venerdì 11 novembre 2011

Nostra Signora e la Stanza segreta

    
       
            Ce l’aveva, Nostra Signora, la sua Stanza segreta.
   Larga, spaziosa, ascosa nel piano più buio della sua casa. Con una porta robusta e invisibile. Con un armadio colmo di attese deluse.
  E tanti cassetti. Pieni di sensi di colpa. Perché non aveva vegliato suo padre, nell’ultima notte. Perché non aveva preso l’aereo, un mercoledì. Perché un figlio l’aveva sgridato un po’ troppo. E un altro nutrito un po’ troppo poco. Perché aveva lasciato un uomo da solo, una domenica sera. Perché c’era stata una telefonata di troppo. E delle lettere troppo avventate. Perché non aveva fatto abbastanza per qualche ragazzo sperduto.
Nostra Signora, in quella stanza, a volte tornava. E la trovava ogni volta diversa.
Lei lo sapeva: quella stanza andava dismessa, una buona volta. Ma non ne avrebbe mai avuto la forza.
Perché, alla fine, lei era solo una donna confusa. Che da sempre cercava una luce. Qualcosa che l’aiutasse a ordinare gli armadi. A mettere via ciò che andava gettato. A dare aria a ciò che valeva.
Ma Nostra Signora non ce l’avrebbe mai fatta. A mettere via le sue antiche paure. A crescere dentro, davvero. Adesso, senza mamma e papà.

giovedì 10 novembre 2011

Qualcuno

Qualcuno
dovrebbe spiegarcelo,
prima o poi:
perchè nasciamo e moriamo.
Disperati.

lunedì 7 novembre 2011

Il Piccolo Principe e la sua rosa


Ancora qualche passo de “Il Piccolo Principe”. Sono pezzi arcinoti, lo so. Ma hanno una sapienza segreta.

“Disse il piccolo principe: - Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare? – E’ una cosa molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami. – Creare dei legami? – Certo – disse la volpe. – Tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo. ““Comincio a capire,” disse il piccolo principe. “C’è un fiore … credo che mi abbia addomesticato” (…)
 “Se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.  E poi guarda!Vedi, laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me, è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano.” (…)
Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità”. (…)
 “Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.  - Voi non siete per niente simili alla mia rosa … Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre.  Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo. “-
E le rose erano a disagio. - Voi siete belle, ma siete vuote” disse ancora.  - Non si può morire per voi. Un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. … Perché su di lei ho ucciso i bruchi …
- Addio – disse la volpe. – Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi… - E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante … - Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”

“Io sono responsabile della mia rosa” … ripetè il piccolo principe per ricordarselo.[1]

 E’ difficilissimo, lo so. Specie se in classi ne abbiamo ventisei. Di cui quindici “difficili”. Ma ogni insegnante dovrebbe ricordarselo: siamo responsabili dei nostri alunni/rose.
Siamo responsabili di chi abbiamo "addomesticato". 






[1] [1] Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, ed. Bompiani per la scuola, Bergamo, 2007: pagg.110-116

sabato 5 novembre 2011

A capo coperto

       Oggi, l’essere giovani, o almeno apparirlo, è un imperativo categorico. Guai a mostrare le prime rughe, i capelli bianchi o altri segni premonitori della vecchiaia. Essere anziani è diventato un tabù. Specie in città. Ma se da Palermo ti rechi in un paesino, vedrai che è ancora possibile mostrare di non essere più ragazzini. Lì, i vecchi non indossano jeans, e anche d’estate stanno con il capo coperto dall’immancabile “coppola”. Le donne conservano il colore sbiadito dei loro capelli, si vestono con gonne  alla buona e hanno sempre  una catenina d’oro con la Madonna sul petto. E un ampio ventaglio di rughe, mostrato senza paura. Vecchi d’altri tempi, retaggio di una società arcaica in cui era permesso essere anziani senza vergogna. Chissà se un giorno anche noi sapremo invecchiare con arte e con dignità. Perché anche essere vecchi, come i nostri nonni ci hanno insegnato, potrebbe avere un sapore speciale.
Maria D’Asaro ("Centonove": 4.11.2011)

giovedì 3 novembre 2011

Nostra Signora e il velo di Maya


Nostra Signora, in cuor suo, lo sapeva.
Che, nella vita, tutto si paga. Che ogni medaglia ha il suo rovescio.
Ma lei si ostinava, ogni tanto, a sfidare gli dei. Magari rifacendosi il naso. O partorendo un’altra creatura e cambiando lavoro. O, addirittura, facendo battere di nuovo il suo cuore.
Ma lei, in cuor suo, lo sapeva: non sarebbe mai stata una mari da mare. Solo una donna da irti sentieri di aspra montagna.
Con un Saturno troppo brillante: a lei toccava aggiustare le vite degli altri. Mentre nessuno avrebbe mai rattoppato la sua.
E le spettava, per giunta, scaldare la cena. Sorridere a salve, dicendo: - Ciao, come va? – E intrattenere, al telefono, la zia spaventata.
Poteva solo guardare le vite degli altri. Alla giusta distanza.
Nascondendo una lacrima quando due innamorati si davano un bacio.
La sua casa non avrebbe mai avuto un camino. Neppure una stufetta a legna, alla buona.
A scaldarla, la sera, un modesto scaldino.
Ma che non si lamenti un po’ troppo, Nostra Signora.
In fondo, ad Auschwitz, si stava peggio.

