domenica 17 luglio 2022

“Quel maledetto 1992”: bilancio 30 anni dopo

      Palermo - Nella congerie di pubblicazioni e convegni per commemorare il trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il testo Quel maledetto 1992 (Di Girolamo, Trapani, 2022) di Augusto Cavadi, palermitano come i magistrati assassinati, si distingue per il sofferto coinvolgimento personale dell’autore, per l’assenza di retorica, per l’analisi puntuale della situazione odierna e per la lucidità con cui vengono tratteggiati i percorsi per un’efficace lotta alla mafia. 
     Pregi sottolineati nella prefazione di Franca Imbergamo, Sostituta Procuratrice a Roma della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e nella presentazione a più voci, coordinata dallo studioso Umberto Santino, tenutasi il 13 luglio a Palermo al No Mafia memorial.
     Per onorare la memoria delle dieci vittime delle stragi - senza rischiare una loro involontaria collocazione sul piedistallo del ‘martirio’ e legittimare così la nostra presa di distanza e il nostro disimpegno – il testo infatti delinea delle piste operative concrete.
    Per prima cosa, è necessario impegnarsi a conoscere il fenomeno mafioso. Al di là di banalizzazioni, semplificazioni e pericolosi luoghi comuni, la mafia è “un’associazione gerarchica i cui membri, mirano al dominio e al denaro mediante un consenso sociale ottenuto con proposte di corruzione e, se necessario, con minacce violente”. Come ha scritto Paolo Borsellino qualche giorno prima di essere ucciso: «Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l’imposizione di tangenti (…) e con l’accaparramento degli appalti pubblici (…). Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza, è risolto condizionando lo Stato dall’interno».
   Allora – sottolinea Cavadi - bisogna aver il coraggio di affermare che la mafia è un sottosistema sociale, un pezzo della società che coniuga tradizione e innovazione.  Per fronteggiarla davvero, va quindi indagata e compresa in quanto fenomeno complesso e mutevole, con una straordinaria capacità di adattamento ai cambiamenti sociali: nel testo si sottolinea, ad esempio, che non fanno un buon servizio educativo le opere di fiction che ne offrono un’immagine monocorde, affascinante e/o seduttiva o le riconoscono un potere assoluto.
   Qual è lo stato della mafia oggi?  Cavadi afferma che, a trent’anni di distanza dal ‘maledetto 1992’, alcune cose non sono affatto cambiate: la mafia continua a taglieggiare commercianti e imprenditori chiedendo il pizzo, continua a esercitare una sorta di potere giudiziario parallelo a quello delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, inquina il sistema democratico contrattando favori e interventi con politici a ogni livello. “Ma la situazione della mafia – puntualizza l’autore – è anche incomparabilmente diversa rispetto al 1992. Il gotha di Cosa Nostra di quegli anni micidiali è quasi tutto o sottochiave o sottoterra (…) La mafia militare e terrorista in ginocchio è, prioritariamente, l’effetto dell’impegno dei magistrati inquirenti (in stretta sinergia con le Forze dell’Ordine. (…) L’impunità – da regola che era – si è fatta eccezione.”
