Partorito, per palese ammissione del regista, da una sofferenza personale che lo ha portato a cercare rifugio nel buio, “Abbracci spezzati” risente, a mio avviso, di questa ispirazione dolorosa e claustrofobica. La passione e gli amplessi, di cui il film è intessuto, non catturano e non appassionano a sufficienza e non affascina né sorprende il dipanarsi retrospettivo dell’intricata vicenda del protagonista, il regista cieco dalla doppia identità.
Come se il buio, in cui Almodovar ha vissuto alcuni mesi per la sua emicrania, avesse ingrigito la sua scintillante ispirazione e l’avesse ridotta a stanca, oserei dire persino cerebrale, ripetizione dei propri motivi ispiratori.
Nel film, infatti, i temi a lui cari ci sono tutti: la passione carnale che inebria ma può anche uccidere, gli intrecci contorti tra varie esistenze, la ricchezza barocca delle immagini, la delicatezza profonda di alcune istantanee.
Manca, a mio avviso la vitalità gioiosa, il fluire felice dell’energia vitale, nonostante i chiaroscuri e gli inevitabili rovesci che la vita può offrire.
Ti aspettiamo al prossimo film, caro Pedro. Ci auguriamo che, passata l’emicrania, possiamo nuovamente vibrare per le emozioni profonde, i paradossi spiazzanti e fecondi, il gioco della carnalità allegra e redentrice che in Tutto su mia madre, Parla con lei e in Volver ci hai regalato.
Maria D'Asaro
D'accordo!
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