Oggi, 27 gennaio, ricorre l’anniversario della liberazione degli ebrei prigionieri del campo di concentramento di Auschwitz, da parte delle truppe dell'Armata Rossa, nel 1945. Per questo motivo si è stabilito di celebrare in questa data il ‘Giorno della Memoria’.
Arbeit macht frei (dal tedesco: 'Il lavoro rende liberi'; /ˈaɐ̯baɪt ˈmaxt ˈfʁaɪ/) era il motto posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale.
La scritta assunse nel tempo un forte significato simbolico, sintetizzando in modo beffardo le menzogne dei campi di concentramento, nei quali i lavori forzati, la condizione disumana di privazione dei prigionieri e sovente il destino finale di morte, contrastavano con il significato opposto del motto stesso. La frase è tratta dal titolo di un romanzo del 1872 dello scrittore tedesco Lorenz Diefenbach, e venne usata per la prima volta a Dachau, nel 1933 (…)
Solo nel 1940 la scritta venne utilizzata anche per Auschwitz (…). I prigionieri che lasciavano il campo per recarsi al lavoro, o che vi rientravano, erano costretti a sfilare sotto il cancello d'entrata, a volte accompagnati dal suono di marce marziali eseguite da un'orchestra di deportati appositamente costituita. (…).
Jan Liwacz, prigioniero polacco non ebreo numero 1010 entrato ad Auschwitz il 20 giugno del 1940, venne incaricato di forgiare la macabra scritta. Di professione fabbro, era a capo della Schlosserei, l'officina che fabbricava lampioni, inferriate e oggetti in metallo.
Nel costruire la scritta, Liwacz decise di saldare la lettera «B» della parola Arbeit sottosopra, per indicare moralmente il proprio dissenso. Tale gesto di ribellione intellettuale assunse notorietà e un forte valore simbolico solo molti anni dopo, sino ad essere rappresentato in forma di statua nel 2014 in fronte alla sede del Parlamento europeo. (da wikipedia)
Ancora oggi, in un contesto fortunatamente diverso, avremmo bisogno che qualcuno, come Jan Liwacz nel 1940, evidenzi la negatività di troppi aspetti del lavoro, rimarcando e organizzando in modo efficace ed eclatante il proprio dissenso.
Intanto, dopo anni di calo, nel 2017 in Italia sono aumentati, rispetto all’anno precedente, i morti sul lavoro (da qui)
Qui il resoconto drammatico dell’Osservatorio Caduti sul Lavoro:
"Nel 2017 dall’inizio dell’anno al 31 dicembre i morti sui luoghi di lavoro sono stati 632, oltre 1350 con le morti per infortunio con i mezzi di trasporto
In questi ultimi dieci anni 6209 lavoratori, tutti monitorati, hanno perso la vita sui Luoghi di Lavoro. In questi ultimi decenni è stata condotta una lotta di classe spietata contro i lavoratori dipendenti: e questo attraverso la politica dominata dai lobbysti che controllano il Parlamento. Il 20% dei più ricchi, ha accumulato attraverso queste lobby il 70% della ricchezza degli italiani. Agli altri le briciole. Ogni anno sui Luoghi di lavoro il 20% di tutti i morti per infortuni ha oltre 60 anni. La Legge Fornero ha fatto aumentare i morti per infortuni in tarda età: far lavorare per esempio un operaio ultra sessantenne, con acciacchi e riflessi poco pronti su un tetto, è stato immorale, e questo vale per tutti i lavoratori che svolgono lavori pericolosi per sé e per gli altri, come i conducenti dei Tir. Abolirla è indispensabile per la loro salute e sicurezza.
Il 95% dei morti sui Luoghi di lavoro (escluso itinere) non ha l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: il Jobs Act l’ha tolto a tutti i nuovi assunti. Occorre ripristinarlo a tutti, compresi i lavoratori delle aziende artigianali e a tutti i precari che non possono subire il licenziamento se si rifiutano di svolgere un lavoro pericoloso. (…). Negli ultimi dieci anni sono morti sui Luoghi di lavoro 6209 lavoratori (escluso itinere), tutti monitorati.…). Ma non dimentichiamoci che almeno altrettanti lavoratori perdono la vita sulle strade e in itinere, sono stati complessivamente 14000 in questi dieci anni ...
22 gennaio 2018. Dal 1° gennaio 38 morti sui luoghi di lavoro in Italia. Almeno altrettanti muoiono sulle strade e in itinere".
