venerdì 2 aprile 2021

La cognizione del dolore

Emil Nolde: Il mare di sera
      La seconda condizione per la vera felicità è la cognizione del dolore. C’è un immenso dolore che sovrasta ogni cosa, che pervade la vita di ogni vivente, umani, animali, vegetali; forse soffre anche quella che noi chiamiamo materia inerte, anche le stelle, chissà. 
     Più si conosce la vita, più lo si avverte; più conosci una persona, più sai di cosa soffre; più conosci te stesso, più sai nominare le radici delle tue sofferenze. E’ un suono sordo e persistente, un sottofondo grave, come il basso continuo nella musica di Bach, questa musica così vera e così autenticamente felice perché è insieme armonia e cognizione del dolore.
      Ognuno di noi vive, ma allo stesso tempo ferisce. Dico ferisce (ma potrei anche dire uccide) perché proprio quegli atti che ci permettono di essere in vita, in primo luogo il nutrirsi, sono il risultato di ferite inflitte da noi, o da altri in nome nostro, all’ambiente naturale ( si pensi all’abbattimento di alberi per la coltivazione di sterminati campi di soia o di altro) e di sfruttamento e  uccisione di altre vite (si pensi agli allevamenti più o meno intensivi, ai macelli, alla pesca nelle sue varie forme).
    La vita si nutre di vita: di vita animale e di vita vegetale a livello fisico; di vita psichica a livello psichico. Anche a questo livello infatti si ferisce e si divora: quante amicizie e quanti amori sono solo spietate battute di caccia. Sembra che nessuno possa sfuggire a questa inesorabile legge. Siamo cattivi? No, anche se lo possiamo diventare; siamo però captivi nel senso latino del termine, che significa “prigionieri”. Siamo legati alla catena alimentare, fisica e psichica, la cui legge è l’aggressione, e che di conseguenza genera dolore e morte.
    Ma solo da questo dolore di alcuni nasce e si nutre la vita di altri. E’ così per ogni animale, carnivoro o erbivoro che sia: la vita è fatta di sangue; la vita è un fatto di sangue. (…) Questo è il vasto mare che ci contiene e che noi a nostra volta conteniamo dentro di noi, il mare salato dell’immenso dolore del mondo, mare rosso e mare nero. La felicità autentica non può prescindere dall'attraversarlo, ne conosce i gorghi e le correnti.

Vito Mancuso I quattro maestri, Garzanti, Milano, 2020, pag. 11,12   

2 commenti:

  1. Sconvolgente il pensare che la mia felicità possa in alcuni casi, non penso in tutti, essere il risultato di un dolore altrui. Dico in alcuni casi perchè per esempio la gioia per una canzone nasce dall'emozione di chi l'ha scritta o ancora un amore non necessariamente nasce dal dolore inflitto ad altri. A proposito di gesti che non dovrebbero nascere da un dolore inflitto a terzi ti auguro una serena Pasqua ed estendo questi miei auguri a tutti coloro che ami.

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    1. @Daniele: ricambio di cuore gli auguri. Grazie per l'attenzione e per quello che scrivo.

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