mercoledì 28 marzo 2018

La luce delle parole

 (foto RiccarDOC)
     Ieri sera, nella chiesa di san Francesco Saverio a Palermo, liturgia di riconciliazione: con se stessi, col prossimo, con Dio (per chi crede).
     Tra le suggestioni della liturgia - incentrata sull’importanza della parola e preparata con cura amorevole da Giuseppe, Ornella, Teresa, Rosalba, Claudia, Massimo, i "ragazzi del coro" - ecco questi brani:


Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. Ne esistono alcune di fronte alle quali mi inchino (…). A volte ne scrivo una e la guardo, ne fisso la forma, i contorni, fino a quando comincia a splendere e non c’è zaffiro al mondo che ne possa uguagliare la luce 
(Emily Dickinson)
Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo 
(Buddha). 
Le parole sono eterne. Pronunciandole, scrivendole, sii consapevole della loro eternità 
(Gibran)
Mantieni i tuoi pensieri positivi perché i tuoi pensieri diventino parole. Mantieni le tue parole positive perché le tue parole diventino i tuoi comportamenti 
(M. Gandhi).

       Signore, Tu non fai mancare la tua Parola ai nostri giorni. Con essa ci affidi la responsabilità di sostenere i fratelli, di aiutarli a sognare, nonostante le difficoltà, e a farlo noi stessi assieme a loro. Ci inviti a lasciarci guidare da visioni alte e ad abbandonare progetti di piccolo cabotaggio. 
        Donaci il tuo Spirito, Signore, perché cresca in noi la capacità di discernimento, la disponibilità al rinnovamento e l’ar-dire per progetti significativi. 
       Tu hai bisogno di uomini e donne che abbiano forza di donarsi e capacità di collaborare; che sappiano guardare avanti con occhio penetrante e vivace; disponibili a vivere relazioni leali. 
        Abbiamo bisogno di contribuire a rendere questo nostro ambiente - con le nostre scelte - uno spazio abitato da persone disposte a camminare e a credere alla missione di Cristo, senza chiudere gli occhi sulle miserie umane. 
           Donaci il gusto della libertà nel servizio, della carità nel giudizio, del distacco da interessi personali, della lealtà nelle parole e nelle relazioni. Amen                         (Don Nunzio Galantino)


Le mie parole  
Le mie parole sono sassi 
precisi aguzzi pronti da scagliare 
su facce vulnerabili e indifese. 
Sono nuvole sospese gonfie di sottointesi 
che accendono negli occhi infinite attese. 
Sono gocce preziose indimenticate 
a lungo spasimate e poi centellinate. 
Sono frecce infuocate 
che il vento o la fortuna sanno indirizzare. 
Sono lampi dentro a un pozzo, 
cupo e abbandonato 
un viso sordo e muto che l'amore ha illuminato. 
Sono foglie cadute promesse dovute 
che il tempo ti perdoni per averle pronunciate. 
Sono note stonate sul foglio capitate per sbaglio 
tracciate e poi dimenticate. 
Le parole che ho detto, oppure ho creduto di dire 
lo ammetto 
strette tra i denti passate, ricorrenti 
inaspettate, sentite o sognate… 
Le mie parole son capriole 
palle di neve al sole 
razzi incandescenti prima di scoppiare. 
Sono giocattoli e zanzare, 
sabbia da ammucchiare, piccoli divieti a cui disobbedire. 
Sono andate a dormire 
sorprese da un dolore profondo 
che non mi riesce di spiegare 
fanno come gli pare 
si perdono al buio per poi ritornare. 
Sono notti interminate, scoppi di risate 
facce sopraesposte per il troppo sole. 
Sono questo le parole 
dolci o rancorose, piene di rispetto oppure indecorose. 
Sono mio padre e mia madre 
un bacio a testa prima del sonno 
un altro prima di partire. 
Le parole che ho detto e chissà quante ancora devono venire... 
strette tra i denti, risparmiano i presenti 
immaginate, sentite o sognate… 
spade, fendenti al buio sospirate, perdonate 
da un palmo soffiate.
(S. Bersani)

Le mie parole per … difendere un diritto 
Le mie parole per … dire-bene del mio prossimo 
Le mie parole per … manifestare i miei bisogni 
Le mie parole per … stabilire verità 
Le mie parole per … creare relazioni autentiche 
Le mie parole per … fare compagnia 
Le mie parole per … accogliere 
Le mie parole per … trasmettere entusiasmo 
Le mie parole per … addolcire un dolore
(Tutti!)

domenica 25 marzo 2018

Grazie, Arnaud ...