   Purtroppo però “la mafia, oltre che soggetto militare, è anche un soggetto economico, politico e culturale. (…) Dal punto di vista economico gli osservatori più attenti registrano, proprio in questi mesi di pandemia, un sussulto di attivismo. Se si guarda alla mafia siciliana nei suoi rapporti con le associazioni similari operanti in Italia e in altri Stati, l mafia è viva, è vegeta, scoppia di salute e fa affari alla grande”.
Che fare allora? Ecco i comportamenti essenziali per fronteggiare Cosa nostra:
a) Rovesciare la pedagogia mafiosa: “Se la mafia è violenza, dobbiamo imparare e insegnare la pace; se è ricerca del dominio e del denaro, dobbiamo vivere la sobrietà e l’essenzialità; se è subordinazione incondizionata… dobbiamo incarnare la civiltà dei diritti, il senso critico, la partecipazione democratica”;
b) Boicottare gli affari illeciti: anche se questo è compito precipuo delle Forze dell’ordine e dell’Autorità giudiziaria, è importante sostenere le Associazioni anti-racket, non frequentare sale da gioco equivoche o fare acquisti in attività notoriamente in mano a mafiosi o loro complici; 
c) Disporsi a pagare il prezzo necessario: ecco cosa ha scritto nel 2002 Manfredi Borsellino, figlio del magistrato ucciso e Dirigente della Polizia di Stato: “Seguire l’opera e l’esempio di nostro padre per noi significa essenzialmente vivere nel rispetto assoluto delle leggi morali, credere e ispirarsi ai valori dell’onestà, della trasparenza, del rispetto delle Istituzioni, sacrificando, se del caso, amicizie e legami di ogni genere con persone che non si ispirino ai medesimi principi”;
d) Riscoprirsi animali politici: “la diffidenza verso la dimensione politica dell’esistenza, l’astensione dalla partecipazione consapevole e attiva – scrive l’autore - sono il regalo più prezioso che si possa riservare alle mafie”. “Insomma: la mafia si denunzia nelle piazze, si combatte nei tribunali e nelle scuole, ma si vince solo nelle urne elettorali. Ammesso che si trovino un progetto complessivo di società e dei candidati dignitosi per cui votare”; nell’ultima parte del libretto, viene mostrato in modo esemplare dimostrato come il dominio mafioso impedisca l’effettivo esercizio di tanti diritti sociali, economici e politici costituzionali;
e) Inventare strategie di opposizione nonviolenta: che contro i mafiosi vadano utilizzati gli strumenti repressivi previsti dal nostro ordinamento è fuori discussione. Ma Cavadi sottolinea la necessità di una strategia di lungo periodo, che contempli la “comprensione” umana del mafioso e la fronteggi attraverso un’etica della mitezza, incarnata solo da uomini interiormente forti.
A questo proposito, l’autore traccia un profilo meno noto di Falcone e Borsellino, raccontando episodi che ne evidenziano lo stile relazionale mite, rispettoso e l’immensa statura morale.
Nel contesto dell’approccio nonviolento, ben evidenziato da una scheda del sociologo Enzo Sanfilippo, ecco, infine, le parole toccanti di Paolo Borsellino tramandate dalla sorella Rita: “Paolo diceva: non esistono bambini cattivi, ma se vivi in un contesto in cui l’unico linguaggio che hai, anche per poter sopravvivere è il linguaggio della violenza e della sopraffazione, quello conosci e quello metti in pratica. Se qualcuno ti dà un altro linguaggio ti puoi salvare. (…) In quell’inizio ci siamo noi, il prete, il maestro, la società. (…) Paolo diceva che prima di tutto bisogna cercare l’uomo per capirlo e addirittura riuscire ad amarlo. Se lo farai, alla fine proverai pena per lui e rimorso per quanto noi come società civile non siamo riusciti a fare”.


Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 17.7.22












venerdì 15 luglio 2022

L'immensità del bene

      Cosa intendo, mi chiedo, con la parola “bene” quando lo invio a me stessa o agli altri? Certamente, lo stare nella propria pelle, nel corpo e nella mente.
   Trovare un proprio punto d’appoggio nel mondo, come fanno gli uccelli con i rami e lì trovarsi a proprio agio, intonati al luogo e al momento, e fare un dono agli altri.
   Avere la forza della consapevolezza: non solo ricevere le sue visite, ma saperne reggere la sfida, la sua forza rivoluzionaria, il suo sguardo sovversivo su se stessi e sul mondo.
    Seguire le invisibili linee. Vedere con limpidezza e profondità dentro di sé e dentro gli eventi e i fenomeni che incontriamo.
   Avere la risolutezza di tenere fede alle visioni profonde che sorgono e tradurle in azioni.
Saldarsi alle parole, non lasciarle uscire da sole, non lasciarle orfane nel mondo, ma legarle al respiro, al cuore pensante, alla riflessione.
    Essere gentili senza scadere nella compiacenza, senza venir meno al proprio profondo sentire, ma condividerlo senza imposizioni, con parità e senza alcun intento di colonizzazione.
  Sapersi proteggere. Aver cura di sé, e quindi degli altri.
Vedere il mistero che ci circonda ovunque.
   Sapersi inchinare e chiedere rifugio. Potersi abbandonare al sonno, perché ci si sente in un luogo abbastanza protetto. Potersi sfamare e dissetare.
   Poter reggere l’insoddisfazione e interrogarla e vederla trasformarsi in campo aperto.
Studiare il proprio carattere e poterne ridere quando va allo scontro con il carattere dell’altro, poterlo lasciar cadere come un costume di scena.
Amare e lasciarsi amare.
Vivere, respirare, meditare per addestrarsi a essere nulla.

Chandra Candiani Questo immenso non sapere Einaudi, Torino, 2021, pag. 131,132

mercoledì 13 luglio 2022

Automobilisti Anonimi


     
Berlino: East Side Gallery (mari@dasolcare, 2019)
    Nostra signora era angosciata dalla follia della guerra e dalla strafottenza collettiva riguardo al cambiamento climatico. Da quando aveva capito che per ridurre il riscaldamento globale bisognava mangiare meno carne e pesce e utilizzare poco aereo e automobile, privilegiava noci, lenticchie e spostamenti in treno e a piedi.
     Complice la calura estiva, le era poi balenata un’idea: fondare gli Automobilisti Anonimi, associazione di auto mutuo aiuto per sostenere chi ha dipendenza dalle quattro ruote e non riesce ad andare a piedi al panificio distante 500 metri o a servirsi di tram, autobus o treno in città. 
      Come i soggetti di altre dipendenze, gli Automobilisti Anonimi dovrebbero riunirsi per condividere la propria esperienza, raccontarsi quanto fa male alla salute individuale e del pianeta l’automobile (tanto male anche al portafoglio se è a metano), aiutarsi a essere più sobri e ripetere, ogni giorno: - Solo per domani non guiderò, solo per domani…

Maria D’Asaro 

Ce la facciamo a salvare il mondo prima di cena? Secondo Foer, sì.



