"Ci sono tanti modi per fare memoria dei pionieri che ci sono stati maestri, ma una sola e' la maniera davvero efficace: proseguire la loro opera con fedelta' creatrice. Tra quanti hanno saputo ripercorrere la strada di Aldo Capitini, con la docilita' di chi vuole imparare e il coraggio di chi osa andare oltre sperimentando nuove piste, il caso - o la provvidenza - mi ha regalato la possibilita' di conoscere Andrea Cozzo e di fruire, a tutt'oggi, della sua preziosa amicizia. In poche righe non e' pensabile dare conto della sua ampia riflessione ne' tantomeno delle sue disparate pratiche generose: ma poiche' e', anche, un educatore (sia pur... preterintenzionale)
posso provare ad evocare alcune sue indicazioni essenziali per chiunque
voglia dare alla propria pratica pedagogico-didattica una valenza
squisitamente nonviolenta.
Nel suo trattato piu' organico (Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e
pratiche di lotta comunicativa, Mimesis, Milano 2004) il mio amico Andrea - che all'Universita' di Palermo insegna non solo lingua e civilta' greca, ma anche teoria e pratica della nonviolenza - dedica al nostro tema una sezione piu' teorica (la nonviolenza culturale) ed una piu' esperienziale (la mediazione scolastica). Vediamo, in sintesi, alcuni passaggi della sezione relativamente piu' teorica.
Il presupposto, che l'autore chiarisce abbondantemente nei capitoli iniziali, e' che "nonviolenza e' conflittualita' e buona comunicazione": il nonviolento non glissa i conflitti, ma li affronta e li gestisce in maniera costruttivamente dialogica. Che significa cio' nel campo dell'educazione e dell'istruzione? Innanzitutto problematizzare l'ovvio: che "il rapporto con l'altro va impostato in termini di gioco a somma zero per cui educare ed insegnare sono atti che qualcuno deve effettuare su coloro a cui sono
diretti, mentre se non vi riesce, risulta sconfitto".
L'alternativa proposta da Cozzo non e', evidentemente, il mero rovesciamento del rapporto: "comportarsi in modo nonviolento nella relazione con i bambini non vuol dire essere passivi rispetto alle loro azioni o volonta', instaurando una gerarchia inversa in cui noi saremo i minori e loro i Maggiori". Vuol dire piuttosto, per riprendere una felice formulazione di P. Patfoort (Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti, La Meridiana, Molfetta
1995), "trattarli sulla base dell'equivalenza specialmente quando e' in gioco una diversita' di opinioni, punti di vista, valori, ecc. Se non abbiamo mai adottato o tentato di adottare un simile modo con gli altri, non crederemo che sia possibile".
Conosciamo bene l'obiezione, che soprattutto negli ultimi anni si leva immediatamente, soprattutto da parte degli "adulti" insicuri delle proprie idee e, percio', indisponibili a metterle in discussione anche con persone piu' giovani che - solitamente - non dovrebbero essere cosi' ferrati dialetticamente da gettare in confusione gli interlocutori: no, questo e' relativismo! Con i ragazzi non bisogna farsi vedere minimamente incerti: altrimenti come si potra' essere un punto di riferimento per loro? Ma questo
significa sottovalutare il senso critico dei nostri figli, dei nostri alunni: essi hanno un fiuto pressoche' infallibile nel riconoscere le certezze maturate autenticamente negli adulti (e proprio per questo offerte
con serenita' come ipotesi di lavoro) e le certezze tanto piu' urlate quanto meno radicate (e proprio per questo imposte con aggressivita' come dogmi).
"In realta'" - spiega l'autore - "questa educazione non e' ne' autoritaria ne' lassista, ma mira a dare potere a tutte le parti, che non sono da supporre a priori in contrapposizione competitiva bensi' semplicemente all'interno di una relazione che puo' essere strutturale in modo cooperativo: si ottiene l'ascolto del bambino dando a propria volta ascolto - ascolto attivo - al bambino".
Danilo Dolci, in proposito ricordato dallo stesso Cozzo, l'aveva notato con lucida amarezza: "In poche istituzioni la violenza e' implicita come nella scuola" (Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Roma 1993). Per sradicarla, o per lo meno per ridurne la portata devastatrice, c'e' una sola
strada maestra: che l'insegnante rinunzi al potere ricattatorio di chi esige obbedienza e che si comporti come uno che non solo "ne sappia di piu', ma anche, e senza che cio' sia requisito soltanto accessorio, che l'altro persuada per il suo modo di vivere (e lasci effettivamente libero di accettare o no sia il suo sapere sia il suo modo di vivere)". Questo spazio fra la propria testimonianza (Kierkegaard direbbe: la propria "comunicazione indiretta") e la decisione del giovane di accoglierla o meno e' davvero essenziale. Il '68 ha messo in crisi - opportunamente - il modello del docente che trasmette unidirezionalmente il proprio sapere: il docente "medium che serve a raccogliere e sintetizzare un gran numero di informazioni da 'dare', appunto, agli alunni".
Come nota acutamente l'autore, dopo la stagione della contestazione giovanile, "il razionale 'dare' si e' spostato piu' sul 'darsi' (...), un'operazione che gli insegnanti fanno con grande passione e trasporto", ma con effetti non meno deleteri: "questo trasporto e questa passione hanno a che fare molte volte con il desiderio e la possibilita' di riversamento di se': il quale, certo, da un lato suggerisce una pienezza e uno strabordare, un espandersi e un darsi, appunto, un donarsi; ma dall'altra parte, esso puo' essere anche un
riempire qualcuno".
Sul piano delle intenzioni soggettive, tanto di cappello; ma, oggettivamente considerato, "questo atteggiamento, non diversamente da quello del 'dare', finisce con l'essere una affermazione di se', quasi una inconsapevole rivalsa: come se, dopo anni di apprendimento obbediente e sottomesso nei confronti di coloro che vantavano un sapere superiore (i nostri insegnanti), divenuti finalmente come loro, non riuscissimo a rinunciare all'occasione per mostrare il raggiungimento della
nostra autonomia a spese altrui, continuando in tal modo la catena della violenza".
AUGUSTO CAVADI: INSEGNANTI MENO VIOLENTI
(per contatti: acavadi@libero.it): intervento apparso nella rivista semestrale :"Amica Sofia", giugno 2009 (www.amicasofia.it), col titolo "Insegnanti meno violenti: e' possibile?"]
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