Arnaud:
hai donato
la tua vita
a noi, creature confuse.
Grazie.                           

venerdì 23 marzo 2018

E' gratis? La merce sei tu.

(Foto dal blog di DOC: Cervo a Primavera)
       Sui rischi per la nostra privacy e sull’uso commerciale  dei nostri dati personali da parte di Facebook, il  dott. DOC  aveva scritto, con lucida e profetica lungimiranza, solo qualche settimana fa:

Accedi a Facebook, navighi tra i post degli Amici e degli "amici", commenti, metti i like, dici la tua, pubblichi le foto. Poi ti stufi e spegni tutto. Ma i tuoi contatti possono continuare a vedere ciò che hai postato, persino un messaggio o una foto che hai inserito dieci anni fa. Come si rende possibile questo prodigioso artificio? Da utenti, abbiamo la percezione che nelle nostre "commedie virtuali" ci siamo solo noi (attori) e i dispositivi che utilizziamo (palcoscenico con diretta in mondovisione); ma ci sfuggono le altre entità che vi prendono parte dietro le quinte. Avete presente quello slogan che recita: «Persone oltre le cose»? Bene, qui avviene l'esatto contrario. I pochi istanti necessari affinché l'invio di un messaggio raggiunga il mondo intero sono gestiti da un'efficacissima regia di tecnologie che provvede ad acquisire i dati, e ancor prima di riversarli in rete, immagazzinarli all'interno di elaboratori, i cosiddetti server. Già, perché ciò che mettiamo su Facebook non è "usa e getta" come una telefonata, ma viene conservato: con estrema cura, a tempo indeterminato e in un luogo ben preciso … 

(Continua qui. Vi invito a leggere il post per intero. Ne vale la pena)

Ecco la notizia di qualche giorno fa:

Nel fine settimana appena trascorso, Guardian e New York Times hanno pubblicato una serie di articoli che dimostrano l’uso scorretto di un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook, da parte di un’azienda di consulenza e per il marketing online che si chiama Cambridge Analytica. La vicenda non è interessante solo perché dimostra – ancora una volta – quanto Facebook fatichi a tenere sotto controllo il modo in cui sono usati i suoi dati (che in fin dei conti sono i nostri dati), ma anche perché Cambridge Analytica ha avuto importanti rapporti con alcuni dei più stretti collaboratori di Donald Trump, soprattutto durante la campagna elettorale statunitense del 2016 che lo ha poi visto vincitore. La storia ha molte ramificazioni e ci sono aspetti da chiarire, compreso l’effettivo ruolo di Cambridge Analytica ed eventuali suoi contatti con la Russia e le iniziative per condizionare le presidenziali statunitensi e il referendum su Brexit nel Regno Unito. Ma partiamo dall’inizio.
Che cos’è Cambridge Analytica
Cambridge Analytica è stata fondata nel 2013 da Robert Mercer, un miliardario imprenditore statunitense con idee molto conservatrici che tra le altre cose è uno dei finanziatori del sito d’informazione di estrema destra Breitbart News, diretto da Steve Bannon (che è stato consigliere e stratega di Trump durante la campagna elettorale e poi alla Casa Bianca). Cambridge Analytica è specializzata nel raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti: quanti “Mi piace” mettono e su quali post, dove lasciano il maggior numero di commenti, il luogo da cui condividono i loro contenuti e così via. Queste informazioni sono poi elaborate da modelli e algoritmi per creare profili di ogni singolo utente, con un approccio simile a quello della “psicometria”, il campo della psicologia che si occupa di misurare abilità, comportamenti e più in generale le caratteristiche della personalità. Più “Mi piace”, commenti, tweet e altri contenuti sono analizzati, più è preciso il profilo psicometrico di ogni utente.    (continua qui).

