Lo chiamo Marco, ma si potrebbe chiamare Francesco, Salvo o Giuliano. E’ un ragazzo palermitano di trent’anni, con una storia simile a quella di tanti suoi coetanei: un’infanzia difficile, l’istituto superiore lasciato a metà, una qualifica di elettricista conseguita in un corso di formazione regionale. Marco non sa fare solo l’elettricista: sa fare anche l’imbianchino, s’intende di idraulica, sa persino piastrellare un garage. Vorrebbe solo una cosa, adesso: lavorare. Anche pulire le scale, piantare pomodori o lavare i cessi: purché sia un lavoro onesto. Ma nella Palermo di oggi la sua è una richiesta da sogno e Marco continua a rimanere disoccupato. E’davvero assurdo e ingiusto che un trentenne volenteroso non abbia un lavoro e un reddito propri: è come se la società lo tenesse in prigione, nella prigione invisibile della sua dipendenza dai familiari. Marco è innocente, ha diritto di vivere libero. Cosa aspetta la buona politica ad aiutarlo?
Maria D’Asaro (“Centonove” n. 24 del 20.6.2014)
Sì davvero, è ingiusto. Dicono che i trentenni di oggi non vogliono sporcarsi le mani, invece molti ragazzi sarebbero disposti, come Marco, a fare i lavori più disparati, eppure non trovano niente...
RispondiEliminaQuanti Marco dappertutto. E' straziante.
RispondiEliminaMi chiedo se finirà, prima o poi.