus Wowereit, allora sindaco di Berlino, chiudendo così le polemiche in merito alla cifra esatta dei morti. Ricordiamo che la vittima più giovane aveva 15 mesi, Holger H., un bimbetto che nel 1973 morì soffocato dalla mamma che gli stava chiudendo la bocca con la mano mentre piangeva, per evitare che venissero scoperti al Checkpoint Bravo, durante un tentativo di fuga poi riuscito. La vittima più anziana aveva invece 80 anni, Olga Segler, che morì per le ferite riportate dopo essersi buttata dalla finestra del suo appartamento al secondo piano in Bernauer Straße. 
    I dati storici ci dicono che la gran parte dei morti erano giovani, donne e uomini sotto i trent’anni. Almeno 13 erano bambini o comunque minorenni, in fuga con le loro famiglie: tra questi c’è Andrea Senk, un bambino di soli sei anni, ucciso il 13 settembre del 1966. 
   Per ricordare tutti i caduti, su iniziativa dello Stato tedesco e del Land di Berlino, nel 1998 fu realizzato, come monumento nazionale, il Memoriale del muro di Berlino in Bernauer Straße. Successivamente ampliato, oggi comprende il centro di documentazione sul muro di Berlino, un centro per i visitatori, la "Cappella della Riconciliazione", la "Finestra della memoria" con ritratti delle vittime, ed infine un tratto della vecchia struttura di confine lunga 60 metri, chiuso sui due lati da pareti d'acciaio. La parete settentrionale reca l'iscrizione "In ricordo della divisione della città dal 13 agosto 1961 al 9 novembre 1989 ed in memoria delle vittime della dittatura comunista". Nel 2003 fu inaugurato sulle rive del fiume Sprea un nuovo memoriale: sette croci che riportano, sui due lati, i nomi di 13 vittime. Altre vittime del muro sono ricordate con delle targhe incastonate nei marciapiedi o con altre installazioni nei pressi dei luoghi in cui furono uccise. 
    E, insieme a queste memorie di un passato di dolore, di persecuzione e di morte, c’è poi la  East Side Gallery, galleria del lato orientale, monumento protetto dal 1992: il maggior tracciato rimasto in posizione originale del muro di Berlino, tracciato che rappresenta un memoriale internazionale alla libertà. 
    Tale parte del muro di Berlino, lunga 1,3 km, nel 1990 è stata interamente dipinta da diversi artisti provenienti da tutto il mondo con graffiti di vario genere relativi alla caduta del muro e inneggianti alla pace, alla fratellanza e alla libertà. 
    Che la creatività colorata dell’East Side Gallery sia oggi un segno di speranza che illumina il futuro di Berlino, dell’Europa e dell’umanità intera.

Maria D'Asaro, 10 novembre 2019, il Punto Quotidiano

Andreas Senk





venerdì 8 novembre 2019

9 novembre 1989: la libertà nel cielo sopra Berlino

             Bisognava avere almeno vent’anni, la notte del 9 novembre 1989, per sentire oggi l’enorme portata storica della trentennale ricorrenza. Bisognava avere vissuto tutta la tragedia della cosiddetta cortina di ferro, della fatale contrapposizione tra Est e Ovest, tra comunismo e capitalismo, per potere gioire in modo fanciullesco, selvaggio e totale, il nove novembre 1989, quando fu finalmente abbattuto il terribile muro che, dal 13 agosto 1961, teneva separati i tedeschi di Berlino est dai loro connazionali di Berlino ovest.
          Anche io, quella notte, ero ubriaca di gioia. Di anni ne avevo 31, ero abbastanza grande per capire e gioire. E ho avuto la gioia di festeggiare l’epocale avvenimento storico con mio padre, come e più di me appassionato di storia e di politica, papà che proprio il nove novembre faceva il compleanno. Anche se vivevamo nella lontana, relativa serenità di un Paese democratico dell’Occidente, eravamo davvero felici per la riconquistata libertà di tutti i tedeschi dell’est. Avevamo gli occhi lucidi, pensando al sacrificio delle centinaia di persone morte nel tentativo di conquistare la libertà e la possibilità di vivere in uno stato di diritto. Speravamo che il crollo del muro fosse l’inizio di una fase storica di convivenza pacifica. Poi abbiamo visto che nel mondo non sarebbe stato così … ma questa è un’altra storia. 
            Oggi, a trent’anni di distanza, celebriamo  la caduta del muro, sperando che i ventenni e i trentenni di oggi continuino a coltivare nella mente e nel cuore progetti di libertà  e di giustizia, di solidarietà, di uguaglianza e di pace
  Maria D’Asaro


















(foto mari@dasolcare:  Berlino, agosto 2019.
East Side Gallery; Caduti per la libertà; resti  del Muro di Berlino)



martedì 5 novembre 2019

Dark side

Nino Candido, Marco Triches, Matteo Gastaldo:
i tre vigili del fuoco morti vicino Alessandria




Vedi,
ti sorrido …
ma conosco bene
il tuo lato oscuro,
Vita.                                               

domenica 3 novembre 2019

Ma la vita dopo la morte c'è o no?