domenica 10 luglio 2022

Ambiente, in Sicilia ancora troppi reati

      Palermo – I dati del 2021 parlano chiaro: la Sicilia, cuore del Mediterraneo e regione ad elevata vocazione turistica, si colloca purtroppo al secondo posto della classifica nazionale per numero di reati contro l’Ambiente. 
     Le cifre ufficiali, fornite dalle Forze dell’Ordine ed analizzate da un recente report di Legambiente, evidenziano in Sicilia 6.725 illeciti penali e amministrativi relativi a reati ambientali a danno del mare: il 12,2% della somma nazionale, con 2.455 persone denunciate o arrestate per tali reati e con un totale di 872 impianti sequestrati. Uno degli ultimi sequestri eclatanti è stato quello dell’impianto di depurazione dell’area industriale di Siracusa e dei vicini comuni di Melilli e Priolo Gargallo, accusati di disastro ambientale per lo sversamento illecito in mare delle acque reflue.
     Nella classifica negativa, la Sicilia è preceduta dalla Campania, che si aggiudica la maglia nera, e seguita da Puglia, Toscana e Calabria. Tra le regioni marine, la più virtuosa sembra la Sardegna, dove i reati contro il mare sono il 3,1% del totale nazionale.
     Se prendiamo in esame le coste deturpate dall’abusivismo edilizio, in Sicilia i dati rimangono sconfortanti: anche in quest’ambito l’isola è seconda dopo la Campania, e conta 3.822 illeciti penali o amministrativi (pari al 13,8% del totale nazionale), con 785 persone denunciate o arrestate, e la cifra record di 94 sequestri di immobili. Tra le strutture sottoposte a sequestro e/o a ordinanza di demolizione, non ci sono solo i cosiddetti eco-mostri, ma soprattutto villaggi turistici, stabilimenti balneari e case per le vacanze.
     Tra i reati ambientali, analizzati anche i numeri della pesca illegale, spinta da un’elevata richiesta di mercato. In quest’ambito, l’isola detiene purtroppo il primato italiano, con 1978 illeciti penali e amministrativi: nel 2021, sequestrate ben 173.000 tonnellate di caviale, salmone, pesce spada e tonno rosso proveniente da pesca di frodo.
    Vanessa Rosano, esponente di Legambiente - intervistata dalla giornalista Lucilla Alcamisi, della redazione del TG regionale siciliano – ha enunciato le proposte dell’associazione per contrastare i reati ambientali in Sicilia, affermando innanzitutto l’importanza di coinvolgere i Prefetti perché siano rese operative le disposizioni esecutive di abbattimento delle strutture, poiché spesso i Comuni non hanno i fondi necessari per l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari.
    La dottoressa Rosano ha poi sottolineato la gravità dell’accusa di disastro ambientale per l’area industriale di Siracusa, con conseguenze assai gravi all’ecosistema marino, all’atmosfera e alla salute degli esseri umani. Ha anche menzionato una situazione analoga ad Agrigento, dove a san Leone, la spiaggia degli agrigentini, le fogne scaricavano direttamente in mare con un sistema di depurazione del tutto inadeguato. Un’indagine giudiziaria ha portato a varie richieste di condanna per i vertici della società Girgenti Acque e per alcuni Sindaci e Funzionari della Pubblica Amministrazione collusi.
    L’esponente di Legambiente ha infine ribadito l’importanza di far applicare le leggi e bonificare laddove se ne accerti la necessità, in modo che i cittadini abbiano fiducia nella possibile risoluzione dei problemi ambientali. E ha sottolineato l’urgenza di tenere sempre alta la vigilanza e di effettuare regolari controlli per scongiurare il reiterarsi di questi gravi reati.
    Non può passare inosservato che tra le cinque regioni con il record di reati ambientali, quattro – Campania, Sicilia, Puglia, Calabria – sono quelle con la maggiore presenza di criminalità organizzata nel territorio, a comprova che le mafie considerano anche il mare e le coste ‘cosa loro’, da deturpare e inquinare senza pietà. 
     Allora, la tutela dell’Ambiente, oltre che compito delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, dovrà essere assunta anche dalla coscienza collettiva di tutti i cittadini. Solo se e quando mare, coste e terra saranno considerati beni comuni e curati quanto la nostra salute individuale, si riuscirà a invertire la nefasta tendenza all’incuria e al degrado ambientale.

Maria D'Asaro, 10.7.22, il Punto Quotidiano

venerdì 8 luglio 2022

Ligustro



Mi inchino

All’ombra delicata,

Umile dono generoso,

Della tua tremante dolcezza:

Ligustro


mercoledì 6 luglio 2022

Un'altra Storia è possibile: lettera aperta sui manuali scolastici

Marc Chagall: Angelo blu
   Lettera aperta sui manuali scolastici e universitari, alla Ministra dell’Università e della Ricerca, al Ministro dell’Istruzione,
alle Studiose, agli Studiosi, alle Case Editrici (pubblicata qui, da Il Manifesto)

  "Esimia Ministra, esimio Ministro, illustri Colleghe e Colleghi, spettabili Case Editrici,
siamo un gruppo di docenti della Scuola e dell’Università che da anni si impegna tra l’altro, insieme alle studentesse e agli studenti, nel portare i testi classici antichi e moderni in strada e nei teatri, tra la gente, e nel proporli pubblicamente non come modelli valoriali universali e fuori dal tempo ma come portatori di idee e pratiche altre con cui sfregare il tempo presente: perché esso vi faccia i conti, si lasci da esse criticare e aiutare a diventare più consapevole di sé.