                 Che fare? Intanto non metterò più alcuna faccina o “mi piace”.
I miei contatti in FB sono avvisati. Scriverò eventualmente un commento. Certo, gli esperti informatici leggono e valutano  anche i commenti. Ma è più complicato far entrare in un algoritmo un ragionamento. Qui (grazie a Silvia Pareschi) un vademecum per continuare a utilizzare FB sottraendo ai nostri controllori qualche grammo del loro potere.
E poi mi impegnerò a far capire a più gente possibile che, in Internet e nel mondo della comunicazione, niente è gratis. Se una app o un social è gratis, è perché la merce siamo noi.
E’ gratuito solo l’amore vero. E Facebook non ti ama. Al massimo, gli piaci  …

mercoledì 21 marzo 2018

21 marzo, primavera della memoria e dell'impegno

Oggi, 21 marzo, si è celebrata a  Foggia  la XXIII Giornata della Memoria e dell'Impegno, promossa dall’associazione Libera per ricordare le vittime innocenti delle mafie: circa 970 semplici cittadini magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali.



Quando e perché è nata la Giornata della Memoria e dell'Impegno?

(dal sito di Libera:)     

21 marzo, nasce dal dolore di una mamma
Una giornata estiva. Il sole splende sulla autostrada tra Punta Raisi e Palermo. Magistrati, rappresentanti delle istituzioni e delle forze di polizia, cittadini e studenti commemorano il primo anniversario della strage di Capaci. C’è anche don Luigi Ciotti sul luogo del dolore. Prega, in silenzio. Quando, all’improvviso, si avvicina una donna minuta: si chiama Carmela, è vestita di nero e piange. La donna prende le mani di don Luigi e gli dice: «Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? È morto come gli altri». Soffre, Carmela: in quel primo anniversario della strage la memoria di suo figlio Antonio, e dei suoi colleghi Rocco e Vito, veniva liquidata sotto l’espressione “i ragazzi della scorta”. Da questo grido di identità negata nasce, il 21 marzo, primo giorno di primavera, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare da nessuno il suo nome. Nessuno. Un dolore che diventa insopportabile se alla vittima viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome.

Un lungo elenco che diventa memoria
Ogni anno una città diversa, ogni anno un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Recitare i nomi e i cognomi come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai. Per farli esistere nella loro dignità. 
Il 21 marzo: perché in quel giorno di risveglio della natura si rinnovi la primavera della verità e della giustizia sociale, perché solo facendo memoria si getta il seme di una nuova speranza. Il 21 marzo 1996 a Roma, piazza del Campidoglio, la prima edizione. E poi Niscemi (Cl), Reggio Calabria, Corleone (Pa), Casarano (Le), Torre Annunziata (Na), Nuoro, Modena, Gela (Cl), Roma, Torino, Polistena (Rc), Bari, Napoli, Milano, Potenza, Genova, Firenze, Latina, Bologna e Messina come piazza principale in contemporanea in 2000 luoghi. E infine Locri, in simultanea con 4000 luoghi in Italia e nel resto del mondo. 
Ogni piazza, il valore e la testimonianza dell’esserci. Ogni città, un ricordo e una denuncia. 
Anni di memoria e impegno. Anni di verità e giustizia. Per le stragi e le vittime delle guerre di mafie. Oltre il settanta per cento delle famiglie delle vittime non conosce la verità sulla morte dei propri cari. E quel giorno – e per tutti gli altri 364 giorni dell’anno – insieme ai familiari tutti diventiamo cercatori di verità. 

