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mercoledì 6 aprile 2011

10 (+ 1) motivi per leggere “101 Storie di mafia”


Si possono elencare svariate ragioni che rendono utile, anzi necessaria, nonché gradevolissima, la lettura dell’ultimo libro di Augusto Cavadi: 101 Storie di mafia che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton Editori, Roma, 2001 (€9.90). Potrei persino trovarne 101, di queste ragioni. Ma tenterò di essere convincente con un semplice decalogo.

1. Questo libro va letto perché ci ricorda che il problema più grosso della Sicilia è la mafia. Ce lo ricorda in un momento storico in cui è forte, di nuovo, il rischio di credere invece che la vera piaga della nostra isola sia il traffico, come proclamato dallo zio di Johnny Stecchino. Il testo, attraverso 101 storie legate dal filo rosso della variegata e poliedrica esperienza personale dell’autore, ci offre un panorama a 360° del fenomeno mafioso in Sicilia. Incasellando rigorosamente, con una capacità di analisi e un’onestà intellettuale adamantina, uomini e avvenimenti nel loro puntuale contesto storico-sociale.

2. Il libro va conosciuto perché è, a mio avviso, una sorta di classico sulla mafia. In fondo cosa è un classico, se non un testo che tratta contenuti universali, riuscendo a far breccia nel cuore di tutti: uomini, donne, ragazzini, di tutte le condizioni sociali e culturali? Con questo testo, con il suo linguaggio piano e scorrevole, ma mai affrettato e banale, Augusto Cavadi, – così come con l’ottimo saggio "Il Dio dei mafiosi" - si dimostra uno scrittore, nazional-popolare, di classici storico-sociologici. Questo è un libro per tutti: può leggerlo lo studente di primo anno di una qualsiasi scuola superiore, il docente universitario, il fruttivendolo attento che ha solo la terza media, il poliziotto, anche l’affiliato a Cosa nostra. Tutti troveranno uno spunto, un interesse, un aneddoto, un punto di vista da prendere in considerazione.

3. Le 101 storie (le prime 32 delineano il sistema di potere mafioso, dalla 33 in poi raccontano storie e cronache del potere mafioso) sono densissime e ricche di umanità, ma scritte come un romanzo: in modo avvincente, piano, scorrevole, intrigante.

4. E’ un libro dove si fanno nomi e cognomi: con rispetto, ma senza sconti per nessuno. Volete sapere qualcosa di più dell’intricato rapporto tra Massimo Ciancimino e quel suo padre ingombrante che fu don Vito? Leggete la storia n.95. Volete sapere chi, negli anni ’60 aveva il coraggio di parlare di mafia a Palermo? Leggete la storia n.51. Volete sapere la storia di uno che, in Sicilia, ha avuto il coraggio di non pagare più il pizzo? Leggete la storia n.58.

5. Il testo, sebbene sia una sorta di vulgata della mafia e dell’antimafia, è molto di più di questo: ha una forte valenza antropologica, è ricchissimo di spunti di costume, è un prezioso compendio della varia umanità che ha abitato, negli ultimi decenni, sotto diversi vessilli etici ed esistenziali, la terra di Trinacria.

6. E’ un testo che non può mancare nella biblioteca personale di un insegnante: perché gli consente di arricchire la storia della mafia e dell’antimafia con contenuti, notizie, curiosità, ragionamenti che hanno di sicuro un grande impatto in una didattica che sia efficacemente antimafia.

7. Tra le 101 storie alcune sono veramente esilaranti: risate assicurate nel leggere la storia n. 7: Preparati Chinnici, quella n. 65: Evidentemente mi ha scambiato per suo marito o l’episodio n.71 Il pretore di Carini e un cornuto. Riuscire a conoscere, scandagliare e ragionare su Cosa Nostra e, magari, riderne di cuore in alcune pagine, non è certamente pregio da poco.

