venerdì 11 settembre 2009

IL SILENZIO DEL FEMMINISMO O SUL FEMMINISMO?


LEA MELANDRI: IL SILENZIO DEL FEMMINISMO O SUL FEMMINISMO?
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it)]

Ho alle spalle una storia del movimento delle donne abbastanza lunga per
ricordare le alterne vicende che ha avuto nel tempo, non dico la cultura che
ha prodotto, ma la parola stessa "femminismo". Passato il decennio degli
anni '70, in cui aveva goduto o patito, a seconda dei punti di vista, di una
straordinaria attenzione da parte dei media, e proprio nella fase in cui il
movimento femminista si andava trasformando in femminismo diffuso - nelle
universita', nei tribunali, nelle professioni, nei partiti, nei sindacati,
nell'editoria, ecc. -, una esperienza collettiva di innegabile portata
rivoluzionaria, tutt'altro che esaurita, si e' trovata a fare i conti con le
paure, i risentimenti, le ostilita' trattenute, le solidarieta' forzate che
si era prevedibilmente lasciata dietro. Mi e' capitato spesso, in occasioni
pubbliche, di constatare che "femminista" era diventata una connotazione
negativa, scomoda, che era meglio tenere celata se si voleva trovare lavoro
o ascolto.
E' cosi' che, per effetto di un capovolgimento noto - lo stesso per cui si
creano i disadattati per incolparli del disadattamento -, la "messa sotto
silenzio" e' diventata "il silenzio delle donne", interrotto solo da
sporadiche manifestazioni di piazza, destinate a scomparire con la stessa
rapidita' dei fantasmi che sembravano evocare. Non sono bastati neppure i
cortei affollatissimi di Milano, nel gennaio 2006, e di Roma, nel novembre
2007, sulle questioni dell'aborto e della violenza maschile contro le donne,
a destare un interesse duraturo per la cultura che piu' in profondita' ha
intuito e analizzato la crisi a cui stava andando incontro la politica,
scossa nelle sue fondamenta da tutti gli aspetti dell'umano considerati
tradizionalmente "non politici", confinati nella sfera del privato o in una
natura astorica. Poi, improvvisamente, quello in cui non sono riusciti
quarant'anni di produzione ininterrotta di libri, riviste, associazioni,
centri di studio, archivi, centri antiviolenza, mobilitazioni di piazza,
documenti collettivi - e cioe' vincere l'ottusa, arrogante o interessata
indifferenza di tutta la nostra cultura, alta e bassa, accademica e
mediatica -, e' accaduto in modo imprevedibile e inaspettato, come effetto
collaterale dell'onnipotente personalizzazione della politica del nostro
Presidente del Consiglio.
Che a "mettere a nudo il re" siano state le stesse figure femminili che
credeva di aver asservito - mogli e cortigiane - puo' essere letta come una
di quelle ironie o vendette della storia che fanno sperare in una qualche
invisibile giustizia, o, piu' realisticamente, stando a quanto hanno scritto
voci rappresentative del femminismo storico, come "la diffusa incapacita'
maschile, in tante situazioni e rapporti, a cimentarsi con donne non
subalterne", la miseria della mascolinita', il venire allo scoperto del
sistema di scambio tra potere, sesso e denaro ("Il manifesto", 23 agosto
2009).
L'ampio, acceso dibattito, che ha fatto seguito alla vicenda "personale e
politica" di Silvio Berlusconi, non poteva che far risaltare ancora piu'
vistosamente l'ignoranza, la superficialita' e la faciloneria, nel modo con
cui da piu' parti, da destra e da sinistra, da uomini e da donne, colti e
incolti, si tornava a parlare di femminismo: slogan mal interpretati,
accenni approssimativi, stereotipi, rimproveri o paternalistici consigli per
una ripresa di movimento sulla base di questo o quell'interesse particolare.
Umberto Veronesi, sul "Corriere della sera" (21 agosto 2009), ha prospettato
addirittura un decalogo delle virtu' femminili su cui costruire un "nuovo
femminismo". Nel coro generale dei riesumatori di un movimento dato come
defunto o silenzioso, si sono andate a collocare anche donne che, per
professione, cultura, impegno politico, si sarebbe immaginato capaci di
riportare alla dovuta attenzione dei media il pensiero, le iniziative di
singole e gruppi femministi operanti da anni, e particolarmente presenti,
nel contesto attuale, con documenti, prese di posizione, articoli e lettere,
diffusi soprattutto in reti e siti internet.
Se ha fatto piacere veder ricomparire la parola "femminismo" su quotidiani
come "Repubblica", "Corriere della sera", "L'Unita'", non poteva non
lasciare perplessi, indignati o amareggiati, la chiusura con cui ancora una
volta si faceva fronte a un pensiero lungamente elaborato e divenuto di
incontestabile attualita', sia pure in modi e per ragioni lontane da quello
che e' stato l'assunto iniziale del movimento delle donne. A fronte
dell'allarme quasi giornaliero delle maggiori testate sul "silenzio del
femminismo", si contavano con incredulita' le lettere, i documenti
collettivi, gli appelli firmati da centinaia di donne che venivano ignorati,
non importa molto se non visti o censurati.
Viene allora spontaneo chiedersi a chi si rivolga l'urlo "movimentista" che
occupava giorni fa la prima pagina dell'"Unita'" (5 settembre 2009) -
"Usciamo dal silenzio", "Movimento di donne". Stando all'articolo di Lidia
Ravera, sembrava che tra le poche che scrivono sui giornali e la massa delle
donne "umiliate" dall'immagine che si sta dando di loro, donne che si
vorrebbe veder scendere in piazza, non ci sia nient'altro: non una storia,
non la produzione ininterrotta di cultura politica, di iniziative diffuse in
ogni citta', non istituzioni nate nel corso di decenni per il desiderio di
dar seguito e approfondimento ai temi e alle pratiche degli inizi. Perche'
le femministe, oggi di generazioni e formazioni diverse, ma pur sempre in
rapporto tra loro, dovrebbero mobilitarsi in difesa di una informazione che
fa finta che non esistano?
La liberta' di informazione e' un bene universale, la garanzia primaria per
un sistema democratico, e questo basta per pensare che va difesa comunque,
che contro la denuncia di Berlusconi a "Repubblica" e "L'Unita'" e'
importante essere in tante e tanti alla manifestazione del 19 settembre. Ma
per far rinascere un movimento di donne ci vogliono, da parte dei media di
maggiore diffusione, e soprattutto da parte delle donne che vi hanno
accesso, un'attenzione e un impegno diverso, fatto di ascolto, reciprocita',
incontri, scambi anche conflittuali di opinioni. Quello che finora,
purtroppo, e' mancato.

2 commenti:

  1. Cara Maria,
    mi sembra che questa tua etichetta "genere femminile numero plurale" sia benemerita e possa contribuire a riannodare i fili di una riflessione politica di cui sentiamo tutti un urgente bisogno.

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  2. Caro Guido,
    un bisogno che è personale, antropologico, politico. E, azzarderei, persino etico e spirituale.

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