lunedì 19 marzo 2018

Vampe e sfince per san Giuseppe


          San Giuseppe e i papà si festeggiano a Palermo col fuoco e con un dolce prelibato: in città resiste infatti la tradizione della vampa, che consiste nel dare fuoco per strada, negli slarghi e nelle piazze, a pezzi di legno, vecchi mobili, tavolacci, materiale e oggetti di facile combustione mentre nelle pasticcerie trionfa la sfincia, dolce gustato e apprezzato da tutti. 
         Il suggestivo rogo delle cose vecchie – che, se non ben controllato, richiama talvolta purtroppo anche l’attenzione dei vigili del fuoco – viene organizzato la vigilia della ricorrenza di san Giuseppe, la sera del 18 marzo, specie nei rioni popolari e nel centro storico della città. Il rito della vampa chiama a raccolta gli abitanti del quartiere e soprattutto i bambini, impegnati nella raccolta di scarti e materiale da bruciare. Una volta accesa, ci si raduna attorno al fuoco, contemplando l’antichissimo e sempre attraente spettacolo delle fiamme, mentre bimbi e ragazzi ci girano attorno e fanno a gara affinchè la vampa sia la più alta e scoppiettante possibile. Per gli studiosi tale tradizione richiamerebbe culti connessi a particolari periodi del ciclo solare, solstizi ed equinozi. In questo caso segnerebbe il passaggio dall’inverno alla primavera e la necessità di rinnovamento e di purificazione dalle vecchie scorie e dalle influenze nefaste della passata stagione.
           La sfincia di San Giuseppe, invece, è un dolce tipico palermitano, diffuso anche nella Sicilia occidentale, ormai disponibile in tutti i periodi dell’anno, ma la tradizione gastronomica vuole che sia consumato elettivamente il 19 marzo. Il  suo nome deriverebbe dal latino “spongia” o dall’arabo “isfang” che significano entrambi spugna. La sfincia si presenta infatti come una frittella dalla forma irregolare, somigliante a una spugna. L’origine di questo dolce, menzionato persino nella Bibbia e nel Corano, è molto antica: risale all’uso di Arabi e Persiani di friggere nell’olio una pastella dolce. Lasfincia si ottiene infatti dall’impasto di farina con uova intere e tuorli a cui viene aggiunto del lievito con latte e zucchero. Ottenuto un impasto morbido, si lascia riposare perché lieviti a sufficienza. Poi l’impasto viene fritto con un grasso (sugna o strutto), ricoperto e farcito con crema di ricotta e pezzetti di cioccolato e zuccata, e infine guarnito da grani di pistacchio e scorza d’arancia candita. La sfincia di san Giuseppe ha avuto l’onore di essere stata inserita nella lista ufficiale dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Maria D'Asaro, 19.2.18,  Il Punto Quotidiano

domenica 18 marzo 2018

La Street Art a Palermo è di casa


Palermo – Quest’anno capitale italiana della cultura, già insignita nel 2015 del prestigioso riconoscimento di patrimonio mondiale dell’umanità per i monumenti arabo-normanni, Palermo primeggia anche per la presenza di murales e graffiti originali e creativi, vero e proprio repertorio artistico a cielo aperto. La Street Art ha contribuito infatti a riqualificare le zone degradate del Centro storico, colorando con stencil e vernice spray edifici fatiscenti e mura scrostate al Borgo Vecchio, alla Cala, alla Vucciria, a Danisinni, quartieri del cuore pulsante della città, ma anche le periferie estreme e disagiate dello ZEN e di Brancaccio.
Tra gli artisti di strada, Astro Naut ha dipinto grandi astronauti dai grandi occhi e dai caschi colorati tra il quartiere Vucciria e Borgo Vecchio. Sotto i portici di piazza Caracciolo, ci sono i poster di HOPPN, nome in codice in cirillico del marchigiano Yuri Romagnoli, che ha fatto del bianco, del rosso e della propaganda anti-auto e a favore delle biciclette la sua cifra distintiva. Tra gli artisti che hanno lasciato dipinti alla Vucciria, si notano anche le forme contorte di KnarK, misterioso artista austriaco; in pieno Centro storico ci si può imbattere nel Pierrot ultrapop di NAF-MK, dietro cui si nasconde il beneventano Domenico Tirino. Nel quartiere Kalsa si può ammirare un grande murales del comasco Ema Jons, ormai palermitano di adozione, che ha utilizzato l’intero muro di una costruzione diroccata per dipingere un inquietante e grottesco ciclo della vita dell’uomo.
Graffitari come Ema Jons e il palermitano Davide Furìa hanno coinvolto intere scolaresche e ragazzi a rischio di devianza nella loro pratica di writing creativo, con lo scopo di convogliare energia, fantasia creativa e impegno dei giovani verso obiettivi positivi e colorati. Davide Furia è stato anche autore di un Writing/workshop a Pantelleria, dove con settanta allievi ha dipinto con coloratissimi graffiti cento metri  di muro.
A Palermo, capitale della mafia e dell’antimafia, non potevano certo mancare i simboli legati a Cosa Nostra: una gigantesca piovra, con tanti tentacoli, si mostra in un parcheggio vicino al porto. Commissionato agli street artist nisseni Rosk e Loste per ricordare il 25° anniversario della strage di via D’Amelio, dal 19 luglio 2017, sulla facciata dell’Istituto Nautico che si affaccia sul mare della Cala, palermitani e turisti possono ammirare il suggestivo murales che ritrae i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e ne onora il sacrificio.
Infine uno dei più noti street artist mondiali, il francese Christian Guemy, in arte C215, ha fatto rivivere a Palermo l’arte di Caravaggio che, nel suo peregrinare, aveva dipinto proprio qui una sua celebre Natività. Alcune opere di C215, diventate icone a Ballarò, piazza san Domenico e alla Vucciria, sono però andate letteralmente a ruba: l’anta di un portoncino arrugginito e tre vecchie cassette postali - su cui C215 aveva incollato i suoi stencil con le riproduzioni della Maddalena in estasi, del Bacchino malato e della Medusa - sono state divelte e portate via. A dimostrazione che anche la Street Art ha i suoi estimatori, i suoi collezionisti e, ahimè, i suoi emeriti ladri.
Maria D’Asaro
(già pubblicato su Il Punto Quotidiano)










