Dove va oggi la filosofia? Dove e con chi è possibile filosofare? Che cosa è la filosofia pratica? Cosa è la consulenza filosofica e in cosa differisce dalla presa in cura di matrice psicologica? Come si pone il sapere istituzionalizzato di fronte alla svolta pratica del filosofare? Che ci azzecca la boxe con la filosofia?
Se siete interessati a trovare risposte di qualità a questi interrogativi, leggete il saggio di Davide Miccione Ascetica da tavolo (IPOC, Milano, 2012, € 18.00) che, con argomentare lucido e spietato e con una straordinaria fluidità espressiva, ricca di metafore calzanti e colorite, fornisce al lettore nuove prospettive di pensiero. Per Miccione la filosofia oggi non abita più nel chiuso dell’università: “struttura di profilassi, di disinnesco delle cariche problematiche presenti nella filosofia, di stoccaggio per le idee poco addomesticate, di vera e propria discarica delle aporie”. Anche perché: “i grandi clienti, quelli che compravano all’ingrosso concetti e metodi della filosofia (lo Stato, la Chiesa, le Scienze) dando un senso e una destinazione a questa cospicua produzione, sono venuti meno.” E, con Gerd Achenbach, l’autore ipotizza che la filosofia: “possa essere richiesta in futuro come consulente al dettaglio, e cioè come partner di dialogo tra gli individui”.
Ecco che il pensatore catanese afferma: “In filosofia, negli ultimi decenni, è avvenuta una vera e propria svolta pratica (…) che ha a che fare con l’identità disciplinare della filosofia”. E’ allora necessario rovesciare i rapporti di forza tra il pensiero teoretico e l’etica e ripensare la filosofia in termini di attività: la filosofia è il filosofare e il luogo per eccellenza in cui abita è, socraticamente, il dialogo tra due esseri umani. Allora, prosegue Miccione: “Il filosofo che vive nella svolta pratica sa non soltanto che parlare con un interlocutore qualunque è il gesto originario della sua disciplina, ma anche che ne è la condizione normale (…). E ama il libro e la conferenza perché vede in essi non il fine a cui tutti i suoi sforzi tendono (…) ma la continuazione di un’attività dialogica intrapresa con se stesso e con altri.” Il saggio delinea con chiarezza la nuova figura del filosofo oggi, fuori da ogni recinto protettivo e limitante, pronto a confrontarsi con i suoi simili, che rifiuta un’idea di filosofia come dottrina (teoretica) o come strutturata successione di testi (storia) e che, dopo la rivoluzione copernicana della conoscenza prodotta da Internet e Google, sa che è difficile pronunciare parole definitive sul sapere e sui luoghi dove oggi si manifesta.
Per Miccione dunque, se la filosofia è essenzialmente il pensiero senza paracadute, tutti, in quanti esseri pensanti, siamo chiamati a prendere parte al banchetto delle idee, per cui “le distinzioni sono del tutto secondarie e (…) essere filosofi o meno potrebbe diventare il risultato ex post dei livelli prestazionali”. L’autore dice basta allora alle paratie artificiali costruite nel tempo dalla corporazione dei filosofi, a partire dall’Accademia platonica. Oggi è necessario invece “ripensare l’organizzazione dei pensatori in modo che possa reggere l’organizzazione dei pensieri come filosofare”, pur nella lucida consapevolezza dei rischi che corre una filosofia di strada, sguarnita di guardie del corpo che la difendano. Infatti, per Miccione, come Socrate pagò con la vita il suo filosofare senza filtri e senza padroni, lo stesso rischio mortale potrebbe oggi “attendere chi si consegna al filosofare senza profilassi”, chi, “senza costruire meccanismi di separazione dalla vita normale”, è portatore (in)sano di una proposta filosofica di massima ampiezza.
Capiamo allora l’inconsueto paragone tra la boxe e la filosofia; entrambi in crisi perché inquietanti discipline “inutili”: incline (la seconda) alla violenza del pensiero (l’idea di poter avere commercio con la verità) come il pugilato è incline alla violenza del corpo. In ambedue i casi questa violenza è purificata, "il tragitto (l’allenamento e la ricerca) è più importante della destinazione.” Comunque Davide Miccione non ci consegna nessuna consolante “pillola blu”: pur nel ribadire che “la potenza della filosofia all’aperto, della filosofia come bene comune è ancora lungi dal dispiegarsi”, nelle accorate finali meditazioni occasionali ci ricorda quanto sia fragile il confine tra la normalità e l’assassinio, in caso di sospensione dell’ordine sociale; e quanto la modernità sia fondata sulla ferrea seria di rimozioni e paure. In questa poco consolante chiarezza: “l’esercizio del filosofare ha un senso non avendolo mai del tutto”. Maria D’Asaro ("Centonove", 19.4.2013)