La prof. Chinnici, il prof. Muraglia e il prof. Salonia (fonte: sito Gestalt Therapy Kairòs) |
(questo breve resoconto è solo un assaggino della bellezza del libro: seguirà recensione per la stampa!)
Oggi pomeriggio a Palermo, alla libreria “Modus Vivendi”, la presentazione del saggio di Giovanni Salonia i come invidia (Cittadella Editrice, Assisi, 2015, € 11,00) è stata davvero interessante, intensa e molto partecipata, tanto da far invidiare, ai tantissimi rimasti in piedi, la comoda sedia di cui hanno goduto i primi arrivati.
Il prof. Maurizio Muraglia ha introdotto e moderato in modo brillante il dibattito sul testo, composto da “poche pagine ad alta densità speculativa” che ci introducono in modo affascinante e terapeutico nei meandri più profondi del più triste dei sette vizi capitali, portatore insano di infelicità.
Gli interventi acuti e a tutto tondo dei coautori Valentina Chinnici e Giovanni Salonia hanno donato agli astanti il succo di quanto scritto nel libro: la prof. Chinnici ha sottolineato come l’invidia sia da sempre la più inconfessabile e nascosta delle emozioni, che svela la sostanziale infelice staticità di chi ne è affetto; e ci ha salutato con gli splendidi versi di Orazio, che ci propongono la riflessione, lo studio e il lavoro come validi antidoti all’invidia. Il prof. Salonia ci ha invitato ad andare oltre le posizioni di Freud e della Klein, per i quali l’invidia sarebbe connaturata alla natura umana senza facili e definitive vie di superamento. Ha proposto invece una assai convincente lettura dell’invidia come incapacità di assumere il limite proprio dell’essere "creatura" e ha sottolineato, citando Nietzsche, che è “un errore della natura cognitiva e morale” pensare che si possa essere felici invidiando gli altri. Dall’invidia si può quindi guarire trafficando i propri talenti, strada che placa il cuore e dà pienezza. E, come sempre, il professore ci ha fatto volare alto concludendo che l’invidioso deve scoprire la propria preziosa unicità e sentire di avere le carte in regola per essere anche lui felice. Perché, a farci soffrire, “è la pienezza della nostra anima che non abbiamo ancora raggiunto”.
Bella questa lettura dell’invidia su un piano direi “ontologico”, come incapacità di guardare la propria finitezza e, nello stesso tempo, di vivere la propria unicità in modo non statico, come tensione e superamento continuo, come cammino. Buona giornata.
RispondiElimina@gian maria zavattaro: grazie della visita e del commento. Il libro - che recensirò a breve per il settimanale siciliano con cui collaboro - è un gioiellino e aiuta davvero il lettore ad andare oltre il sentimento dell'invidia, tanto dannoso quanto "inutile". Buona serata.
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