martedì 9 gennaio 2018

Il lato B delle parolacce

          Per l’amica blogger Santa lo spunto è arrivato dalla pubblicazione del libro “Il bambino che sbagliava le parolacce” dello scrittore e blogger Nicola Pezzoli. A me è stato fornito dal suo post sapido e intrigante che, qualche settimana fa, discettava dell’uso ormai diffusissimo delle parolacce.
      Per chi va di fretta, ecco una breve sintesi dello scritto: le parolacce sono diventate ormai un intercalare consueto, utilizzate senza differenza da uomini e donne e assai frequenti anche tra i bambini. Nel post viene citato poi, tra gli altri, il testo "Parolacce" di Vito Tartamella: l’autore ci ricorda che il linguaggio osceno è antico quanto l’uomo,  in quanto bestemmie e parolacce esistono dall’antichità; infatti il commediografo greco Aristofane già nel  V° secolo a.C. aveva compreso che le parolacce fanno ridere, e il poeta romano Marziale  nel I° secolo d.C. scriveva: «… Questa è la legge del poeta smaliziato: non può piacere se non è un po’ sboccato».
       Riprende Santa: “le parolacce sono uno strumento davvero efficace per arrivare al popolo (…) chi non ricorda il V-Day, il  Vaffanculo-Day promosso da Beppe Grillo a sostegno dell’iniziativa Parlamento pulito?”
      E conclude: “Non c’è che dire, la parolaccia piace, è immediata. Richard Stephens, docente della facoltà di psicologia alla Keele University, nel Regno Unito, sostiene che il turpiloquio serve soprattutto a "decomprimerci", una sorta di valvola di sfogo. […]“una ricerca della Northern Illinois University ha dimostrato che un oratore è più persuasivo se nel suo discorso inserisce una "cattiva parola". (…) Il turpiloquio è dunque emotività, relazione sociale, persino calmante […] ha fatto notare Stephens – "Le stesse ingiurie risuonano dalla cabina di pilotaggio nella scatola nera di aerei caduti in disastri di vario tipo. E' una delle prove che le parolacce, per quanto scandalizzino, sono la lingua della vita e della morte". 
        A tale ineccepibile analisi, l’aggiunta di qualche riflessione.
       E’ innegabile quanto affermato dallo psicologo Stephens: il turpiloquio serve a “decomprimerci”. Se ci schiacciamo un dito col martello, la parolaccia scappa. Quindi dire una parolaccia è un bisogno insopprimibile, necessario, primitivo. Forse legato al nostro cervello rettiliano  (quello più antico dal punto di vista evolutivo).
       E’ anche pratica e abitudine infantile: quando i bimbetti scoprono il significato di parole ‘proibite’, ma anche di culo e cacca, si divertono a ripeterle in continuazione …
        Che succede però se le parolacce diventano un intercalare? Continuano a funzionare come “decompressione” psicologica? Se sì, vuol dire che siamo continuamente “compressi”? E da cosa? Se no, vuol dire che hanno perso la loro “benefica” carica di valvola di sfogo? 
      O forse le parolacce funzionano come la droga: più ne utilizziamo più abbiamo bisogno di utilizzarne perché tendiamo all’assuefazione? E se sono così inflazionate, di cosa avremo bisogno quando e se, come singoli o come società, dovesse succederci qualcosa di davvero grosso? Quali parole ci aiuteranno? 
        Ancora: è certo che il passaggio dell’utilizzo delle parolacce dall’ambito dello spettacolo comico-triviale a quello politico sia stato utile e benefico? In politica, dopo aver dato sfogo e aver sdoganato le nostre parti istintuali ed emotive, non è forse massimamente necessaria la pars costruens? Cercare quindi le soluzioni più utili per tutti, lavorare per il bene comune, essere capaci di mediazione e creatività, progettare una strategia economica ed ecologica adeguata, essere capaci di sguardo in avanti …
       E se l’utilizzo quotidiano delle parolacce, anziché liberarci, ci imprigionasse in reazioni esclusivamente irriflesse ed emotive? E ci impedisse di scorgere le vie d’uscita possibili donate dall’orizzonte dei pensieri e dalla volontà?
     Come Santa, mi confesso:  magari, per i miei limiti emotivi e per un’educazione puritana, non riesco a cogliere la valenza solo liberatoria della parolaccia.
         Mio padre era solito – e allora io post sessantottina lo criticavo – pronunciare continuamente preghiere silenziose o a fior di labbra. Forse però il mondo andrebbe meglio se pronunciassimo tutti qualche orazione, se lanciassimo nel cosmo mantra e benedizioni,  e dicessimo qualche parolaccia ‘inutile’ in meno. Se ci lasciassimo andare ad espressioni di meraviglia, di stupore, di gratitudine … Se avessimo gli occhi rivolti all’immensità dell’universo anziché le bocche farcite di ca**i e di merde ...  Parole che lasceremmo volentieri sulla bocca di chi perde il treno per un soffio, dei comici e dei picciriddi. 