    Vi scriviamo questa lettera aperta perché grande è la nostra preoccupazione per le forme di violenza dilaganti, in particolare quella bellica e quella patriarcale. Nonostante tutti gli avanzamenti fatti in molti campi, gli esseri umani vivono costantemente immersi in una dimensione violenta e rischiano di lasciarla in eredità alle generazioni future: sia come realtà concreta, sia come categoria per pensare la gestione dei conflitti e il rapporto tra le differenze; o forse come realtà concreta in quanto frutto di categorie che modellano il modo di pensare la gestione dei conflitti e il rapporto tra le differenze.
      In tale quadro generale, non possiamo non notare che i nostri libri di testo, pur con tutti i meritevoli aggiornamenti, restano tuttavia dentro la struttura di pensiero di cui dicevamo e, per l’importanza da essi rivestita nell’istruzione, contribuiscono a riprodurla e a ratificarla. 
     In particolare, benché il nostro discorso valga anche per tutti gli altri ambiti disciplinari, è soprattutto e in primo luogo nella manualistica della Storia che avvertiamo la necessità di modifiche urgenti e sostanziali. La Storia, infatti, concorre forse più di altre discipline a creare la cornice metacognitiva generale di chi studia: facendo vedere gli avvenimenti trascorsi attraverso lenti che focalizzano certi aspetti piuttosto che altri, presentando come fattori di cambiamento alcuni tipi di azione e non altri, essa educa a pensare ben precisi orizzonti di possibilità e ad agire all’interno di questi, e in tal modo si costituisce non solo come analisi del passato ma anche come profezia del futuro.
     Ora, la narrazione manualistica della Storia, nonostante ormai opportunamente comprenda aspetti della vita sociale delle varie epoche e abbia ampliato il suo interesse per il mondo non occidentale, continua a essere dominata da un’ottica politico-militare e dal filo rosso delle guerre e del ruolo maschile. Gli orizzonti geografici e temporali si sono allargati ma il racconto – la trama, il contenuto, ciò che risulta in primo piano come motore del processo storico – è ancora fondato su categorie di pensiero proprie del patriarcato e di una mentalità competitiva e violenta. 
     Tale racconto resta talmente affollato di forza militare e di genere maschile che non lascia immaginare altre forme di sviluppo della temporalità che non siano violente e/o maschili, e finisce per far credere che la violenza appartenga addirittura alla natura umana e sia normale, ineluttabile, o contenibile solo attraverso istituzioni, nazionali o internazionali, di carattere giuridico. O, peggio ancora, come viene fuori con chiarezza nella narrazione dominante a proposito dell’attuale aggressione all’Ucraina in cui le istituzioni risultano inefficaci, contenibile solo con il ricorso ad altra violenza – sia pure di difesa.
Acrobati a Montpellier, nei pressi di una statua di Luigi XIV
Foto Ap
      Noi crediamo che, per cacciare davvero la guerra e il patriarcato fuori dalla storia, sia indispensabile cambiare il paradigma culturale, promuovere un sapere diverso da quello appena presentato e dare spazio al racconto della costruzione della pace con mezzi pacifici, mettere in luce il ruolo delle donne e dei popoli che hanno contribuito alle trasformazioni storiche senza ricorrere alle armi; meglio ancora, dipanare per mezzo di queste categorie il filo della Storia intera.
       Ciò sembra al momento un obiettivo lontano: forse semplicemente, dalla ricerca e dall’editoria attuali, esso nemmeno è posto come obiettivo. Eppure, i singoli studi in questa direzione sono ormai numerosissimi e, anche se per lo più costituiscono lavori sparsi, capita a volte che se ne diano di già coordinati tra loro all’interno di una cornice diacronica in volumi collettanei o in atti di convegno, che potrebbero costituire una buona base per organici e completi manuali in grado di rispondere alle esigenze che stiamo qui rappresentando (basti ricordare soltanto i volumi della Storia delle donne in Occidente, curata da Georges Duby e Michelle Perrot, e quelli della Politica dell’Azione Nonviolenta di Gene Sharp).
    Noi Vi chiediamo pertanto di adoperarvi, secondo i vostri specifici ruoli, per l’elaborazione e l’attuazione di organici e strutturati progetti di redazione di manuali, scolastici e universitari, che espressamente valorizzino il ruolo delle dinamiche nonviolente e la parte attiva svolta dalle donne nel corso della storia – manuali che abbiano il coraggio di profetizzare un futuro in netta cesura con quello attualmente all’orizzonte ed esercitino a pensare la pace e a vedere che le concrete possibilità di costruirla attivamente senza fare ricorso alla violenza sono state più numerose di quelle che siamo abituati a credere.
     Inoltre, poiché la forma della scrittura, non meno dei contenuti, costituisce veicolo di un preciso modo di pensare, Vi chiediamo che tali manuali presentino un linguaggio adeguato al cambiamento di paradigma auspicato, e superino il lessico del maschile indifferenziato, dell’impersonalità, del preteso oggettivismo per fare un passo culturale decisivo verso un uso delle parole consapevole della loro non neutralità.
    Confidando che vogliate accogliere il nostro appello, in attesa di vostre concrete risposte,
Vi porgiamo i nostri più cordiali saluti,