8. “Chi, per le ragioni più varie, non accetta né la fuga (dalla Sicilia) né l’auto-soffocamento della propria dignità, deve rassegnarsi a convivere con un certo margine di pericolo”. E l’autore sa che “ogni mattina – uscendo da casa – ha qualche probabilità in più, rispetto ai colleghi giornalisti francesi o canadesi, di non ritornare sulle sue gambe.” Perché il giornalista Augusto Cavadi è uno che si schiera. E le sue 101 storie dicono chiaramente da che parte sta. E che corre anche i suoi rischi, per le sue denunce, per i suoi scritti, per le sue parole, per le sue azioni: “alla luce del sole” contro la mafia.

9. E’ un libro che un siciliano non può non conoscere: difetterebbe la sua conoscenza della storia e dei costumi etico-antropologici dell’isola, si porterebbe gravi lacune nella messa a fuoco del fenomeno mafioso, ne sarebbe diminuita la sua coscienza di cittadino consapevole.

10. Sono 101 storie che un non-siciliano non può non conoscere: se si privasse della lettura di questo testo, anche chi vive a latitudine 44° (Viareggio) o 46° (Bolzano) sarebbe diminuito nella sua coscienza di cittadino consapevole e avrebbe gravi lacune nella messa a fuoco del fenomeno mafioso.

L’undicesimo motivo per cui questo libro è prezioso è di carattere strettamente personale. Scopritelo da soli, con il libro tra le mani.

lunedì 10 agosto 2020

Paolo Giaccone, eroe civile che non si piegò alla mafia

     Palermo – Se si chiedesse di associare l’anno 1982 a un delitto di mafia ‘eccellente’ avvenuto a Palermo, sarebbe sicuramente citato l’assassinio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, proprio in quell’anno, la sera del 3 settembre. 
     In pochi ricorderebbero che qualche settimana prima, l’11 agosto 1982, fu assassinato con cinque colpi di pistola, tra i viali del Policlinico di Palermo, anche un noto medico palermitano: il dottor Paolo Giaccone.
       Chi era Giaccone? Era un medico e uno stimato docente universitario: ordinario di Medicina legale alla Facoltà di Medicina dell'Università di Palermo, insegnava anche Antropologia criminale alla Facoltà di Giurisprudenza. Il professore divideva il suo impegno tra l'Istituto di medicina legale del Policlinico, che dirigeva, e le consulenze per il Palazzo di Giustizia. 
Nella vita privata era felicemente sposato, con quattro figli – Camilla, Antonino, Amalia e Paola – e aveva tanti interessi: amava dipingere e praticava la scherma; si interessava di filatelia e di ornitologia. Era inoltre un appassionato di musica, che studiò per cinque anni al Conservatorio Bellini. 
      Perché i mafiosi lo uccisero? Bisogna andare indietro di qualche mese, al dicembre del 1981, quando tra le vie di Bagheria - un grosso centro a pochi chilometri da Palermo - c’era stata una sparatoria con quattro morti. Il professore Giaccone aveva ricevuto l'incarico di esaminare un'impronta digitale lasciata da uno dei killer. Secondo la sua perizia, l'impronta apparteneva ad un esponente della cosca mafiosa di Corso dei Mille: questa era la prova che poteva incastrare gli assassini. Il medico ricevette delle pressioni perché ‘aggiustasse’ le conclusioni della perizia dattiloscopica. Giaccone non cedette a pressioni e a minacce – che pare gli furono rivolte anche da un avvocato – e il killer fu condannato.
La mafia si vendicò uccidendo il medico in una calda mattinata d’agosto. In seguito il pentito Vincenzo Sinagra rivelò i dettagli del delitto, addossandone la responsabilità a Salvatore Rotolo, che venne condannato all'ergastolo nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra.
           Ecco cosa aggiunge a questa tristissima storia Augusto Cavadi nel suo testo ‘101 Storie di mafia che non ti hanno mai raccontato’: «Chi ha ucciso il dottor Giaccone? La risposta giudiziaria è corretta, preziosa, ineliminabile. […] Tuttavia, per quanto esatta, sarebbe una risposta incompleta. Quando l’esponente di una categoria professionale viene ucciso, sarebbe da ciechi non vedere la grave responsabilità oggettiva di tutti quegli altri membri della stessa categoria che con il loro comportamento abituale hanno reso possibile […] quella uccisione. Infatti: perché il mafioso si aspetta la connivenza del medico (o dell’avvocato, del direttore di banca, del poliziotto penitenziario…) e, se non la ottiene, non può permettersi il lusso di tollerare la disubbidienza? 
        Perché abitualmente la borghesia professionale ha accettato – per interesse o per paura – le richieste illegali manifestate da personaggi di ‘rispetto’. […] Ecco perché ad assassinare Giaccone non sono stati soltanto uno o due killer, ma anche quei medici che […] si sono prestati ad assecondare le richieste dei mafiosi. Proprio come tutti i commercianti che pagano il pizzo precostituiscono le condizioni oggettive dell’esecuzione esemplare di un Libero Grassi…».
        Sono passati trentotto anni dall’assassinio del professore Giaccone e circa trenta da quello dell’imprenditore Libero Grassi. Si spera che a Palermo sia cresciuta la consapevolezza etica e civile, tanto da rendere meno praticabili pressioni e ricatti della mafia a professionisti e commercianti.
      Ai palermitani che si trovano a varcare il Policlinico universitario, ormai intitolato al dottore Paolo Giaccone, rimane comunque nel cuore un sentimento di grande mestizia, unito a una profonda, perenne riconoscenza morale.