venerdì 16 marzo 2018

16 Marzo







Crudele
Ti svelse
La vita amata
Il vento di Marzo.
Madre …








I lutti privati si inseriscono nel flusso storico che comprende  tragedie private e collettive.

La mattina del 16 marzo 1978  le Brigate rosse, in via Mario Fani a Roma, rapirono il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, uccidendo i cinque uomini della sua scorta: i due carabinieri, Oreste Leonardi e Domenico Ricci, e i tre agenti della Polizia, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino.

L'agguato di via Fani ebbe come tragico epilogo, 55 giorni dopo, il ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio di una Renault 4 rossa.

Quando rapirono Moro, verso le nove del mattino di quel giovedì sedici marzo, ero all'Università di Palermo, seguivo una lezione di Letteratura moderna e contemporanea, tenuta dal prof. Cosmo Crifò. Alla notizia del rapimento la lezione fu interrotta: tornai a casa sconvolta ... Aldo Moro, con le sue "convergenze parallele", col suo tentativo di muovere a sinistra la DC 'aprendo' ai comunisti di Berlinguer, era un'icona per mio padre.
E anche per me.



mercoledì 14 marzo 2018

Cin cin alternativo al melograno

       Pregiato champagne francese o frizzante  spumante piemontese, la materia prima di ogni brindisi che si rispetti è da sempre il vino, ricavato dal prezioso frutto della vite, già caro al dio Bacco. Da quest’anno però, grazie alle ingegnose sperimentazioni degli studenti dell’Istituto professionale per l’Agricoltura “Abele Damiani” di Marsala, in provincia di Trapani, sarà possibile un cin-cin alternativo: gli studenti, guidati dal professor Bartolo Tumbarello, hanno infatti creato una nuova bevanda alcolica, la cui base sono i chicchi rossi e succosi del frutto del melograno.
       L’albero del melograno, dal frutto così particolare e attraente e dai piccoli fiori rosso vivo che fioriscono a maggio, è abbastanza diffuso in Sicilia. Originario dall’Asia sud-occidentale, è presente dall’epoca preistorica nell’area costiera del Mediterraneo dove fu apprezzato e coltivato già dai Fenici, dai Greci, dai Romani (ai quali si deve il nome latino Punica granatum), e in seguito dagli Arabi. La melagrana è un frutto tra i più ricchi di sostanze antiossidanti, che aiutano il nostro organismo a mantenersi in salute e a prevenire l’invecchiamento precoce. Contiene inoltre vitamina A, C, E; è benefica anche per il sistema immunitario e per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo e abbassare la pressione sanguigna.
       Oltre all’innovativo distillato alcolico di melegrane, gli alunni dell’Istituto agrario “Abele Damiani”, guidato dal dirigente Domenico Pocorobba, si distinguono per quantità e qualità di coltivazioni rigorosamente biologiche: nei terreni loro affidati si coltivano la tumminia, un pregiato grano duro, la quinoa, uno pseudo-cereale privo di glutine e ricco di proprietà nutritive, e si producono olio d’oliva di qualità e i vini grillo e zibibbo. Davvero una buona scuola, l’Abele Damiani, capace anche di portare i prodotti coltivati sulla tavola del ristorante didattico, già attivato dallo scorso anno presso i locali dell’Istituto. Esempio virtuoso di una filiera corta in grado di sposare la qualità dei prodotti locali con la tutela dell’ambiente.

