Il problema di K. erano soprattutto le assenze.
Che ne hanno causato la bocciatura, in II media. E poi un altro insuccesso in terza, a un passo degli esami. Peraltro K. aveva buoni voti solo in Italiano: scriveva benissimo. Nelle altre materie, sempre scena muta
In seconda, avevo provato a inserirla in un laboratorio dal titolo impegnativo “Un altro mondo è possibile”. E’ venuta due volte, poi niente. Appena in tempo per dirmi che il suo sogno più grande era andare a Livorno. In terza è stata anche seguita da un’assistente sociale. Mi ha chiamato, un paio di volte. - Viene a scuola K.? - A volte si, spesso no. - Le chiedo un incontro. Mi dice di si. Ma, poi, non se ne è fatto più niente: - Troppi casi più urgenti – si scusa.
Intanto K. ha 15 anni: è ancora in obbligo scolastico. Ripete ancora la terza. Però, a scuola non viene. Non se ne sa niente. Il cellulare della madre è spento. Irraggiungibile. - Non vuole più venire – confida la compagna ben informata. Invio la solita segnalazione di mancata frequenza all’Ufficio Dispersione Scolastica del Comune di Palermo. Ma, lo so già, gli operatori del Comune e gli assistenti sociali non hanno la formula magica per ridarci i ragazzi. Ho scritto in un pizzino il numero della madre e ho telefonato per giorni. Sappiamo che il padre non c’è. Che i genitori sono separati, da qualche anno. Del padre, nessuna notizia.
Un giorno il telefono chiama: - Non posso farci niente, K. non vuole venire – risponde la madre con tono stanco e annoiato. – Signora, fissiamo un colloquio, la prego, solo un colloquio, con lei e la ragazza. –
Così, a metà ottobre, K. torna a scuola. Tento delicatamente di parlarle. Di capire il perché del suo rifiuto, ma ha una scorza coriacea. Forse non si fida. E io non riesco a trovare la chiave.
Un giorno intercetto uno sguardo diverso. Per la prima volta, parla di sé. Di una solitudine antica, dei continui litigi dei genitori: - Non c’erano i soldi per pagare l’affitto… avevamo cambiali… mio padre era tanto geloso – Sguardo triste, tono di voce bassissimo. Non vuole venire a scuola perché non si ritrova con le compagne: molto più grande, con pensieri e interessi diversi…
Poi, tre anni fa per l’appunto, il padre è partito. Lavora a Livorno. La madre e la sorella (c’è una sorella più grande) le fanno casino se sanno che lo ha sentito al telefono. – Puoi andare a Livorno da lui ? – Sorride. Mi dice che non è facile, in realtà neanche il padre la vuole. Perché lavora col camion e manca spesso da casa. Le rimane la nostalgia del suo amore perduto: - Di lui mi ricordo i suoi giochi, mi faceva sorridere… Con mia madre e mia sorella non parlo, loro sono vicine tra loro, io è come se non ci fossi… -
Dopo questo colloquio, mi regala abbozzi di sorrisi appena accennati. Parliamo, ogni tanto. Lei mi guarda, educata e composta. Ma senza speranza. Il suo sguardo rimane in un altrove lontano. - Che libri ti mancano? - Tanti - I libri si trovano. Una collega e i compagni si prodigano.
Che ne hanno causato la bocciatura, in II media. E poi un altro insuccesso in terza, a un passo degli esami. Peraltro K. aveva buoni voti solo in Italiano: scriveva benissimo. Nelle altre materie, sempre scena muta
In seconda, avevo provato a inserirla in un laboratorio dal titolo impegnativo “Un altro mondo è possibile”. E’ venuta due volte, poi niente. Appena in tempo per dirmi che il suo sogno più grande era andare a Livorno. In terza è stata anche seguita da un’assistente sociale. Mi ha chiamato, un paio di volte. - Viene a scuola K.? - A volte si, spesso no. - Le chiedo un incontro. Mi dice di si. Ma, poi, non se ne è fatto più niente: - Troppi casi più urgenti – si scusa.