Maria D’Asaro, 09.08.2020, il Punto Quotidiano

lunedì 6 dicembre 2010

101 Storie: non nominare il nome di Aglieri invano...


   Eravamo in aprile. Nell’aprile del ‘97. Lo so bene perché è stato il mio ultimo anno da insegnante di Lettere.
   L’anno dopo indossavo la veste, spiazzante e inusuale, della psicopedagogista.

La mia scuola è a Palermo, non troppo lontana dal quartiere Brancaccio, territorio di padre Puglisi, che ci era stato rubato già nel ‘93. Ancora ci penso e ne piango: don Pino, il parroco del mio amico Gregorio; Padre Pino Puglisi, abbreviato affettuosamente in trepi: guida spirituale, discreta e feconda, di tanti miei amici. Lui, che iniziava un incontro coi giovani facendo ascoltare Battiato…
L’anno prima, l’assassinio orrendo e ruggente di Paolo e Giovanni. Anche io avevo urlato per strada: “Ora basta… e “Palermo è nostra e non di cosa nostra”. Allora, la speranza e l’impegno di molti.
A scuola, oltre a geografia e a italiano, insegnavo la storia. Che in Sicilia s’intreccia con la storia di mafia: le sue origini storiche, la sua organizzazione nel territorio, i suoi interessi, le sue trasformazioni…. E capita allora, che un giorno parlo del controllo dei vari quartieri da parte delle “famiglie” mafiose. Faccio riferimenti precisi: dico ad esempio che, secondo gli inquirenti, il quartiere “Guadagna” è controllato da Pietro Aglieri, allora boss latitante. L’indomani N., un biondino di quella terza, si alza dal banco e con tono serio mi dice: “Mio padre non vuole che lei in classe parli di queste cose… e soprattutto Aglieri non lo deve mai nominare”.
Ho continuato a parlarne lo stesso. Anzi, in modo più approfondito. Ma non perché avessi la vocazione dell’eroina. Ho solo pensato a Falcone, che avevo incontrato, per caso, alla fine degli anni ’80. A un seminario. Nonostante i suoi mille impegni e la vita blindata, il giudice Falcone ci voleva incontrare. Per dire che contro la mafia, ognuno, a Palermo, la sua parte la deve fare. Esortava i docenti a combatterla anche loro, a scuola, la mafia: con le armi della cultura, della consapevolezza, della legalità, della trasparenza. Era nelle teste dei ragazzini che essere seminata, per prima, la pianta buona dell’antimafia.
La mia terza media, pian piano, ha accettato il confronto. Hanno cominciato a parlare. E a fare domande: - Me lo spiega, professorè, perché a mio padre, che è un piccolo imprenditore, non conviene che ci sia la mafia a Palermo? - Lo sa che C. ci dice che sa dove suo nonno faceva sciogliere i suoi nemici nell’acido? – Mio padre ha avuto un lavoro a Catania: è stato costretto ad assumere certe persone. – Non è vero che la mafia ci dà lavoro? -
Quell'aprile, mentre in giardino fiorivano le foglioline dei cercis, la mafia si spogliava della sua veste ambigua e perversa. Ha cominciato ad avere un volto, una storia. Abbiamo poi messo assieme, un pochino, la storia dei libri, il quartiere, il pulsare vivo delle nostre storie. E la mafia, con loro. La mafia, che non era più un mostro lontano.