9 commenti:

  1. La tua analisi è interessantissima. In effetti, esistono persone che usano non le parolacce tout court ma una specifica a loro scelta come intercalare mentre parlano. A volte penso però che in quel caso non si tratti di necessità di decomprimersi ma più insicurezza che celano dietro quel "rafforzativo" inutile che per loro forse è invece necessario per pensare di aver quasi "nobilitato" il loro concetto e quindi salvato lo stesso da un giudizio di mediocrità dell'uditore. Mediocrità che resta e che anzi la parolaccia rafforza.

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    1. @Daniele: grazie per l'attenzione e per il contributo delle tue condivisibili riflessioni. Buon fine settimana.

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  2. Da amante di tutte le Parole (parolacce comprese) ritengo che le Parole, tutte, vadano maneggiate con molta cura, e molto amore. Una cura che, paradossalmente, proprio nel caso delle cosiddette parolacce deve arrivare a vette quasi maniacali di delicatezza, precisione, consapevolezza e rispetto. Una sana parolaccia, che giunge sorprendente e inaspettata al termine di una bella paginetta senza altre parolacce, può davvero ottenere un effetto comico devastante. Mentre ascoltare discussioni di persone volgari che ne dicono trenta ogni minuto finisce in affetti col devastare... tutt'altro. :)
    Scrivendo, mi sono sempre più reso conto di come l'assuefazione e l'inflazione del linguaggio scurrile abbiano fatto sì, che, ad esempio, oggi uno scrittore abbia assai più possibilità di cesellare una frase divertente facendo dire a un personaggio "Non ho vinto un bel nulla" che non facendogli usare l'inflazionato "Non ho vinto un cazzo". (Ovviamente vi sono mille possibilità intermedie: attingendo a modi di dire gergali o dialettali o più o meno in disuso, il bravo scrittore scarterà entrambe le soluzioni, e gli farà dire qualcosa del tipo "Non ho vinto un bel put")
    La verità è che quasi mai conta quello che si dice, ma il chi lo dice, come lo dice e perché lo dice. Se c'è patetica grettezza nella volgarità assoluta e gratuita, ce n'è spesso altrettanta, se non di più, in ogni tipo di censura. Penso alla simpatia delle parolacce dette da certi bambini, e all'antipatia di quelle mamme-gendarmi che li multano con una monetina da mettere in un barattolo. In questi casi è proprio più forte di me: da bravo ribelle e bastiancontrario, non potrei mai esimermi dal chiamarlo "barattolo del cazzo". :D

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    1. @Zio Scriba: del tuo commento, ricco e articolato, sottolineo in particolare le affermazioni: "Quasi mai conta quello che si dice, ma il chi lo dice, come lo dice e perché lo dice. Se c'è patetica grettezza nella volgarità assoluta e gratuita, ce n'è spesso altrettanta, se non di più, in ogni tipo di censura" e: "Le Parole, tutte, vanno maneggiate con molta cura, e molto amore. Una cura che, paradossalmente, proprio nel caso delle cosiddette parolacce deve arrivare a vette quasi maniacali di delicatezza, precisione, consapevolezza e rispetto". Grazie per gli ulteriori spunti di riflessione!

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  3. Come commentai anche da Santa, spero che il dilagare dell'indecenza verbale sia una moda destinata ad implodere, prima o poi. Solo la parolaccia che si pone come eccezione alla regola è giustificabile, a mio avviso; ma in questa accezione ormai la si trova quasi solo nel cassonetto del millennio scorso, rifiutata insieme ad un'infinità di sani principi. Ottimo approfondimento, Maruzza! Un abbraccio di buona notte.

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    1. @DOC: grazie per la pazienza nel leggermi e nel commentare sagacemente anche qui. Ricambio l'abbraccio.

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  4. Grazie Maria per la citazione e per aver portato, come ti ho già scritto, il tutto su un piano più alto.
    Quello che noto è anche la povertà di linguaggio, il vocabolario è ridotto all'osso, usiamo termini ad effetto, slogan, ma il dialogo si è molto immiserito (mi ci metto anch'io, non credere). La parolaccia in molti contesti la percepisco come una sorta di collante, un riempitivo agli spazi vuoti...
    Magnifico post, come tu sai fare, ricco di rilevanti e necessarie riflessioni.
    Un caro saluto e un abbraccio che colmi un po' le mie reiterate assenze, mannaggia! ( non so se è un'imprecazione, ma in questo caso ci sta :D )
    :**

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    1. @Santa: ciao cara! Il tuo blog, con i tuoi poliedrici spunti - culturali, musicali, sociologici, letterari, poetici ... - mi/ci regala tante, validissime, opportunità di conoscenza e di riflessione. Un abbraccio affettuoso! Stai bene, mi raccomando.

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