Comitato Scientifico di “Classici Contro” (Palermo)
Comitato Scientifico di “Classici in strada”
Movimento Nonviolento (Centro di Palermo)

(seguono nomi di 30 docenti della Scuola o dell’Università, in parte aderenti al Movimento Nonviolento: 
Andrea Cozzo (estensore materiale), Valeria Andò, Emanuela Annaloro, Daniela Bonanno, Serena Burgarella, Marina Buttari, Francesco Caparrotta, Maria Rosa Caracausi, Alfredo Casamento, Augusto Cavadi, Enza Conserva, Nicola Cusumano, Maria D’Asaro, Marinella Emanuele, Caterina Ferro, Pietro Giammellaro, Franco Giorgianni, Alessandro Guccione, Miriam Leone, Vita Margiotta, Salvatore Nicosia, Rosaria Norrito, Roberto Pomelli, Mariella Rinaudo, Adriana Sajeva, Antonella Sorci, Anna Spica Russotto, Isabella Tondo, Antonietta Troina, Annalisa Visicchio

Chi vorrà, potrà firmare la petizione su Change.org qui.

lunedì 4 luglio 2022

Troppo caldo, le piante emigrano in montagna

     Palermo – Numerosi studi hanno ormai provato che, per adattarsi al riscaldamento del clima, le piante cercano condizioni climatiche più favorevoli e tendono quindi a spostarsi verso altitudini maggiori. 
     Una ricerca che durerà tre anni, promossa dall’Università di Innsbruck, dalla Provincia di Bolzano e dal fondo scientifico austriaco FVF, si propone l’obiettivo di scoprire a quali cambiamenti e a quali stress le piante saranno sottoposte da questo cambiamento di habitat. Saranno informazioni molto utili per capire come evolverà il paesaggio nel futuro, considerando che già alcuni vigneti arrivano a vivere a 1200 metri di quota.
    L’esperimento è stato avviato a Bolzano, all’interno del laboratorio “Terra X Cube”, dall’Istituto per l’ambiente alpino del Centro di ricerca applicata Eurac Research.
    Il progetto, chiamato Upshift, è unico nel suo genere perché riproduce artificialmente in laboratorio le condizioni ambientali presenti a una data quota, all’interno di quattro camere che creano artificialmente le condizioni ambientali tipiche dell’arco alpino, a quattro diverse altitudini. Per accedere alle stanze/laboratorio è necessario chiudere le porte stagne e pressurizzare il corridoio, come se si entrasse in un’astronave!
    Le modalità della ricerca sono state enunciate a Marco Passarello, giornalista del TG Regionale del Trentino-Alto Adige, dal ricercatore dell’EURAC, l’ecologo dottor Matteo Dainese: “Abbiamo preso in esame tre tipologie di piante differenti dal punto di vista funzionale: una graminacea (un tipo di brachypodium rupestre), una leguminosa (il trifoglio pratense) e una specie di pilosella, la hieracium pitosella.
Lo sviluppo delle piante verrà monitorato attraverso parametri quali il contenuto di clorofilla delle foglie e la conduttanza stomatica (i meccanismi di fotosintesi e di respirazione) nonché diversi elementi funzionali delle piante stesse: l’altezza, il peso a secco, l’area fogliare e il contenuto di carbonio o di azoto delle foglie. Il vantaggio di svolgere la ricerca in laboratorio è che da qui si possono controllare direttamente tutti gli indicatori - temperatura, umidità, luce, pressione… - rispetto a una ricerca all’aperto. E poi possiamo manipolare e variare in modo indipendente i singoli parametri, cosa che sul campo non è possibile.”
    “Ci aspettiamo di vedere come le piante si adattino a una pressione ridotta – continua Matteo Dainese – La nostra ipotesi è che aumentando la quota e riducendo la pressione, gli effetti sulle piante potranno essere simili a quelli della siccità. Sulla base degli scenari più pessimistici del cambiamento climatico, che prevede un aumento della temperatura globale anche di 4 o più gradi, si può prevedere che, alla fine di questo secolo, per sopravvivere le piante potrebbero spostarsi anche ad altitudini maggiori di 1000 metri.
      E quindi le piante che oggi vediamo a 1.500 metri, potranno crescere a 2000 o 2500 metri. Tra gli scenari simulati nelle nostre camere, ci sono quindi i 2.500 metri di altitudine. Secondo diversi modelli climatici, questo è uno degli scenari più radicali – ma comunque verosimili – che potremmo avere attorno all’anno 2100.”