Maria D'Asaro
(pubblicato su: Il Punto Quotidiano)

martedì 13 marzo 2018

Strelitzia




                                         
Vettori 

Di luce 

Petali di velluto,

Letizia arancio e turchino:

Strelitzia.

domenica 11 marzo 2018

The Post

          Dal regista Steven Spielberg, mostro sacro del cinema statunitense, ci si sarebbe aspettato qualcosa di più.
The Post infatti non ha ricevuto alcun Oscar a Los Angeles, nella notte tra il 4 e il 5 marzo scorsi. Una possibile spiegazione del mancato riconoscimento potrebbe essere questa: Spielberg, regista di capolavori come ET, Jurassic Park, Salvate il soldato Ryan, dà il meglio di sé nel confezionare storie con una più robusta e intrigante trama narrativa.
       Ma cosa, nel film, non ha funzionato? Soprattutto il primo tempo, con qualche scena di troppo e un’interpretazione un po’ troppo sopra le righe da parte di Tom Hanks del personaggio di Bad Bradlee, direttore del Washington Post. Il film cresce invece nel secondo tempo quando la vicenda – la pubblicazione nel 1971 dei Pentagon Papers, i documenti segreti sulla valutazione reale, per nulla ottimistica, da parte del Dipartimento della Difesa del Pentagono, delle sorti della guerra in Vietnam – assume un ritmo narrativo più fluido, veloce e avvincente. Molto brava Meryl Streep nel ruolo di Katharine Graham, proprietaria del Washington Post (sebbene il tono flebile e lamentoso del doppiaggio in italiano non renda onore alla sua interpretazione); buone anche le prove degli altri attori, in particolare quella di Bob Odenkirk, nelle vesti di Ben Bagdikian, assistente redattore al Post, il giornalista che rintraccia lo studioso in possesso dei documenti scottanti già pubblicati dal New York Times.
     Il film ha comunque un grande merito: quello di accendere i riflettori sull’importanza della libertà di stampa e sul ruolo insostituibile dei giornalisti competenti e coraggiosi nel controllare il Potere. Ruolo ancora più prezioso oggi, quando si tende a mettere sullo stesso piano il post estemporaneo e sguaiato su un social network con l’articolo di uno specialista, specie se frutto di indagine rigorosa e di pensiero critico. Commuove e convince infine l’epilogo del film, che racconta la solidarietà di tante testate americane verso il Washington Post e il verdetto finale della Corte Suprema americana che, a maggioranza, assolve il New York Times e il Washington Post, affermando che la stampa non è destinata a servire coloro che governano, bensì quelli che sono governati.

Maria D'Asaro
(pubblicato poi anche sul quotidiano on line Il Punto Quotidiano)
(E' un pò infantile, lo so, ma sono fiera e contenta: questo è il mio POST n.1500, nel decimo anno di vita del blog!)


venerdì 9 marzo 2018

La strana coppia

Paul Klee: Mito floreale (1918)


