mercoledì 30 maggio 2012

domenica 27 maggio 2012

La Bibbia, da sola, non basta



Su “Repubblica-Palermo”, nella rubrica Numeri, mesi fa l’attento Francesco Palazzo metteva a confronto due regioni: la Sicilia e il Trentino/Alto Adige. Nella nostra Regione, le famiglie che hanno un solo libro in casa sono circa il 20,2%, in Trentino il 2,8%. I siciliani che hanno letto almeno un libro in un anno sono il 31,5%,  in Trentino il 60%. In quest’ambito, la posizione della Sicilia nella classifica nazionale è ultima. Allora mi chiedo: c’entreranno qualcosa questi numeri con la mafia, la mancanza di senso civico e il malgoverno? C’entrerà la mancanza di libri col fatto che siamo una delle regioni più arretrate d’Italia? Quando le forze dell’ordine hanno arrestato Bernardo Provenzano, nel suo nascondiglio hanno trovato un unico libro: la Bibbia.  A vent’anni dall’assassinio di Giovanni Falcone, della moglie e della scorta, è il caso di ribadire che, per diventare uomini consapevoli e liberi, la Bibbia, da sola, non basta.
Maria D’Asaro (“Centonove”: 25.05.2012)

mercoledì 23 maggio 2012

A Giovanni, Francesca, Antonio, Rocco, Vito


Sembra ieri. Allora ero una ragazzina trentenne, con un figlio in meno.
Insegnavo Storia, Educazione civica e Geografia ai corsi serali per lavoratori: a pescatori, disoccupati, panettieri, casalinghe, ragazzi sperduti che sognavano un futuro migliore con la terza media. Giovanni Falcone, per me, era un mito. Ma un mito concreto, in carne e ossa. L’avevo conosciuto, a un corso di formazione. Facevo il tifo per la sua opera di magistrato onesto, intelligente, laborioso, sagace. Dell’uomo, mi piacevano la sottile ironia, il disincanto, l’acume intellettuale. Era il perfetto esemplare di quella classe dirigente siciliana che tutti i conterranei avveduti vorremmo come avanguardia.
La notizia della strage mi lasciò sgomenta, addolorata, indignata. Se ho tentato di fare qualcosa di buono per la mia terra e per i ragazzini palermitani, lo devo anche a lui. Perché il suo sangue, quello della sua dolce e forte Francesca, quello di Rocco, Antonio e Vito non sia stato sparso invano.




«Maledetta la terra che ha bisogno di eroi», fa dire Bertolt Brecht a Galilei. Maledetta Sicilia, se avrà bisogno del sangue di altri eroi come Giovanni Falcone per affermare il suo bisogno di giustizia e di libertà dalla mafia.

lunedì 21 maggio 2012

Caro Sindaco ti scrivo ...



“Tra 15 minuti sciacqua il colore …  Fai lo shampoo alla signora … 8 minuti e inizia la colata per le meches … “ E’ incredibile come ci si sappia organizzare in modo efficiente, nel salone affollato di un parrucchiere, il sabato mattina. Allora, tra la schiuma e un colpo di phon, ti metti a pensare: se si riesce a far bene un lavoro di squadra solo per abbellire i peli sulla nostra testa, perché non dovremmo fare altrettanto per ottenere, nella nostra città, una migliore gestione dei rifiuti, più parchi e piste ciclabili e per dare agli anziani e ai bambini servizi adeguati? Non sono forse materia altrettanto importante quanto la cura dei nostri capelli? Allora, non resta che augurarci che il nuovo Sindaco di Palermo abbia la stessa competenza organizzativa di un bravo parrucchiere. E, magari, un pizzico di passione in più per il bene comune dei  concittadini.
Maria D’Asaro  (“Centonove”: 18.05.2012)

sabato 19 maggio 2012

All'alunna Melissa Bassi

Sono sgomenta, incredula, indignata.
E' stata la mafia? In genere, le stragi dei mafiosi sono stragi/progetto, inserite in un disegno "coerente", che soppesa costi e benefici ... Questa pare una violenza bestiale, senza alcun senso.
Un abbraccio agli alunni e alle alunne della scuola professionale di Brindisi "Francesca Morvillo e Giovanni Falcone". E soprattutto ai genitori di Melissa.