Quando per fortuna non uccide fisicamente, il lavoro “ammazza dentro” per i turni massacranti nei supermercati, nei call-center … A quanti giovani laureati pesantemente sfruttati nel mondo dell’economia e della finanza viene quasi strappata l’anima … Viene abolito il senso del riposo e il diritto alla festa, vengono limitati i diritti alle ferie e alla cura, viene vista con uno spauracchio l’eventuale maternità di una donna …
Ecco infine cosa scrive l’architetto Irene Meneghelli (dal blog di Concita De Gregorio):
"Mi chiamo Irene, ho 26 anni e sono un'architetta. Mi sono ‘licenziata’ da uno studio in cui ho lavorato nove mesi quando ho capito che stavo per perdere la dignità, facendomi trattare come un’incapace che non avesse voglia di lavorare. Ho messo le virgolette perché per licenziarsi si dovrebbe avere un contratto, utopia in uno studio di architettura, in cui al massimo si può scegliere se essere un ‘dipendente con partita Iva’ o un ‘collaboratore occasionale’, così occasionale da lavorare minimo otto ore al giorno tutti i giorni".
"Vivevo così male in quello studio che passavo le mie serate a mandare curriculum e ho fatto vari colloqui. Sono arrivata quasi a divertirmi, quando, in sede di colloquio, oltre al chiedermi se sono sposata (ma queste storie le abbiamo già sentite da molte altre...) un architetto è arrivato a chiedermi se vivo da sola o con i miei genitori, sostenendo che ‘alla fine se vivi con i tuoi che spese vuoi avere…’: dialogo che mi ha lasciata talmente attonita da non riuscire nemmeno a rispondergli. E’ impensabile immaginare che una persona a ventisei anni voglia crearsi una vita?".
"Ma il punto è che oramai è diventato così normale che ci siamo abituati, perché si sentono storie di ragazzi che lavorano gratuitamente, quindi bisogna ‘ritenersi fortunati di poter lavorare, almeno si impara qualcosa’. E’ diventato talmente normale che ci sentiamo in dovere di ringraziare che ci venga offerto un lavoro, come se ci venisse fatto un piacere e non fossimo noi a fare un piacere a loro, lavorando per pochi euro al giorno".
"Ci siamo dimenticati che il lavoro è un nostro diritto, così come è un nostro diritto andare a fare una visita medica o prenderci un giorno di ferie, così come sposarci o fare dei figli: stiamo abbandonando dei diritti che sono stati conquistati con fatica dai nostri genitori, perché non siamo più in grado di ribellarci. Quale sarà il prossimo diritto a cui rinunceremo? I nostri figli quali altri perderanno?". "Se tutti coloro che lavorano in situazioni simili alla mia, o peggiori, un giorno smettessero di lavorare, chi porterebbe avanti il lavoro che stanno facendo? Come farebbero senza di noi? Dobbiamo renderci conto che siamo indispensabili, ma soltanto se siamo tutti assieme, perché se io smetto di andare a lavorare, il giorno dopo il mio capo ‘ne trova altri dieci fuori dalla porta’, come mi sono sentita rispondere molte volte". "Qualche tempo fa un’amica mi disse ‘Organizziamo la rivoluzione!’. Mi venne da sorridere come se mi stesse chiedendo un’assurdità, come se parlasse di una cosa anacronistica.
Mi chiesi perché oggi non facciamo più sentire le nostre idee: siamo diventati forse la generazione dei non-coraggiosi? Ringrazio mio padre di avermi trasmesso la voglia di dire la mia opinione, pur non sapendo se avrà qualche esito. Non importa, mi dico, e mi cresce la voglia di lanciare un appello: facciamola davvero la Rivoluzione!".
Onoriamo infine la memoria di Giulio Regeni, ucciso in Egitto dove svolgeva il suo lavoro di ricercatore universitario. Per lui non ci stancheremo mai di chiedere verità e giustizia.
E' così che il tema va trattato e reso vivo: da un aspetto come il lavoro - completamente "deformato", a partire dalla scritta menzognera e beffarda posta all'ingresso di Auschwitz - si può risalire all'oggi per rendere la memoria feconda, capace di far lievitare forze di liberazione per il presente. Grazie e buona domenica.
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RispondiEliminaQuello nei campi di concentramento non era lavoro era un autentico sterminio, un abominio assoluto che giustamente va ricordato ma anche non dimenticato sempre, sapendo riconoscere anche oggi pericolose realtà che vogliono negare o perfino magnificare tali orrori. Quanto alle morti sul lavoro in aumento, è un problema su cui per qualche anno si è fatto silenzio perché con meno occupazione i morti ovviamente erano diminuiti ma non appena questa ripresina ha portato qualche precario in più ecco che il dato è cresciuto. Aggiungo che ai morti sui luoghi di lavoro vanno anche inseriti i morti in itinere ossia coloro che muoiono mentre si recano al lavoro come per es. i pendolari di Pioltello. Non c'è mai pace né giustizia su questa Terra, almeno così pare
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