mercoledì 2 novembre 2011

Ballo in Fa Diesis Minore: Sulla morte, senza esagerare


Sono io la morte e porto corona,
io son di tutti voi signora e padrona
e così sono crudele, così forte sono e dura,
che non mi fermeranno le tue mura.
Sono io la morte e porto corona,
io son di tutti voi signora e padrona
e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
e dell'oscura morte al passo andare.
Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo,
posa la falce e danza tondo a tondo
il giro di una danza e poi un altro ancora
e tu del tempo non sei più signora.



Alla danza macabra cantata da Branduardi, il contraltare di speranza di una poetessa polacca, premio Nobel per la Letteratura nel 1996.

Sulla morte, senza esagerare


Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessitura, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
né scavare una fossa,
né mettere insieme una bara,
né rassettare il disordine che lascia.
Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo né abilità.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Più di un bruco
la batte in velocità.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo svogliato lavoro.
La cattiva volontà non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
è, almeno fin ora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova. Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.
Chi ne afferma l'onnipotenza
è lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non è.
Non c'è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
Wislawa Szymborska

lunedì 31 ottobre 2011

Halloween, in salsa siciliana


Scherzetto o dolcetto? - ormai, nel mondo occidentale, i bambini, e non solo, il 31 ottobre festeggiano Halloween, la notte degli spiriti e della zucca intagliata.[1]

In tutta la Sicilia invece, sino a qualche decennio fa, il 2 novembre era per i piccoli la festa dei "morti": a detta di mamma e papà, nella notte tra l’uno e il due novembre, i nonni defunti avrebbero avuto dal Cielo un permesso speciale per ritornare sulla terra e portare doni ai nipotini.
Anche Maruzza e la sua sorellina, la mattina del 2 novembre, trovavano giocattoli, vestitini, vassoi ricolmi di frutta martorana e di "pupi" di zucchero sul  tavolo di vetrolite nera della sala da pranzo.
- Nonno Giuseppe e nonna Salvatrice vi pensano e vi vogliono tanto bene...guardate quanti bei regali vi hanno portato! – La bici rossa e azzurrina, agognata dalla sorellina, il bambolotto con gli occhi verdi, da lei tanto desiderato … Ma i genitori della bambina erano lontani anni luce dall'immaginare quale tributo di pena pagasse la loro figlia  maggiore per il fugace ritorno dei nonnini defunti, per lei assolutamente reale.
Maruzza, tre o quattro anni, dormiva da sola nella cameretta antistante la sala da pranzo dove  i cari trapassati avrebbero collocato i loro doni. Trascorreva la notte fatidica in dormiveglia, ferma ferma nel suo lettino, con gli occhi chiusi a forza sotto le coperte che sorpassavano di gran lunga la sua testolina. Sopraffatta dallo spavento, perché pensava che nonno Giuseppe e nonna Salvatrice, nel loro vagare, non conoscendo bene la geografia della casa, potessero sbagliarsi di stanza. O che, addirittura, sapendola sveglia sotto le copertine, avessero la strana idea di avvicinarsi al suo letto, magari per darle un saluto...
A ogni rintocco dell'orologio del campanile, la bimba,  paralizzata dalla paura, si andava chiedendo: - Saranno già venuti?...devono ancora venire?... Forse... proprio ora, o mamma mia, sono di là...
Allora l’al-di-là diventava  proprio la stanza da pranzo, dietro la porta appena socchiusa. Un locus horribilis, abitato da spiriti misteriosi e inquietanti, pur se consanguinei.
E la bimba si chiedeva perché mai i nonni si fossero scomodati dal loro paradiso, visto che la loro venuta la faceva precipitare in un inferno di terrore...