giovedì 17 maggio 2012

Ali d'aquila


Francesco Colizzi, ex presidente dell’Associazione “Amici di Follereau”, nel mensile  gennaio 2011 dell’associazione omonima, ha scritto delle considerazioni interessanti legate sul morbo di Hansen, più noto come lebbra. Tali riflessioni possono essere utilizzate per ogni tipo di diversità. Le riporto oggi,  6° giornata mondiale in ricordo delle vittime dell’omofobia.
“Ecco che cosa è lo stigma: una sorta di visibile marchio di discredito sociale e di vergogna, che genera discriminazione ed esclusione. (…) Il processo di apposizione di uno stigma ad una particolare condizione umana è dunque essenzialmente un terribile meccanismo di disumanizzazione. Una volta impresso, per sua stessa natura, il marchio tende ad essere per sempre, a divenire una sorta di status. Ne deriva una forma di convivenza segregazionista, nella quale chi ha  il potere e il dominio è ben separato da chi è dominato, privato di potere e di qualità umane. (…) Recludendo, per ignoranza e per paura, diverse forme di vita umana, rinchiudiamo noi stessi in piccole torri di fredda razionalità e di affettività coartata e ci precludiamo l’accesso alla verità su noi stessi, sull’uomo e sull’universo. Usciamo dalla torre della realtà condizionata da anguste e mutilanti visioni e apriamoci alla realtà liberata. Accogliamo le luci delicate della dignità umana. Esse ci additano un percorso di apprendimento la cui bellezza è infinita. Ciascuno deve imparare a rispettare gli altri e ciascuno deve scoprire il proprio valore di persona umana.
E’ solo nell’incontro con la dignità umana, con la presenza viva della persona, che entriamo in relazione con la verità e possiamo, come dice il poeta Friedrich Holderlin “rendere miti i nostri giorni sulla terra”. 
Ricordo che stasera alle 21, nella chiesa di san Gabriele Arcangelo a Palermo, ci sarà un incontro di preghiera come momento di unione solidale con tutti coloro che hanno patito e patiscono discriminazioni, carcere e ogni tipo di sofferenza a causa del loro orientamento sessuale. 

domenica 13 maggio 2012

Rosario on the road



La scuola dove lavoro si trova nel mio quartiere, vicino casa. Così vado a piedi. Mentre cammino, spesso “ripasso” le cose che dovrò fare a scuola, programmo la spesa da fare, penso a cosa cucinare, la sera. Talvolta, comincio persino a inseguire uno dei miei sogni. Poi, anche se non sono sicura che un Dio mi ascolti davvero, a volte comincio anche a pregare, con le formule antiche della mia infanzia: Padre Nostro, Ave Maria. E tiro fuori dalla tasca una corona. Un giorno, incrocio un passante che fissa le mani e la collana che le intrecciava. Ho avuto la tentazione di ritirarla, quella corona. Non l’ho fatto. Magari, non farei le crociate per il Crocifisso nei luoghi pubblici. Ma ritirare la coroncina sarebbe stato un gesto vigliacco. Non c’è niente da vergognarsi a mostrare che non disdegno un contatto con una spiritualità che potrebbe arricchire una vita disorientata ...
Maria D’Asaro ("Centonove": 11 maggio 2012)

