Vieni? – aveva chiesto, timidamente – Solo tre minuti - aveva risposto con voce ammantata di palpabile fastidio. Lei cominciò ad attendere quietamente, mentre il profumo di melanzane inondava la cucina.
Il tempo scorreva puntuale. Albe luminose inseguivano fantasmi di temporali notturni.
I figli chiedevano: - Dov’è papà? – Verrà tra tre minuti – disse loro dolcemente.
La maggiore, impaziente, comprò uno sfarzoso abito da sposa e volle subito celebrare le nozze. - Tanto papà viene tra tre minuti – esclamò spumeggiante.
Venne l’inverno. Lei non sentì freddo, avvolta com’era nell’ampia trapunta di sogni e speranze.
“Tangente di 0 è 0, tutte le corde valgono 2 r seno di X… I valori annullano la derivata – sentenziava il figlio matematico – Questo papà lo sa bene - continuava – Ma tu non capisci niente – Lei annuiva sorridendo e gli chiedeva di ripeterlo a papà, tra tre minuti appena.
- Si – borbottava il Signore delle Formule – 4/3 di ∏ r3… Come fai tu a vivere senza capire che la derivata è, in un punto, la tangente alla funzione... sei per metà ignorante e per metà deficiente…-
Lei gli rivolse uno dei suoi ampi sorrisi e lo rassicurò: papà, tra tre minuti, avrebbe capito tutto.
Tornò ancora la primavera. Annunciata dalle foglioline tenere dei pioppi.
Poi venne anche l’autunno. Il vento discuteva animatamente coi rami dei platani e faceva piangere i piccoli ibiscus.
Sui suoi capelli si era posata una polvere bianca; sul volto c’era un ricamo di mille rughine intrecciate.
Intanto l’altro figlio divenne un principe tenebroso, con una spada fatata capace di sciogliere i nodi impossibili e uccidere tutti i draghi malvagi. La ospitò per lunghissimo tempo nel suo castello pieno di fiori e di cuccioli.
Lei aveva viaggiato, arato, stirato, narrato, bevuto, dormito. Aveva amato, d’amore diverso, diversi amori. Un uomo la chiese in sposa. – Ma ho già un marito, che verrà tra tre minuti – obiettò gentilmente. – Vuol dire che le nostre nozze dureranno solo due minuti – insistette con voce ferma e gentile il signore d’altri tempi – aspettavo da sempre una dama dagli occhi di cerbiatto…
Fecero in tempo a partorire 21 minutissime creature, e poi ancora quattro che parlavano lingue straniere. Le curò, le vegliò, le allevò finchè divennero vigorose e ciarliere e vissero senza l’acqua del suo amore, forti delle proprie radici, girovagando sicure per il vasto mondo.
Allo scadere dei due minuti, il gentiluomo prese delicatamente commiato: - Grazie – le disse con occhi premurosi – Non c’è di che – ricambiò lei con un sorriso.
Infine divenne uno specchio, in cui si specchiavano amanti, uccellini dalle ali ancora tenere, gocce di acqua stanche del viaggio, passanti che mormoravano piano, panettieri nerboruti.
Finchè una sera, mentre avvolgeva nuovi gomitoli e imbastiva costumi per un saggio di danza, lui tornò. Serenamente distratto.
Però… mi sembri un po’ diversa – esclamò guardandola fugacemente e appressandosi a uscire: sarebbe tornato tra tre minuti appena.
Lei indossò uno dei migliori volti possibili e gli donò il più luminoso dei sorrisi. E sparì, tornando alla nuova luccicante dimora: via Lattea, n.∞.