venerdì 15 marzo 2013

David Grossman canta l'assenza

David Grossman

    Si può cantare l’assenza? Si può dar voce al dolore indicibile di chi ha perso un figlio? Si, se si è David Grossman. Che col suo ultimo libro ci ha regalato una superba opera letteraria. Caduto fuori dal tempo (Mondadori, Milano, 2012, € 18.50) non è un romanzo e neppure un poema in senso stretto. E’ l’uno e l’altro insieme. E’ una storia poetica a più voci,  narrata da una levatrice, un ciabattino, un insegnante di matematica che scrive le sue formule sui muri, un duca, una riparatrice di reti, un uomo, uno scriba: personaggi insieme terreni e surreali, accomunati dalla stessa terribile perdita. Sappiamo bene che quest’opera di Grossman, alla pari del ponderoso romanzo A un cerbiatto somiglia il mio amore,  è purtroppo drammaticamente autobiografica: Uri, il figlio minore dello scrittore, è morto nell’estate del 2006, durante il conflitto tra Israele e le forze di Hezbollah, nel sud del Libano. 
    In pagine dalla straordinaria tensione emotiva, Grossman riesce a dare espressione unitaria al polifonico coro di voci dell’umanità sofferente che ha vissuto la perdita straziante di un figlio: “Due fiocchi umani eravamo, un bimbo e sua madre, nello spazio del mondo abbiamo volato per sei anni”(…) “Qualcuno calpesta incessantemente le foglie nella mia testa, girando in tondo. Le schiaccia giorno e notte con lo stesso ritmo immutabile, da quindici anni, da allora. (…) Negli occhi di chi guarderemo per vederlo raggomitolato nel nero della pupilla? Nella mano di chi intrecceremo le dita per tesserlo un istante nella nostra carne?”.
    E “se chi perde un figlio è immancabilmente donna”, lo scrittore è capace di declinare il dolore al femminile e al maschile, di far brillare il suo dramma in uno poliedrico caleidoscopio di accenti, quasi con un ritmo da tragedia greca, grazie a un registro stilistico che fa danzare in modo felice e armonico prosa e poesia. Perché, fa dire Grossman a uno dei suoi personaggi alter ego, la scrittura ha un prezioso valore maieutico: “Non riesco a capire qualcosa finchè non la scrivo (…) Solo così posso avvicinarmi a quella cosa maledetta senza morire …” “Quella cosa che è successa (…) devo amalgamarla in un racconto, devo. Con una trama e immaginazione! E visioni e libertà e sogni!”.
    Allora il cammino dei genitori, orfani dei propri figli, verso un’oscura terra di confine alla spasmodica ricerca di un contatto con i loro cari, diviene metafora della ricerca di senso a cui è condannato chi ha tanto sofferto: “Prima che mi accadesse non sapevo nemmeno che ci fossero così tanti pensieri”. E, poiché “la morte di un figlio è molto irrequieta”, con dolce imperio, il lettore viene preso per mano in questo vagabondare del pensiero, in questo multiforme zigzagare di forme espressive.
    Caduto fuori dal tempo è un libro doppiamente necessario: necessario per chi ha perduto un figlio o una persona cara e cerca senso e parole per il suo urlo silenzioso, perché “vorrebbe imparare a separare i ricordi dal dolore”, ma, se il figlio è morto ad Agosto “non riesce più a pensare a Settembre”. Necessario per chi non ha vissuto quest’esperienza, perché impari, comunque, “a raccogliere ogni istante di bellezza e di grazia (…), a guardare ogni cosa bella due volte”, a vivere la vita in pienezza, consapevole dell’estrema fragilità del confine tra l’essere e il non essere più."
“L’arbitrio di una forza esterna che irrompe con violenza nella vita di un uomo, di un’anima, è il tema ricorrente in quasi ogni mio libro” dichiarò molto tempo fa David Grossman in un’intervista, dopo aver scritto Vedi alla voce amore, il cui protagonista era il piccolo Shlomo,  alla ricerca della bestia che aveva marchiato il braccio della zia. Shlomo poi capirà che quella bestia era immateriale e si chiamava nazismo, e, assieme agli altri protagonisti del libro, si sarebbe interrogato sul senso di quella forza brutale e crudele.
    Con quest’ultima prova letteraria, Grossman si conferma vetta espressiva di una letteratura alla ricerca di senso, che non ci offre certezze, ma continua a porre domande esistenziali, storiche e filosofiche insieme. Lo scrittore merita, a mio avviso, di essere al più presto inserito nella rosa dei possibili destinatari al Nobel per la letteratura. Anche se neppure l’eventuale prossimo riconoscimento dell’Accademia di Stoccolma riuscirà a far mutare allo scrittore la chiusa toccante di questo suo libro: "Il cuore mi si spezza, tesoro mio, al pensiero che io (...) abbia potuto (...)trovare per tutto questo parole”.                                                                                  
  Maria D’Asaro (pubblicato su "Centonove" il 15.3.2013, pag.32)

5 commenti:

  1. Invidia, invidia!!! Ma quanto scrivi bene. Ho letto il libro: A un cerbiatto assomiglia il mio amore e già sono rimasta male! Temo che per il momento non lo leggerò, sono iper emotiva... il tuo commento però, mi è stato d'aiuto per capire che non lo devo leggere ma di lasciarlo dormire per un po...

    RispondiElimina
  2. @Pippi: grazie per i complimenti. Scrivere qualcosa sui libri che leggo è una delle poche cose che so fare, comunque ... Un abbraccio.
    @Augusto: che onore, essere letta e commentata da te ... Un abbraccio.

    RispondiElimina