giovedì 10 maggio 2012

I ragazzi PON PON


 
Nella scuola dell’obbligo circolano pochissimi soldi. Tant’è che ogni tanto si parla di acquisire sponsor privati, con tutti i rischi di interferenza che questo può comportare. Attualmente, un modo per raggranellare un finanziamento è l’accesso, con un buon progetto, ai Fondi strutturali europei. Nella scuola dove lavoro, tra i vari progetti finanziati dall’Unione Europea ci sono stati quello dell’orto a scuola, con un’agronoma che ci ha insegnato a coltivare grano e fave; quello di informatica che ha permesso ai ragazzini privi di pc di colmare il “digital divide” con i loro coetanei più fortunati; quello che ha permesso ad alcuni ragazzi di imparare meglio l’inglese grazie a un insegnante di madrelingua. Per diversi anni, abbiamo poi realizzato un laboratorio di “comunicazione sonora”: che consisteva nel fare sperimentare a un gruppo di alunni la funzione quasi terapeutica della musica attraverso il contatto con gli strumenti musicali. Gli strumenti venivano “liberamente” esplorati, magari stando accovacciati su un tappeto. Così si poteva scoprire il suono graffiante di un violino, l’allegria delle nacchere, l’evocazione dell’acqua tramite il bastone della pioggia, il ritmo coinvolgente degli strumenti a percussione. Allora non importava più se eri svogliato o bravo, maschio o femmina, grassottello o minuto, portatore di handicap o meno … Nello spazio magico del laboratorio, presi per mano da Patrizia o da Carla, le “esperte” di turno, i ragazzini liberavano sentimenti inespressi, erano capaci di dare la mano al compagno “diverso”, vibravano sulle corde di nuove emozioni.
Mi è capitato di essere l’insegnante/tutor di un “Caleidoscopio sonoro” e di seguire il  percorso di un gruppo di ragazzini di prima media. Tra loro, un alunno “diverso” che voleva sempre abbracciarmi; una ragazzina che spesso piangeva perché si sentiva emarginata; un’alunna che mi stava sempre accanto e mi ripeteva: - Professoressa: va bene il mio disegno, le piace questa mia storia? – ; due sorelline, il cui padre, anni prima, era morto d’infarto, mentre pranzavano insieme.
Dopo il contatto con gli strumenti, i ragazzini esprimevano le sensazioni che avevano provato attraverso racconti, disegni, linee e colori. Io favorivo lo sciogliersi e il dipanarsi delle emozioni. – Racconta la storia di nuvola …. – Immagina di essere un animale…. – Che cosa provi quando senti il rumore dell’acqua? – Una volta proposi loro di “disegnare” un sogno. Parola equivoca: intesa da alcuni come qualcosa che avevano sognato di notte. Da altri come un desiderio. Una ragazzina disegnò un principe azzurro. Un alunno  il cagnolino che avrebbe voluto avere con sé. Una fanciullina una casa che stava bruciando. Una bambina un uomo con le ali. Proposi anche di narrarlo a voce, il loro sogno. Venne il turno di Simonetta. Con la voce spezzata ci disse che l’uomo con le ali era il papà. Che lei, una notte, l’aveva sognato. Che ritornava dall’aldilà e che l’aveva abbracciata. Ci confidò che lei era sempre sospesa. Tra la voglia di vivere e la voglia di andarsene, per riabbracciarlo. Quel giorno, alla fine del laboratorio, disposti in cerchio, abbiamo stretto più forte la mano di Simonetta. Da allora, i suoi occhi furono un poco più chiari. Ogni volta che la incontravo, in classe o nei corridoi, guadagnavo il suo abbraccio. Il macigno che aveva nel petto si era un po’ sciolto, nel gesto salvifico delle mani riunite.

martedì 8 maggio 2012

Macerie


Macerie,
universi spezzati,
frammenti in rovina
incontra dovunque
il tuo sguardo pietoso.
Con stupore infinito,
nel tuo vagare a zigzag,
scopri la casa più intatta
in fondo al sentiero:
è la tua.





domenica 6 maggio 2012

Sogni



Sogni
azzurra quiete:
carezza di grembo
in cui rifugiarti, serena.
Sicura.

Che tempo fa in Italia, il 5 maggio 2012

Ho appena finito di leggere "Fai bei sogni" di Massimo Gramellini. Me ne sono innamorata.
Vi propongo le sue riflessioni ieri sera, a "Che tempo che fa".




venerdì 4 maggio 2012

Gli alberi piangono




45.000 volantini: mi risulta che tanti ne siano stati stampati per uno solo dei 1319 candidati al Consiglio comunale di Palermo, in occasione delle elezioni che si terranno in città dopodomani. Per giunta, si tratta di un candidato “ragazzino”, utilizzato soltanto come riempitivo per raggiungere il numero dei cinquanta nomi da depositare perché la lista sia completa. Questo incredibile sciupio di carta, unito all’enorme spreco di risorse per megamanifesti, striscioni nel balconi e quant’altro, ci fa riflettere a cosa si sia ormai ridotta la competizione politica per il governo di Palermo: a una sfida tra volti, sorrisi di facciata e maquillage più o meno riusciti.  Rischia di essere considerato un alieno chi si ostina ancora a inseguire un’idea, un progetto, una dedizione concreta e sincera al servizio di questa città disastrata. Non ci resta che piangere. Insieme ai tanti, troppi alberi tagliati per questa, senza dubbio eccessiva, ostentazione di volti.
 Maria D’Asaro (“Centonove”: 04.05.2012)