                       Palermo – Sull’epilogo inevitabile, più o meno lontano, dell’esistenza umana di ciascuno ricordiamo il contributo del filosofo Augusto Cavadi, col suo “Andarsene”, testo intrigante e poliedrico.
     Ecco ora le riflessioni illuminanti di due psicoterapeuti, esponenti italiani della Gestalt Therapy: il professor Giovanni Salonia e la dott.ssa Paola Argentino. Il primo, nel testo “Devo sapere subito se sono vivo” ci ricorda la differenza sostanziale tra tristezza e depressione: “Anche se la tristezza infinita di fronte alle perdite (separazioni, morte, malattia) confina con la depressione, non deve essere trattata come tale. […] Attraversare le sane depressioni dovute ai limiti anche tragici dell’esistenza fa crescere nella pienezza dell’essere umani. Quando la depressione è reazione all’infelicità costitutiva dell’esistenza (e non si somma ad altre gestalt aperte, non elaborate), infatti, compiuto il tempo necessario per l’elaborazione del lutto, si apre e si trasforma in ‘saggezza triste’ che permette di incontrare l’Altro nella concretezza dell’esistenza senza fughe nell’euforia. Viceversa, negare la tristezza delle perdite può, a sua volta, produrre depressione ‘patologica’. Nella postmodernità molte depressioni derivano proprio dal rifiuto della morte e dal vivere come umiliante sconfitta ogni situazione limite.”
     Ed ecco cosa scrive la dottoressa Paola Argentino, in un opuscolo dell’Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy “Nino Trapani” di Siracusa, di cui è direttore scientifico: “A partire dalle idee del matematico Renè Thom, la scienza ha cercato di indagare la genesi e l’evoluzione (mutamento o permanenza) di strutture o forme, animate e inanimate, materiali ed astratte con l’elaborazione  della “teoria delle catastrofi”: una teoria morfogenetica che tenta di spiegare le forme naturali individuando il punto critico del conflitto a cui la ‘forma’ deve la sua origine. Ad esempio, in campo fisico, 100 gradi centigradi rappresentano il punto di catastrofe per cui l’acqua muta la sua forma da liquida a gassosa. Questa teoria è stata applicata in vari campi […] contrariamente alla teoria del caos tenta di spiegare il mondo e i suoi oggetti come “strutture razionali”, che si succedono secondo leggi morfogenetiche. […] Aristotele, nella Poetica, per primo usa il termine “catastrofe” con una connotazione tecnica, per indicare il punto critico della tragedia, quando tutti i nodi si sciolgono e piccoli cambiamenti portano alla rivelazione finale.”
     Allora, conclude la dottoressa Paola Argentino: “Se applicassimo questa teoria al dominio del metafisico, così come lo stesso Thom ipotizza – visto che si tratta di cogliere non solo strutture superficiali, ma anche dinamismi profondi – la morte biologica potrebbe essere il punto critico, il luogo di catastrofe del passaggio da una struttura morfologica ad un’altra?”.
        Chi lo sa … Ne era certo san Francesco, che è stato persino capace di appellare la morte fisica come sorella. Per chi si colloca nella tradizione religiosa cristiana, come san Francesco, non ci  sono dubbi sulla vita eterna custodita da Dio. 
       Per chi è più dubbioso, citiamo la tradizione buddista, che - pur non ipotizzando una Trascendenza, raccomanda di vivere praticando la giustizia, la gioia, la compassione e la misericordia. Non a caso, alla domanda di un discepolo: “Ma la vita dopo la morte c’è o no?” un saggio avrebbe risposto: “C’è la vita prima della morte? E’ questa la questione!”.

Maria D’Asaro, il Punto Quotidiano, 03.11.19



venerdì 1 novembre 2019

AAA. Cercasi santità disperatamente ...

Berlino: East Side Gallery
           La bellezza salverà il mondo? Forse solo se unita alla santità. Ma cosa è la santità? E’ sentire  e incarnare il bene comune, non rimanere prigionieri del proprio io, essere nonviolenti, essere giusti, forti, prudenti e praticare la temperanza.  Avere il senso  della comunione con tutte le creature.
            Di  santità ha bisogno estremo e urgente oggi la società. Beati allora quelli che capiscono che praticare una o più beatitudini non è roba da clericali, da vecchi o da donnicciole, ma di donne e uomini capaci di guardare all’essenza dei rapporti umani.

«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.»                                        
Vangelo secondo Matteo 5, 3-10