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 3.07.22

sabato 2 luglio 2022

Il nemico è la guerra. Una prospettiva nonviolenta

Nina Masina (Artisti contro la guerra
@Internazionale)
       "Vorrei proporre una breve riflessione che possa contribuire alla costruzione della pace: costruzione della pace nel senso specifico di insieme di pratiche non militari in grado di fermare l’attuale scontro Russia/Ucraina, e in quello più generale di promozione di una cultura che ci abitui a pensare la soluzione di ogni conflitto violento attraverso il ricorso a mezzi pacifici.
      Non farò analisi sulle responsabilità prime o ultime, immediate o remote, di questa guerra, né cronologie che determinano il suo inizio al 24 febbraio del 2022, come vuole la parte aggredita e chi sta unicamente con essa, oppure al 2014, come vogliono i russi e chi, tentando un’analisi più approfondita (magari riallacciandosi alle riflessioni di Tucidide sulla guerra del Peloponneso), non si adegua all’interpretazione ufficiale del mondo occidentale ma cerca anche altre, cioè le ‘nostre’, passate corresponsabilità.
      Dal punto di vista del pensiero della nonviolenza, cui mi ispiro, – ma anche da quello dello storico e filosofo Plutarco il quale, a proposito della citata guerra del Peloponneso, sottolineava criticamente l’importanza svolta dalla passività della parte terza (cioè le altre città) rispetto ai contendenti, che appunto, purtroppo, “non si interpone” nel momento dello scoppio della guerra –, da questo punto di vista, dicevo, cerco di ragionare concretamente dal luogo che occupo illustrando ciò che poteva, e in una certa misura ancora può, fare la parte del mondo in cui vivo, indipendentemente dal fatto che sul passato si faccia un’analisi o un’altra.
     Perché la nonviolenza (un’unica parola tutta attaccata) non guarda al passato, alle responsabilità, e perfino non guarda alla verità (da questo punto di vista, la nonviolenza è pensiero pratico perfettamente adeguato all’epoca della post verità); essa guarda, invece, al presente in vista della costruzione del futuro. Oltre il pacifismo, benemerito ma che può limitarsi alla protesta, la nonviolenza intende dire come si può operare attivamente per la pace. Innanzitutto, nell’azione immediata, per questa pace qui; poi anche negli interventi strutturali, di sistema, per cacciare poco a poco, come si dice, la guerra fuori dalla Storia. 
Un punto di partenza trasversale: il nemico è la guerra 