giovedì 3 maggio 2012

Le rondini e la morte

Da ragazzina, Maruzza adorava la primavera e l’estate. Le attendeva con impazienza già da gennaio, quando, finita la magia delle feste natalizie, non le rimaneva  altro che lo studio e il solito tran tran familiare. A febbraio si rallegrava per i pomeriggi allungati e per il tiepido sole che iniziava a illuminare e scaldare il balcone della cucina. A marzo spiava con ansia le prime foglioline verdi e fiutava nell’aria ogni promessa di primavera. Aprile e maggio erano i suoi mesi preferiti: gioiva per l’incontenibile esplodere della natura rinata, per  il cielo azzurro, per gli alberi fioriti, per i fili d’erba che spuntavano dal selciato. Per i campi rossi di sulla, per l’odore di zagara, per il garrire incessante e il festoso volteggiare delle rondini nel cielo azzurro che più azzurro non si può. E poi sarebbe venuta l’estate: mare, sole, vacanze e, chissà, forse un incontro...
Ma un giorno di maggio, il suo amatissimo nonno lentamente moriva. Con la mano destra, non intaccata dalla paralisi, cercava ripetutamente di toccare una barra di ferro posta all’altezza del capezzale: chissà, forse pensava che gli potesse “svegliare “ il corpo addormentato. “Nonno, sono Maria Antonietta ... ”: è possibile che abbia accennato a un sorriso?
Maruzza non riusciva a capire  come si  potesse morire con quel cielo così terso, con le rondini che non smettevano un istante di cantare, impazzite di gioia nell’aria. Loro non sapevano che il nonno soffriva:  solo lei lo sapeva e non le riusciva più di volare con loro ... “Nonno, come stai?”...  Ma il nonno non rispondeva più. Ormai nella stanza c’era solo il suono del suo respiro affannoso. L’unica cosa viva del suo corpo era quell’umore nell’occhio sinistro, che continuava a formarsi nonostante la ragazzina gli detergesse l’estremità della palpebra ...
La primavera, il 4 maggio di mille anni fa, con i suoi profumi inebrianti, il suo dolce tepore e la sua vitalità dirompente, era tutta lì. Così vera e intensa da farle male.
Ma per Maruzza c’è solo il silenzio assoluto della sua solitudine.

mercoledì 2 maggio 2012

Io sono mia


In Italia, fino a non molti anni fa, l'uomo che uccideva la moglie o la fidanzata "per gelosia" poteva contare su una attenuante giuridica: il movente "d'onore". In virtù della quale se la cavava con pochi anni di prigione. Una vergogna che affondava le sue radici in un retaggio culturale arcaico e (a giudicare dal numero di violenze sulle donne) ancora attivo: la femmina come proprietà del maschio. Per rimediare a questa vergogna, e passare dalla retroguardia all'avanguardia, perché non introdurre nelle nostre leggi il concetto opposto? E cioè stabilire che uccidere un'altra persona perché ci si ritiene proprietari del suo corpo, della sua vita, della sua libertà, è un'aggravante giuridica?
Non saprei come definirla, questa aggravante: è qualcosa di contiguo allo schiavismo ("tu sei mia proprietà"), al tribalismo, al sequestro di persona, alla crudeltà mentale. Bisognerebbe che qualche giurista, o qualche donna politica (o uomo, potendo) di buona volontà provasse a pensarci, a trovare la parola giusta, e la legge giusta, per far capire ai maschi violenti che alzare le mani su una donna o arrivare a ucciderla per suggellarne la sottomissione, per costringerla all'appartenenza, è un crimine intollerabile in una società che si fonda sull'autodeterminazione degli esseri umani.
(Michele Serra, L'amaca, La Repubblica, 29 aprile 2012)