Aveva un volto, una data di nascita, una casa, un suo nutrimento.
E forse un giorno, come tutte le cose umane che guardiamo negli occhi e chiamiamo per nome, poteva persino morire.

martedì 21 dicembre 2010

101 STORIE: LA STORIA SIAMO NOI


Anche per le amiche e gli amici sconosciuti e lontani che seguono un poco il mio blog, non è più un mistero: dietro mari da solcare, c’è una donna che, almeno per ora, in una scuola media palermitana, fa la psicopedagogista. E che nel suo blog ha deciso di raccontare le centouno storie di ragazzi sperduti che si è trovata a incontrare, negli ultimi anni.


Oggi voglio però raccontarvi una storia diversa.
Immaginatemi, in genere, in una stanzetta: con le pareti coperte da disegni di ragazzi sperduti, da belle frasi e dall’intonaco un poco scrostato. Qui è un viavai di ragazzi, genitori, colleghi. Che, in genere, osservo e ascolto. Ai quali rispondo. A cui molto spesso sorrido. Una cosa ben diversa dall’insegnare. Che, lo confesso, un poco mi manca.
Quest’anno, anche a causa dei tagli pesanti e sconsiderati, sono anche un pochino un insegnante part-time: infatti insegno in due laboratori pomeridiani.
Uno di questi l’ho pomposamente chiamato: "La Storia siamo noi". Sono partita dalla toponomastica del quartiere: la traversa accanto alla mia scuola è intitolata ad Accursio Miraglia, il segretario della Camera del Lavoro ucciso a Sciacca il 4 gennaio del 1947, l'altra ad Anna Nicolosi Grasso. Poi, vicinissima, c'è una scuola elementare che ricorda Nicolò Alongi.
Ho spiegato ai ragazzi che la storia non sono solo le guerre, ma anche i gesti sconosciuti di persone che hanno avuto coraggio e hanno cambiato qualcosa. Come Rosa Parks, che si è rifiutata di cedere il suo posto a un bianco, sull’autobus. E così è iniziata, negli USA, la lotta contro la segregazione razziale. Con Marthin Luther King che ci ha poi regalato il suo splendido “I have a dream”....
Poi ho presentato Anna Frank. Una quattordicenne olandese sensibile e delicata. Che si era innamorata di un ragazzo che si chiamava Peter. Ma Anna era nata in un tempo sbagliato. Quando i nazisti gli ebrei li uccidevano. E così Anna muore di tifo in un lager, senza realizzare il suo sogno d’amore e senza poter diventare una brava scrittrice…
“E che c’entriamo noi con Anna Frank?” Mi ha chiesto un ragazzo, insieme commosso e perplesso. Ho detto che è importante capire per chi si vota, perché i governi decidono se fare la guerra o vivere in pace, se rispettare tutti gli uomini e tutte le donne o essere razzisti e antisemiti. Credo che tutti se ne siano convinti un pochino.
A inizio dicembre ho presentanto Peppino Impastato
[1]. Ho portato le sue poesie. Abbiamo visto il film su di lui. Abbiamo scaricato da Youtube “Cento passi” dei Modena City Ramblers e l’abbiamo cantata insieme.
Giovedì scorso ho portato a scuola una copia dell'agenda antimafia realizzata dal Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”: dedicata a tutti coloro che hanno lottato contro la mafia. Ogni giorno ricorda un uomo, una donna, un bambino, un giudice, un poliziotto caduti per mano mafiosa. L'ho sorteggiata. E’ toccata a un ragazzino con i ricciolini. E un paio di vispi occhi buoni, dietro gli occhialini rotondi.