                            Nel quartiere, si incontra ogni  giorno: nel giardinetto di una villetta o a passeggio, nella strada vicina. Una lei alta e magra, intorno ai trent’anni, con un cappotto rosso vivo. Viso triangolare, zigomi marcati, grandi occhi bruni, di una particolare bellezza, indecifrabile e altera. Se fa freddo, ha un berretto viola sui capelli castani. Tra le dita, una sigaretta. 
              Colpisce il suo sguardo: severo, corrucciato, assorto, a distanza siderale dal resto del mondo. La donna ha sempre a fianco un cagnone nero, un rottweiler o qualcosa del genere. Al cane, lei parla di continuo a voce bassa: senti il suono delle parole, ma non ne capisci il significato. 
                A volte, a loro si accompagna un uomo, più alto di lei, dallo sguardo protettivo e sicuro.  Quando c’è, è lui a tenere con forza il guinzaglio. E, con un’antica forza gentile, sembra proteggere un segreto di cui è cavaliere e custode.
Maria D'Asaro




lunedì 5 marzo 2018

Italia a 5 stelle, fine della Seconda Repubblica

        Certo, bisogna attendere la ripartizione dei seggi. Ma il risultato è chiaro: il trionfo del Movimento 5 Stelle, il lusinghiero risultato della Lega, la secca sconfitta del PD e, per certi versi, anche di Forza Italia, l’insipienza di Liberi e Uguali, l’insignificanza politica di altre proposte politiche, quali la lista Bonino, Potere per il Popolo, Casa Pound, per citarne alcuni. Oggi finisce la Seconda Repubblica. 
Il PD a guida Renzi, nonostante abbia vantato risultati positivi in campagna elettorale, paga la mancata risposta a un tema pressante, quello del lavoro. E l’aver compiuto scelte di politica economica e sociale più di destra che di centro-sinistra, in un'Italia dove si è pericolosamente assottigliata la classe media ed è praticamente sparita la classe operaia, con la sua unità storica e  i diritti faticosamente conquistati nel ‘900. Quasi dissolta la base sociale del centro-sinistra, sparisce il centro-sinistra come rappresentanza politica. In più la leadership del PD paga un’arroganza senza pari nella gestione del potere e l’aver cooptato, nei posti di comando – almeno così risulta in Sicilia – i più fedeli al capo, non i più competenti e lungimiranti.
Il Movimento Cinque stelle raccoglie voti da ogni bacino: dai delusi, dai qualunquisti, dagli orfani delle ideologie, dai troppi disoccupati, dai precari, dai confusi. Ma anche da chi, negli ultimi dieci anni, si è sforzato di lavorare nel territorio, contro la corruzione, gli inciuci, i privilegi. Attivisti cinque stelle, nel territorio siciliano, si sono distinti per le prospettive ambientaliste e per la lotta tenace e trasparente  per un cambiamento costruttivo. Prosit. Bisogna riconoscere che hanno convinto l’elettorato, anche se, per certi versi, vista la statura degli avversari, non c’era partita …
Ai Cinque Stelle va dato anche il merito di avere capito l’importanza della Rete e del passaparola, in un tempo in cui la TV e i giornali, moribondi se non si rinnoveranno, non formano più l’opinione pubblica.
Un altro dato di novità dei Cinque stelle è la freschezza anagrafica dei suoi esponenti. L’Italia diventa un paese politicamente più giovane. Si spera che i futuri leader avranno talenti e competenze adeguate. 
A destra Salvini può dirsi legittimamente il vincitore. E, sia che faccia parte o meno della futura coalizione di governo, dirà la sua su politica interna e politica estera.
Chi guiderà il futuro Governo? Questa è davvero un’incognita, frutto di una legge elettorale brutta e pasticciata. I Grillini? Alleati con chi? La coalizione di centro-destra, che cercherà di acquisire qualche parlamentare qui e là? Una bella gatta da pelare per il Capo dello Stato.
E che posizioni prenderà il futuro Governo su rapporti con USA e Russia, posizione in Europa, scelte economiche e ambientali, diritti umani?
Intanto, un dato consolante per la democrazia: nonostante la disaffezione dalla politica, hanno votato circa il 73% degli aventi diritto (nel 2013 il dato era del 75%).
Maria D’Asaro

domenica 4 marzo 2018

4 marzo 2018

V. Kandinsky: Vita variopinta (1907)
   Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà  - vuol dire che è fatta male e bisogna cambiarla.
      Per cambiarla occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione. Di uomini creativi, s’intende, va in cerca anche questa società, per i suoi fini. Scrive Arthur Cropley nel suo libro La creatività che lo studio del pensiero divergente è «essenziale per mantenere le proprie posizioni nel mondo».
   Grazie tante: «Cercansi persone creative», perché il mondo resti com’è. Nossignore: sviluppiamo invece la creatività di tutti, perché il mondo cambi.
Gianni Rodari
Grammatica della Fantasia

Oggi un saluto speciale al nostro amato Lucio:







giovedì 1 marzo 2018

Narcisi o animali sociali?

