domenica 10 agosto 2014

Dalla mafia liberaci, o Signore

(Care lettrici/cari lettori: con questa recensione vi auguro Buon Ferragosto: tornerò a scrivere dopo il 18 agosto. Un abbraccio a tutte/i)

Nel saggio Dalla mafia liberaci o Signore (Di Girolamo, Trapani,  2014, € 15,00) - titolo suggestivo che rievoca una bella canzone di Francesco Guccini e l’antica preghiera della Chiesa: “A peste, fame et bello libera nos, Domine” (“Liberaci, o Signore, dalla peste, dalla fame e dalla guerra”) - il teologo don Cosimo Scordato ci offre riflessioni esaustive sul rapporto complesso tra Chiesa e mafia, affrontando in modo chiaro e organico la questione. Il teologo riconosce che la mafia è un vero e proprio problema ecclesiale perché essa si è sviluppata in terra cristiana; fa la diagnosi degli equivoci che ne hanno accompagnato lo sviluppo; indica la terapia: una ecclesiologia e una pastorale autenticamente evangeliche, perché “Non ci può essere più posto per un boss (…); non c’è posto per rapporti violenti dove la croce e l’autodonazione sono il criterio della vita”.
L’autore afferma innanzitutto che la Chiesa siciliana non ha riconosciuto in tempo la reale consistenza e la pericolosità della mafia: Scordato infatti fa sua la tesi del prof. Savagnone, secondo il quale la fase della presa di distanza e della denunzia profetica seguono, all’interno della Chiesa,  quelle iniziali caratterizzate talvolta della compromissione diretta prima e dalla coabitazione poi, quando“la Chiesa sosteneva politicamente la DC, non rendendosi conto delle connivenze del partito con la mafia"; convinta “che l’unico nemico da abbattere fosse il comunismo”.  A tal proposito, il testo ricorda l’equivoco clamoroso (di contro alla contestuale e ferma presa di posizione del pastore valdese Panascia) con cui nel 1964 il cardinale Ruffini si approcciava al fenomeno mafioso, indicato in una lettera pastorale come male della Sicilia, insieme a Danilo Dolci e al romanzo Il Gattopardo … Il teologo Scordato riconosce che “La mafia ha manipolato e deviato i valori e strumentalizzato la devozione cristiana: la famiglia ha finito col coincidere col familismo, l’onore con l’omertà e la religione è stata ridotta ad un rituale di accettazione sociale, che prescinde da qualsiasi rapporto don Dio e col Vangelo di Gesù”. E aggiunge che una prassi sacramentale legata all’accaparramento della salvezza, anziché a gesti profetici che lasciano intravedere la novità di un mondo chiamato alla riconciliazione, può spiegare la frequentazione di vari mafiosi ai sacramenti e la loro dichiarazione di appartenenza alla Chiesa.

Il testo, la cui lettura, a mio avviso, dovrebbe essere “obbligatoria” per ogni credente e consigliata per i “diversamente credenti”,  si caratterizza poi per una ricca “pars costruens”: Scordato indica infatti in modo netto e preciso le caratteristiche di una Chiesa “antimafia”: è necessario abbandonare “quelle forme della potestas ecclesiastica che insinuano nella Chiesa rapporti unidirezionali di dominio;”è necessaria “la rinunzia ad una presenza forte nella società, la scelta della povertà e dei poveri, la pratica di una comunicazione  non-violenta e creativa nelle dinamiche ecclesiali, e soprattutto l’avvio di una prassi sacramentale espressiva della tenerezza divina e umana. Bisogna altresì costruire“una Chiesa democratica, che promuove la libertà responsabile dei suoi figli; (…) urge che la comunità cristiana eserciti il suo fascino nella coscienza del credente (e non) … delineando un mondo diverso, ispirato dalla bellezza dell’amore misericordioso di Dio”. 
don Cosimo Scordato

L’autore ribadisce inoltre l’assoluta necessità ecclesiale di assumere come luogo teologico anche lo spazio-tempo in cui si vive: “o una Chiesa si realizza in quel luogo, secondo le modalità storico-geografiche del suo esserci comunitario, o essa viene compromessa nella sua ecclesialità”. Il territorio diviene allora il “luogo teologico” per eccellenza:  visto che sia la mafia che la parrocchia occupano il territorio, la concretezza pastorale della Chiesa locale diviene il vero banco di prova per un’autentica testimonianza. Davvero illuminanti in tal senso, infine, le pagine dedicate al beato don Puglisi: il teologo si chiede “Come mai l’annunzio del Vangelo da parte di un prete nell’abito della sua parrocchia può comportare anche il rischio di venire uccisi a causa della propria fede?” Perché don Pino, attraverso il rinnovamento della pastorale parrocchiale (emancipazione della religiosità  da presenze ambigue; messa in crisi della situazione di prevaricazione e di illegalità che compromettevano l’evangelizzazione; creazione di un centro sociale per rispondere ai bisogni di promozione umana del quartiere) ha sottratto ai mafiosi il controllo del territorio: “il territorio parrocchiale a Brancaccio è diventato banco di prova per la testimonianza della fede evangelica di don Pino (…) in direzione del servizio, della dignità e della libertà … rendendo inutile la presenza di un padrino”.                                           Maria D’Asaro (“Centonove” n.31 dell’8.8.2014)

4 commenti:

  1. Plasmare le sacre scritture sui tempi moderni richiede abilità da funamboli... La sensibilità di don Cosimo è ammirevole, e la tua eco gli rende l'attenzione che merita. Buone ferie, Maruzza.

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  2. @DOC: grazie dell'attenzione. Le ferie sono (quasi) finite, ma la vita rimane. Un abbraccio.

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  3. bello questo post, bisogna sperare!! ciao

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  4. @Aliza: il libro è un vero gioiello. Dovrebbe essere letto e meditato da ogni persona di buona volontà. Ciao, grazie dell'attenzione!

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