Una ragazza l'aveva già prima avidamente sfogliata ed è rimasta delusa di non essere stata lei la fortunata.
Non potevo lasciarla così. Ho preso da casa la mia. L’indomani gliel’ho portata. - "Prof.... le dò 10 euro". – No, S.: è un regalo per te: per la tua voglia di sapere, per il desiderio di verità e di giustizia che leggo nei tuoi occhi".
E, tanto per esagerare, le ho scritto due paroline di dedica. La ragazzina aveva gli occhi lucidi per la contentezza.
Lo dico: anche se talvolta sono stanca, pagherei per fare questo lavoro.
Per regalare speranze di cambiamento. Per spargere un seme. Anche se navigo a volte nel buio più buio, vorrei poter dare una luce. Che illumini il viaggio dei miei ragazzi.
[1] A Peppino ho dedicato una lettera:
Caro Peppino

venerdì 1 aprile 2011

101 STORIE:QUANDO A SALVARLI SONO I NONNI (3): UN NONNO IN LAPONE


  
    Il suo arrivo a scuola mi fu annunciato da una telefonata della Preside di una vicina Scuola elementare: - A settembre, arriverà Valeria. Guarda che è una ragazzina …. speciale. Intanto ti dico che ha già tredici anni e mezzo. –
   Mi racconta, in due battute, la sua storia: il padre era stato ammazzato qualche anno fa, non si sa se per mafia o per banale regolamento di conti, in quella polveriera che è piazza Guadagna. La madre, qualche mese dopo, aveva abbandonato Valeria (figlia maggiore) e la figlioletta minore, per andare a vivere, non si sa bene dove e con chi, con il figlio più piccolo.
- E Valeria? – chiedo. Valeria era stata generosamente raccattata dai nonni paterni. Dopo qualche mese, c’era stato l’affidamento formale da parte del Tribunale dei Minori.
   - Valeria è una creatura dolcissima – conclude la Preside – solo che, capirai, qualche problema ce l’ha: è già stata bocciata due volte perché, di fatto, sua madre non la mandava a scuola; in matematica è debolissima; legge stentatamente. E poi ha una considerazione di sé prossima allo zero. Dice sempre che non è capace, si vergogna del suo essere più alta dei suoi compagni, del suo seno prosperoso … Ripete che lei vuole stare a casa, con i nonni. Bisogna accoglierla con grande dolcezza e controllare che venga a scuola.
   Te l’affido – conclude, con la sua concreta asciuttezza, la Preside amica.

   Che aveva messo a fuoco benissimo la situazione della ragazzina.
   Il primo problema, infatti, fu quello di farla frequentare regolarmente. Valeria aveva paura: paura di non farcela, paura di non sapere leggere, paura di sfigurare davanti ai compagni, paura che si sapesse la sua storia. Paura di apparire troppo diversa.
   Le parlo: le dico che le saremo accanto tutti: insegnanti, compagni, psicopedagogista. Le assicuro che lei, a scuola, starà bene. Che imparerà: con i suoi tempi, col nostro aiuto.
   Intanto, Valeria non ha libri. I nonni hanno altre priorità. Glieli procuriamo, in qualche modo.
   Legge molto lentamente e stenta a capire il testo: perché il suo vocabolario è limitatissimo, perché le strutture sintattiche complesse la confondono. Comunica istintivamente in dialetto.

  L’impareggiabile docente di Lettere prende in mano la situazione. Prepara una progettazione individualizzata. I compagni sono discreti e affettuosi. Io chiamo i nonni quando le assenze mi sembrano sospette. A fine anno, Valeria viene promossa, senza se e senza ma.
   In seconda media, si continua con la stessa strategia. Intanto, ho conosciuto il nonno paterno. Un omone settantenne, con gli occhi buoni, con tanti capelli bianchi sulla testa. Insieme, di sicuro, a tanti pensieri.
La prima volta l’ho incontrato quando è venuto a ritirare il libretto delle giustificazioni.
Mi chiamano dalla portineria: - Professoressa, possiamo consegnare il libretto al nonno? Non devono venire i genitori a ritirarlo? – Dico alla collega di consegnare il documento e fare accomodare il nonno nella mia stanzetta.
   Ci guardiamo negli occhi. Il signore è imbarazzato. Lo invito a sedersi. Rifiuta garbatamente: - Professoressa, lassavu u lapuni malu misu, fori di la scola
   Non insisto. Lo ringrazio per la cura che lui e la moglie hanno per Valeria. – Deve promettermi una cosa, però: Valeria deve venire a scuola di più. Non può mancare un giorno o due a settimana. Le chiedo solo questo. Al resto penseremo noi. – Il signore mi guarda, sollevato. Annuisce. Poi, quasi per sigillare la sua promessa, poggia la mano destra sotto il cuore. Se ne va, regalandomi un mezzo inchino e un convinto sorriso.
   In effetti, le assenze di Valeria rientrano nella quota consentita. Promossa in terza media.