     Si direbbe che «le persone reagiscono agli altri come se le loro azioni venissero registrate e contemporaneamente trasmesse ad un pubblico invisibile, o conservate per un attento esame in futuro. Le condizioni sociali esistenti hanno tirato fuori i tratti della personalità narcisistica che erano presenti, in varia misura, in tutti: una superficialità autoprotettiva, la paura di relazioni vincolanti, la disponibilità a strappare le proprie radici quando necessario, il desiderio di mantenere le proprie opzioni aperte, l’avversione a dipendere da qualcuno, l’incapacità di fedeltà e gratitudine».
Christopher Lasch
          Non c’erano né selfies né social media quando Christopher Lasch scriveva questa postfazione al suo libro del 1979 La cultura del narcisismo. Il suo sguardo anticipatore spiegava che «il nuovo narcisista è ossessionato non dal senso di colpa, ma dall’ansia. Non infligge agli altri le proprie certezze, ma cerca un significato nella vita. Liberato dalle superstizioni del passato, dubita perfino della realtà della propria esistenza (…).  Elogia cooperazione e lavoro di squadra quando ha impulsi profondamente antisociali. Afferma il rispetto delle regole nella segreta convinzione che non si applichino a se stesso. È acquisitivo, nel senso che le sue voglie non hanno limiti (…), ma esige soddisfazione immediata e vive in uno stato di desiderio inquieto e perennemente insoddisfatto». 
         Che altro c’è da dire? Questi siamo noi. E lo stavamo diventando già prima del neoliberismo, che certo ha fatto di tutto per rendere assoluta e universale questa condizione. Una condizione che rompe ogni legame sociale, frammenta i soggetti, cancella le identità collettive, rende difficilissimo il cambiamento. Andiamo con ordine. Se l’identità individuale è il valore assoluto, i rapporti con gli altri sono ridotti a strumento di autoaffermazione. I legami sociali sono possibili solo a partire da valori condivisi e da identità collettive, per quanto parziali: possiamo essere europei, cittadini italiani, lavoratori, abitanti di una città, sensibili al problema x, disponibili a impegnarci insieme sul problema y. Ma dobbiamo vivere una condizione comune che ci trasformi in soggetti collettivi. Persone che fanno lo stesso lavoro ma con sei tipi di contratti diversi – stabili o precari, con salari diversi, in Italia o delocalizzati in Polonia – difficilmente si percepiscono come un soggetto sociale con uguali interessi, la solidarietà è limitata, l’organizzazione sindacale impossibile.
        Se siamo sensibili all’ambiente, abbiamo bisogno di un’organizzazione – dal gruppo di acquisto solidale al Wwf – che usi le nostre energie, costruisca un’identità collettiva e sappia tradurre in pratica i cambiamenti che progettiamo.
      L’affermazione della propria individualità deve cedere il passo alla ricostruzione di identità collettive – con pratiche concrete – ricostruendo legami sociali e possibilità di cambiamento: nelle vite individuali, nei comportamenti sociali, nelle scelte politiche. Quanto sia difficile lo vediamo fin dai valori che vogliamo affermare. Siamo concordi sul valore della libertà in Tibet, ma non sappiamo più – nonostante Norberto Bobbio – che posto dare all’uguaglianza da noi. Non è un caso che Renzi, cogliendo lo «spirito del tempo», appena conquistato il vertice Pd abbia fatto della rottura tra libertà e uguaglianza il suo primo intervento pubblico.
           L’individualismo è una deriva senza sbocco e il narcisismo è una malattia mortale. Cerchiamo di essere ancora, con Aristotele, animali sociali.

Mario Pianta, Il Manifesto, 18/7/2014

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