Intanto K. ha 15 anni: è ancora in obbligo scolastico. Ripete ancora la terza. Però, a scuola non viene. Non se ne sa niente. Il cellulare della madre è spento. Irraggiungibile. - Non vuole più venire – confida la compagna ben informata. Invio la solita segnalazione di mancata frequenza all’Ufficio Dispersione Scolastica del Comune di Palermo. Ma, lo so già, gli operatori del Comune e gli assistenti sociali non hanno la formula magica per ridarci i ragazzi. Ho scritto in un pizzino il numero della madre e ho telefonato per giorni. Sappiamo che il padre non c’è. Che i genitori sono separati, da qualche anno. Del padre, nessuna notizia.
Un giorno il telefono chiama: - Non posso farci niente, K. non vuole venire – risponde la madre con tono stanco e annoiato. – Signora, fissiamo un colloquio, la prego, solo un colloquio, con lei e la ragazza. –
Così, a metà ottobre, K. torna a scuola. Tento delicatamente di parlarle. Di capire il perché del suo rifiuto, ma ha una scorza coriacea. Forse non si fida. E io non riesco a trovare la chiave.
Un giorno intercetto uno sguardo diverso. Per la prima volta, parla di sé. Di una solitudine antica, dei continui litigi dei genitori: - Non c’erano i soldi per pagare l’affitto… avevamo cambiali… mio padre era tanto geloso – Sguardo triste, tono di voce bassissimo. Non vuole venire a scuola perché non si ritrova con le compagne: molto più grande, con pensieri e interessi diversi…
Poi, tre anni fa per l’appunto, il padre è partito. Lavora a Livorno. La madre e la sorella (c’è una sorella più grande) le fanno casino se sanno che lo ha sentito al telefono. – Puoi andare a Livorno da lui ? – Sorride. Mi dice che non è facile, in realtà neanche il padre la vuole. Perché lavora col camion e manca spesso da casa. Le rimane la nostalgia del suo amore perduto: - Di lui mi ricordo i suoi giochi, mi faceva sorridere… Con mia madre e mia sorella non parlo, loro sono vicine tra loro, io è come se non ci fossi… -
Dopo questo colloquio, mi regala abbozzi di sorrisi appena accennati. Parliamo, ogni tanto. Lei mi guarda, educata e composta. Ma senza speranza. Il suo sguardo rimane in un altrove lontano. - Che libri ti mancano? - Tanti - I libri si trovano. Una collega e i compagni si prodigano.
Ma a gennaio, la solita compagna informata dice all’insegnante di Lettere che K. è incinta.
La chiamo. E’ difficile per me questo colloquio. Questa cosa la dico a K.: - Tu capisci le cose. Ti confesso che a volte il mio lavoro è difficile. Ma è giusto parlarti: ho sentito in giro una voce … Perdona il mio essere esplicita… Si dice che sei incinta: è vero? Hai bisogno di aiuto? - Una lieve sfumatura rosata attraversa il suo volto olivastro, allungato. Non conferma né nega, ma chiede come lo abbia saputo. Le dico che non ha importanza. - Mi pare importante che tu non sia sola con il tuo segreto. - E’ vero …. - adesso sono io a sobbalzare, spero che non se ne accorga.
Riprende: - E’ vero …ho avuto un ritardo … ho avuto paura di essere incinta…. Ma era solo un ritardo. –
La guarda, inghiottendo veloce il mio vederla bambina, il mio puritanesimo del secolo scorso e una grande voglia di abbracciarla. Scelgo le parole con cura. – Devi avere avuto paura. Non saresti stata affatto contenta di essere incinta - Per niente – mi dice sollevata. Continuo: - Sarebbe stato duro essere incinta a 15 anni … Comunque, vivi con attenzione la tua sessualità. Se non vuoi parlarne con tua madre, potresti parlarne con la dottoressa del Consultorio, qui vicino, in via della…. Non sei sola…. -
Annuisce. Aggiungo che faccia attenzione al gruppo che sta frequentando. Che fare sesso è terribilmente impegnativo, specie a 15 anni. Tento di evitare le sirene opposte del moralismo e del farla troppo facile. Le scrivo su un foglio l’indirizzo del consultorio e gli orari. Argomento, per ora concluso. K. mi appare rilassata. Adesso sorride.
