Prendendo a prestito per titolo quello di una bella canzone di Lucio Dalla, nell’intrigante libretto Il mare, com’è profondo il mare … (Diogene Multimedia, Bologna, 2017, €9,80) Augusto Cavadi ci propone una particolare crociera marina: crociera speciale perché la vastità azzurra del più suggestivo elemento fisico terrestre diviene anche emblema e metafora della nostra condizione esistenziale: “Il mare – scrive Cavadi – è un saggio maestro. Ci suggerisce la nostra costituzione anfibia: in ciascuno di noi s’intrecciano le caratteristiche delle radici e le caratteristiche delle àncore. (…) Solo chi ha navigato molto (…) può stabilirsi in un luogo senza farsi illusioni sulla precarietà ontologica dell’esistenza.” Il viaggio in mare aperto proposto dall’autore evoca riflessioni suggestive: riflessioni che, se non presumono di dare un senso univoco e porti sicuri alla vita, sono almeno capaci di fornirle approdi di conforto e riparo. La navigazione proposta dall’agile testo scorre attraverso tredici capitoletti che, nel mare magnum della vita personale e collettiva, suggeriscono una rotta che abbia come timone l’etica dell’avventura e dell’oltranza, ma anche quella della finitudine e della precarietà; un viaggio che, senza dimenticare la dimensione dell’attesa e dell’approfondimento, privilegi l’etica del rispetto, della gratuità, della solidarietà, della convivialità e dell’affidamento, immancabili compagne di viaggio; una rotta che contempli infine anche la possibilità del fallimento e del naufragio.
A farci compagnia negli oceani marini ed esistenziali, Cavadi convoca ‘ammiragli’ del calibro di Baudelaire, Gibran, Edgar Lee Masters, Hemingway; ma anche capitani di lungo corso a noi contemporanei quali lo scrittore Alessandro Baricco, il sociologo Franco Cassano, il filosofo Luigi Lombardi Vallauri. Quest’ultimo evidenzia come la qualità del paesaggio abbia il potere di nutrire e soddisfare la nostra anima, che soffre se costretta in orizzonti ristretti “non incontrando, quel profondo, quell’ampio, quel poetico per il quale ha struggente nostalgia”. Ancora Vallauri ci ricorda che deserto e mare - “vuotità incrociate, una solida e una fluida” - “sono accomunati dagli effetti sull’anima. Tutti e due ti fanno lasciare la presa.” Proprio quest’immensità vuota, incalza Cavadi, “ci insegna a non vivere da onnipotenti. A saper misurare le forze”; ci insegna che “siamo tutti bastardi”.
A tal proposito, il testo ricorda che, tra il XII e il XIX secolo, in tutti i porti del Mediterraneo si è parlato il ‘sabir’, lingua franca che mescolava siciliano, veneziano, genovese, spagnolo, catalano, occitano e anche un po’ di arabo, greco e turco: “prototipo di ciò che potrebbe diventare, nel mare e oltre il mare, una cultura globalizzata: una cultura che, senza rinnegare le specificità regionali, impari a cedere e a ricevere qualcosa da tutte le altre”. Cassano, in un suo testo che è un inno alla prospettiva mediterranea attraente e inclusiva, sottolinea che tra le società umane la differenza è appunto “tra le identità-muro che hanno bisogno della guerra e le identità che conoscono l’apertura del mare e hanno bisogno di amici, di soci, di porti accoglienti e di trattati di pace”. Lo psicoterapeuta Girolamo Lo Verso, aggiunge: “Poche cose come il mare rendono improbabile, e un po’ metafisico, il concetto di frontiera che tanti sfracelli ha combinato nella storia umana (…). Il marinaio, del resto, è sempre stato un cittadino del mondo e precursore di una globalizzazione non omologante”. Continua Cavadi: “Il mare insegna con la sua stessa struttura una solidarietà ontologica”; “la navigazione non è forse la risultante della cooperazione di un intero e ben articolato equipaggio?” ”La parte (…) è parte di un tutto e può realizzare il proprio senso solo avendone consapevolezza e comportandosi di conseguenza”.
Citando una frase di Hisamatsu, studioso del buddismo Zen “Come un’onda non cade nell’acqua dall’esterno, ma proviene dall’acqua senza separarsene”, l’autore conclude così: “Quando l’uomo scopre di essere una delle innumerevoli sfaccettature dell’unico Prisma (…) in questa prospettiva, la solidarietà è il riconoscimento attivo di un vincolo al di là della polarità ‘altruismo’ ed ‘egoismo’.”
Affidiamoci allora alla grammatica delle immensità marine: “immergiamo le orecchie nel suo ventre sonoro”; assumiamo “lo sguardo conoscitivo, audace e aperto di Ulisse”; ricordiamo che “Senza l’infinito del mare si va a fondo, risucchiati dal vortice del nostro antropomorfismo”. E infine, nella nostra navigazione esistenziale, non abbandoniamo mai il remo del pensiero, perché, come canta l’indimenticabile Lucio: “Il pensiero come l’oceano … non lo puoi recintare”; e, come scrive Melville: “Ogni pensare serio e profondo è soltanto l’intrepido sforzo dell’anima per mantenere la libera indipendenza del suo mare.”.
Maria D’Asaro
Maria D’Asaro
in primis i miei complimenti per questa recensione si legge con grande piacere. Il libro è interessante e mi piace che tu abbia recensito non i soliti romanzi ma un'opera particolare e che si scosta dal mainstream letterario dei nostri giorni.
RispondiEliminaCiao Daniele, grazie per l'attenzione e l'apprezzamento. Da qualche anno mi piace recensire i libri che meritano. E questo testo secondo me è un gioiellino.
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