    Il nemico è la guerra, e non, ovviamente, l’Ucraina che è aggredita e soffre; non Putin che ha con tutta evidenza aggredito, anche se pretende di giustificarsi facendo presente la sempre maggiore vicinanza della Nato al suo Paese (il che spiega ma non giustifica la sua invasione); non la Nato, benché non sia chiaro il senso della sua esistenza dopo la fine del Patto di Varsavia e men che meno del suo continuo allargamento (dagli originari 12 Paesi agli attuali 30!); non gli Stati Uniti, nonostante tutti i loro errori e di comunicazione e di azione; non l’Europa e l’Italia e chi è per l’invio di armi – che comprendo benissimo, anche se non ne condivido l’opinione; non, tra noi, chi, per me illecitamente, accusa di essere guerrafondai coloro che non vedono soluzioni se non nell’invio di armi in vista di negoziati; non chi, per me altrettanto illecitamente, accusa coloro che, semplici pacifisti o nonviolenti (perché in realtà le due categorie non coincidono) non vogliono l’invio di armi ma interventi volti a contrastare Putin che lo conducano ai negoziati di essere “oggettivamente” a favore dell’autocrate o, al meglio, “anime belle”; non chiunque pensi diversamente da me.
   No; il nemico è la guerra e la distruzione e la morte che stanno operando ferocemente in Ucraina (oltre che in molte altre parti del mondo) e che, oltre a produrre tragedie umane e disastri ambientali, hanno creato un clima d’odio che avrà effetti ancora per chissà quanto tempo nel futuro, visto che ognuna delle due parti ha avuto i suoi morti... 
(l'articolo del professore Andrea Cozzo continua qui: Dialoghi mediterranei )

giovedì 30 giugno 2022

Pregare: svegliare la vita

     Non esiste nella tradizione buddista qualcosa come la preghiera. Esistono i Rifugi: chiedere al Buddha, al Dharma, al Sangha, di darci rifugio, di farci tana.
Esiste il canto di mettà, chiamare il bene e distribuirlo, condividerlo benedicendo.
   Ma il mio amico don Angelo, in una sua omelia, cita le parole del profeta Isaia (51,9) che dicono: «Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate».
     E se pregare è svegliare e il bisogno di svegliare nasce dalla percezione della nostra limitatezza, allora tutto il percorso della pratica di meditazione, che è rivolta sempre al Risveglio, è preghiera.
     Allora, proprio non è una tecnica nè una forma di erudizione, nè un ennesimo tentativo di onnipotenza, nè la ricerca di un incondizionato benssere distaccato dal tutto.
     Allora pregare è svegliare la vita perchè ci dia una mano, perchè abbia compassione, perchè ci sia dialogo.
    Perchè la vita è viva.
Si racconta che quando il Buddha si risvegliò. gli alberi lasciarono piovere i loro fiori su di lui. 
E il maestro indiano Rajneesh commentò che non si tratta di una metafora: la natura gli stava dicendo: «Non sei solo».

Chandra Candiani Questo immenso non sapere Einaudi, Torino, 2021, pag.119







mercoledì 29 giugno 2022

Peccato...

Dovunque

Uomini tristi

Continuano a uccidersi

Estranei a tanta straripante bellezza

Peccato…