   In terza le cose si complicano un po’. Perché Valeria riprende ad assentarsi. Qualcuno dice che ha un fidanzatino. D’altra parte è una ragazzona di quasi diciassette anni, con grandi occhi marroni,  e capelli dello stesso colore, ondulati, lunghi e setosi. Fianchi e seno perfetti.
   Consiglio di classe di aprile. – Come va Valeria? – esordisco – Pareri contrastanti. C’è il partito dell’ottimismo, capeggiato dalla collega di Lettere, e il fronte degli scettici, di cui è portavoce l’insegnante di Inglese. Che dice: - Senti cara, in fondo l’abbiamo salvata ogni anno, di inglese non sa una parola, non capisco come dovrà fare gli esami ….-
   Già, i benedetti esami di stato. Scopriamo che sono proprio loro lo spauracchio di Valeria. L’ha confessato alla professoressa di Italiano: - Professoressa … ho paura degli esami. Non ci voglio andare. Mi vergogno. L’inglese non lo capisco…-

   E allora la rassicuriamo. Le diciamo che gli esami non sono la fine del mondo. Che, in aula, per le prove di Italiano, Matematica, Inglese ci saranno le insegnanti di classe e non volti estranei e minacciosi. Che venga a scuola, per favore.
Non gettare la spugna, proprio ora, Valeria – dico dentro di me. Telefono al nonno: - Ci aiuti. Valeria non deve mancare per nessun motivo. –
   Perché le assenze erano pericolosamente vicine al livello di guardia. Il nonno capisce. Mi promette che accompagnerà a scuola ogni mattina lui stesso, Valeria.
   Una volta li ho visti. Valeria è scesa dal lapone furtivamente: sicuramente non gradiva che i compagni la vedessero. Ma ho notato un rapido sguardo affettuoso verso suo nonno, prima di entrare a scuola.

   Valeria, nonostante qualche borbotto, è stata ammessa agli esami.
   Ha fatto un orale dignitoso – esclama raggiante l’insegnante di Lettere.
   Che, posso scriverlo in grassetto, è stata il suo angelo custode. Per tutti e tre gli anni. Se non ci fosse stata Rosalba, temo che Valeria non ce l’avrebbe fatta ad arrivare al diploma. Non ce l’avrebbe fatta ad avere la sua quota di scolarizzazione di base.
   E non ce l’avrebbe fatta senza l’arcangelo di suo nonno. Che però, anziché le ali, dal Cielo aveva ricevuto in dotazione solo uno sbrindellato lapone.

martedì 2 ottobre 2012

Augusto: se lo conosci, lo pratichi. O, almeno, lo leggi.


Forse lui non se lo ricorda, ma questo mese sono 25. Gli anni di un’amicizia d’argento. 
Abbiamo condiviso di tutto, in questo quarto di secolo. Vicende pubbliche:  l’antimafia, l’impegno sociale nei quartieri difficili, il tentativo di trovare posto in una chiesa più umana e autentica, lo slancio ecologista ed ecumenico, cenette filosofiche e convegni … Vicende private, liete e meno liete: compleanni, nozze, separazioni, figli (tre, tutti a mio carico), la perdita di suo padre e quella di mia sorella.
E poi condividiamo il piacere di scrivere, leggere, riflettere sulla vita.
Non c’è un suo scritto che non abbia letto e commentato. Quasi sempre in modo positivo: perché “sta” sulle cose e ha il dono della chiarezza e della capacità divulgativa.
Giornalista, scrittore, insegnante, consulente filosofico: il mio amico è Augusto Cavadi.
Questo è il suo sito.
Oggi è il suo il compleanno. Questo post è il mio modo di fargli gli auguri.