Grata a un amico per l’affettuosa insistenza con cui me ne ha consigliato la lettura, in tempi di derive integraliste, di unilaterali proclamazioni della Verità, di tentazioni temporalistiche da parte di importanti settori ecclesiali e di pericolosi rigurgiti di intolleranza nel panorama sociale e politico, credo che il saggio di Stefania Arcara “Messaggere di luce” (Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 2007, €20) presenti un’inquietante e drammatica attualità.
La studiosa ripropone la traduzione italiana degli scritti di due quacchere inglesi che, a seguito di un loro viaggio missionario, si ritrovarono a Malta, dal 1658 al 1662, prigioniere della locale Inquisizione. La traduzione rivela una profonda competenza e una accurata ricostruzione del contesto storico-religioso dell’accadimento narrato, esaustivamente proposto negli otto agili capitoletti nei quali Stefania Arcara commenta con sapienza il “racconto veritiero delle grandi prove e crudeli sofferenze” – così intitolarono le loro memorie – di Katherine Evans e Sarah Cheevers.
Come è noto, l’etimologia più diffusa del termine “quacchero” deriverebbe dall’inglese to quake/tremare: quaker è dunque colui che trema estaticamente di fronte al divino da cui è abbagliato. La Evans e la Cheevers dimostrano di essere, ossimoricamente, saldissime quacchere: professano la loro fede senza alcun cedimento, nonostante i patimenti loro inflitti in quasi quattro anni di prigionia. Non tralasciando, tra un interrogatorio e l’altro, tra un digiuno e l’altro, tra una visione mistica e un sogno profetico, di lavorare a maglia, di scrivere il resoconto del loro patire, di cucire vestiti per gli altri carcerati.
Quel che a mio avviso affascina del libro è la feconda molteplicità dei piani di lettura da esso offerti. Innanzitutto il testo è un documento prezioso della spiritualità e prassi del quaccherismo delle origini: “I quaccheri delle origini si distinsero per una serie di comportamenti eclatanti, che scaturivano da un assunto di base: ogni creatura è uguale di fronte a Dio, il quale è innanzitutto Luce interiore (…); le conseguenze di tale convinzione furono politicamente rivoluzionarie e socialmente eversive. Cancellata ogni gerarchia sociale, ogni distinzione di sesso e di classe, uomini e donne predicano, profetizzano, scrivono, interpretano le scritture “(pag.15).
In secondo luogo, come evidenzia Adriana Valerio nella premessa, il “Racconto veritiero” è un’ esemplificazione pratica dell’impossibilità comunicativa tra inquisitori e inquisiti, dovuta “a due diverse ecclesiologie di riferimento, a due diversi apparati teologici che sottendono l’orizzonte di senso e di fede degli interlocutori”.
In terzo luogo, è epistolario, profezia, autobiografia spirituale che si intrecciano in uno dei primi resoconti di viaggio dell’età moderna, secondo l’inedita e particolare prospettiva femminile e le modalità di un “nomadismo mistico, un’imprevedibile erranza governata solamente dalla volontà divina” (pag.22). Malgrado il divieto sociale che scoraggiava le donne dal viaggiare (testimoniato dal trattato del 1577 dello svizzero Zwinger, che in esso enumera quattro tipologie di persone cui sarebbe preclusa l’esperienza del viaggio “Infanti. Persone anziane. Pazzi. Donne”), la Evans e la Cheevers rappresentano infatti uno dei primi esempi di donne viaggiatrici,
E soprattutto, il libro può essere letto e apprezzato per la grande mole di interrogativi che suscita nei lettori e nelle lettrici più attente. Accade che la Evans e la Cheevers, ormai liberate, in una delle navi che le riporteranno in Inghilterra, incontrino casualmente un Cavaliere, fratello dell’Inquisitore, che esprime un’inaspettata ipotesi escatologica ”Se noi andremo in cielo per una via e loro per un’altra, comunque ci incontreremo tutti alla fine”. A lui le due donne ribattono che “Gesù Cristo Luce del mondo è l’unica via al Padre”.
Nella ricca postfazione, Pier Cesare Bori si chiede, e noi con lui, se in ultima analisi le due quacchere non siano, a diverso titolo, anch’esse intolleranti. E sottolinea che “la richiesta di libertà religiosa come diritto non nasce (…) da una relativizzazione della verità religiosa, come sarà in Locke, e dall’idea di separazione dei due poteri. Al contrario del relativismo, le prime richieste di libertà nascono da una certezza religiosa: l’interiore e totalmente indifesa presenza del regno di Dio (pag. 179).Bori conclude però affermando che il rifiuto assoluto della violenza e le formulazioni umanistiche e universalistiche del secondo quaccherismo sono, comunque, tratti essenziali della tolleranza. E ci ricorda “la continuità tra Katherine Evans e Sarah Cheevers e le donne quacchere che, provenendo dai movimenti antischiavisti, scriveranno nel 1848 la Dichiarazione dei sentimenti di Seneca Falls, un’impressionante, straordinaria affermazione dei diritti delle donne”.
Maria D'Asaro
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