“Questo luogo comune asserente l’assoluta neutralità di ogni oggetto, la sua assoluta plasticità per ogni utilizzo, è posto a ostacolo davanti a ogni serio discorso sull’utilizzo degli strumenti tecnici, ed è oggi uno dei principali motivi dell’incapacità dell’uomo contemporaneo di vivere sanamente il rapporto con la tecnica del suo tempo. (…) Infatti se gli oggetti, come il luogo comune afferma, sono sempre neutri, ogni atto che abbia come oggetto la tecnica diventerà pre-morale o a-morale: l’interazione tra l’uomo e la macchina viene dunque liberata da ogni responsabilità. Le mamme saranno preoccupate nel lasciare il figlioletto da solo con il cagnolino dei vicini, con il figlio dei vicini, non con il videogame dei vicini. E se persino sviluppare in laboratorio il virus di una malattia mortale per l’umanità potrebbe essere, in nome della scienza, pre-morale, figurarsi acquistare la terza megatelevisione in casa. (…) Come sempre si biascicherà la formula rasserenante: “Dipenderà da come si usa lo strumento” (…) Invece gli oggetti hanno un loro uso preferenziale, tendenziale, vogliono essere usati in un certo modo.
Ciò non toglie che noi li si possa usare in modo opposto alla loro direzione, ma ciò implicherà un’impennata di creatività, volontà, che non è (…) tipico del rapportarsi medio dell’uomo con il mondo. (…) E’ indubbio che una pistola in sé non uccida, eppure se dessimo una pistola a ogni famiglia siamo perfettamente consapevoli che gli omicidi aumenterebbero (in questo caso una sperimentazione, ormai da secoli in corso, è intrapresa dagli Stati Uniti con i loro incidenti domestici a base non di padelle incandescenti e fili della luce scoperti ma di pistole e fucili).
(…) Ogni oggetto nasce con una propria intenzione. Certamente si può carezzare con un martello e uccidere con una piuma, ma nel primo caso la carezza sarà fredda e indelicata e nel secondo, qualora la nostra vittima non soffra il solletico e non sia cardiopatica, è difficile anche solo immaginare da che parte iniziare. Un esercizio filosofico all’altezza dei nostri tempi (così come in periodo ellenistico si meditava sulla propria morte o sulla vastità dell’universo) potrebbe essere quello di fermarsi a riflettere sui nuovi oggetti del nostro uso comune, e sulle tendenze all’uso che da esso si dipartono. Si pensi al telefono cellulare: già nella sua portabilità sta il seme di quella dipendenza su cui spesso facciamo facile ironia. (…)
Dunque, contrariamente al telefono fisso, tocca a noi giustificarci del non essere reperibili per gli altri, del non averlo con noi. (…) Non essere reperibile diventa una scelta, esserlo invece un semplice lasciare che le cose seguano il loro corso. Nessuno sarà tenuto a spiegare perché risponde sempre al cellulare, ma dovrà spiegare perché ieri sera a quella certa ora non era reperibile. L’idea che le cose dipendano esclusivamente dall’utilizzo che noi, sovrani assoluti, abbiamo deciso per esse, è una forma parodistica e mentecatta di idealismo: rende le cose inutili, le porta ai limiti della non esistenza: Esistiamo soltanto noi. Così un mitragliatore è dunque solo una proiezione della mia volontà. Il suo utilizzo è da me costruibile e modulabile ad libitum. Tenerlo in casa, per mia volontà assoluta (…) non è più rilevante che tenervi una torta al cioccolato … (pagg. 31/34)
Interessantissima riflessione, questa sugli oggetti che dovrebbero essere strumenti e invece finiscono per controllare la nostra vita.
RispondiElimina@Silvia Pareschi: è davvero un librettino prezioso. Dovrebbero meditarci gli americani, appassionati di armi ...
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