[1] Sulle origini della festa, vedi il post del Dr. Peter “: 31 ottobre:quando i Celti celebravano l’anno




venerdì 28 ottobre 2011

5 mazzi: un euro…


Quello che non si stanca di abbanniari: “5 mazzi un euro, si pigliassi, signù.” La signora un po’ svanita che dice alla venditrice: “Mi dispiace, questo è un disinfettante. Io volevo un igienizzante”. C’è il ragazzo con la faccia un po’ dura, di uno che è cresciuto troppo presto: ora pulisce le spigole e impreca contro i padroni che lo fanno “sbiellare”: perchè lui non sa di chi siano, quegli sgombri da “puliziare”.
Incontri poi il ragazzo difficile, che il sabato marina sempre  la scuola. E quello che ci andava, una volta, ma che l’ha abbandonata in seconda media: ora vende con disinvoltura le scarpe da ginnastica taroccate.
C’è il signore che vende palloncini. Con uno sguardo  svagato: proprio come quello dei bimbi a cui vanno i balocchi.
Tutti, ci sono proprio tutti, i palermitani speciali. Al mercatino rionale, in via Oreto nuova. Proprio sotto casa mia, il sabato mattina.
Maria D’Asaro ("Centonove", 28 ottobre 2011)

martedì 25 ottobre 2011

Profumo di caldarroste

      La Maruzza bambina finiva i compiti in un baleno: papà le aveva insegnato a leggere e a scrivere a 5 anni. Così, nello studio, era  sempre una Speedy Gonzales.
Interminabili, per lei, i pomeriggi autunnali. Se chiedeva a sua madre:  - Che faccio? - la mamma, in mille faccende impegnata, rispondeva sempre: - Scarpuzze - , locuzione dialettale che si può tradurre: - Devi sbrigartela tu - .
Era la fine degli anni ’60: la TV dei ragazzi cominciava alle 17, Internet era un miraggio lontano, non c’erano amichette vicine con cui giocare. L’unica sua sorellina spesso doveva ancora studiare o aveva la febbre o si annoiava con lei.
Meno male che c'era il nonno. - Nonno, facciamo una briscola? - Perchè no? Però am'a vidiri chi nni iucamu, 'nca senza nenti un c'è piaciri...Talè, nni iucamu Monte Cuccio. -
Alla fine della partita il fortunato vincitore entrava solennemente in possesso della citata montagna.  -  Nonno, ora facciamo una scopa... -  Va bene, ma n'avemu a iucari Monti Piddigrinu...-
L'appartamento al settimo piano offriva un'ampia panoramica sulla città: monti, cupole, chiese, monumenti, palazzi erano lì a fare da pegno per le infinite partite a carte che il nonno e la sua nipotina giocavano insieme.
Mentre Maruzza mescolava con perizia il vecchio mazzo di carte, il nonno tamburellava ritmicamente con i polpastrelli sul tavolo e modulava a mezza voce una canzone dalle parole incomprensibili, se mai pronunciate:  una nenia dolcissima, di vago sapore orientale, che alla bimba evocava un tempo lontanissimo e arcano. E lei rimaneva quasi rapita dal fascino di quella cantilena: avrebbe voluto carpirne il segreto e assaporarne il tenero gusto da favola antica. Ma intuiva che quel motivo struggente sarebbe rimasto per lei inaccessibile. Solo il nonnino doveva averne, da qualche parte, le chiavi preziose.
Tra una scopa e una briscola, Maruzza si affacciava all’ampia finestra e avvertiva l'affaccendarsi consueto della città, mentre l'aria frizzante e i nuvoloni grigi su Monte Cuccio annunciavano un imminente temporale.
Che  le importava?
Dall'angolo della strada, le arrivava un invitante profumo di caldarroste: il termosifone era già caldo ed era un vero piacere appoggiarci la schiena.
E poi, accanto all’antica quercia del nonno, avvertiva una protezione speciale: un talismano invisibile che l’avrebbe salvata da tutte le saette del mondo.

A Palermo in canoa



Non è necessario scomodare Manzoni - che fa coincidere con un acquazzone la fine della peste - per ricordare che la pioggia ha una valenza purificatrice, oltre che di ristoro e frescura. Con spirito simile noi palermitani aspettiamo le piogge autunnali, dopo l’estate e i miasmi irrespirabili causati dalle montagne di immondizia.
La pioggia c’è stata, ma non ha recato l’atteso refrigerio: a Palermo i cittadini hanno assistito allibiti all’allucinante spettacolo di strade trasformate in torrenti, con i rifiuti che galleggiavano dappertutto. Per non parlare delle piogge torrenziali che a Giampilieri, due anni fa, hanno causato decine e decine di morti.
Si certo, le piogge erano state più violente del solito: ma c’è stata sicuramente una responsabilità tutta umana nella tragedia di Giampilieri.
Così nello spettacolo indegno che vediamo a Palermo, per un temporale. Quando un mio vicino si fa filmare in canoa, nella strada inondata. E va su youtube.
 Maria D'Asaro ("Centonove": 21 ottobre 2011)