Riprendo il vestito di sempre. - Quale libro ti manca … ancora l’inglese. –
Grazie – mi dice alla fine. Mi pare che questa volta i suoi grandi occhi sorridano.
Mi dispiace, ma la storia di K. non ha un lieto fine. Ad aprile ricomincia la frequenza a singhiozzo. A maggio non viene più a scuola. Dalla madre, solo un secco: - Ve l’avevo detto che non voleva venire. – E un astio e un fastidio crescenti, a ogni telefonata. Dai servizi sociali il temuto silenzio.
A giugno, K. ha sedici anni. – Non potete obbligarla oramai – ripetono con toni diversi la madre e il servizio sociale. Riesco solo a strapparle un saluto. Ma solo per telefono. E la promessa che si sarebbe iscritta a un serale.
Poi su K. si è chiuso per sempre il sipario.
E’ la madre che vedo ogni tanto, per strada. Gli occhi fissi nel vuoto. Non mi guarda neppure. Veramente lei non guarda proprio nessuno. Cammina a lungo, nelle strade infelici del nostro quartiere. Come se ricercasse qualcosa. Forse un senso, un aiuto, un uomo, un calore nascosto.
Annuisce. Aggiungo che faccia attenzione al gruppo che sta frequentando. Che fare sesso è terribilmente impegnativo, specie a 15 anni. Tento di evitare le sirene opposte del moralismo e del farla troppo facile. Le scrivo su un foglio l’indirizzo del consultorio e gli orari. Argomento, per ora concluso. K. mi appare rilassata. Adesso sorride.
Riprendo il vestito di sempre. - Quale libro ti manca … ancora l’inglese. –
Grazie – mi dice alla fine. Mi pare che questa volta i suoi grandi occhi sorridano.
Mi dispiace, ma la storia di K. non ha un lieto fine. Ad aprile ricomincia la frequenza a singhiozzo. A maggio non viene più a scuola. Dalla madre, solo un secco: - Ve l’avevo detto che non voleva venire. – E un astio e un fastidio crescenti, a ogni telefonata. Dai servizi sociali il temuto silenzio.
A giugno, K. ha sedici anni. – Non potete obbligarla oramai – ripetono con toni diversi la madre e il servizio sociale. Riesco solo a strapparle un saluto. Ma solo per telefono. E la promessa che si sarebbe iscritta a un serale.
Poi su K. si è chiuso per sempre il sipario.
E’ la madre che vedo ogni tanto, per strada. Gli occhi fissi nel vuoto. Non mi guarda neppure. Veramente lei non guarda proprio nessuno. Cammina a lungo, nelle strade infelici del nostro quartiere. Come se ricercasse qualcosa. Forse un senso, un aiuto, un uomo, un calore nascosto.
O una polvere bianca, che qualcuno le passa, in silenzio.
Come sempre scrivi molto bene, e questa categoria racchiude piccoli film con grandi spunti di riflessione. Ma spesso, leggendo questi racconti (veri) un nodo alla gola mi impedisce di trovare parole adatte a commentarli, per cui sappi che ti leggo anche quando non trovi il mio commento. Detto ciò, buona Domenica (da te sarà sicuramente migliore, qui oggi è plumbeo).
RispondiEliminaPrima di commentare sono andato a rivedere il tuo 'profilo completo'. Per avere conferma che c'è scritto 'femmina'. Da quello che racconti mi è venuto il dubbio che tu abbia 'du palle' così. Io sarei schiattato dopo il primo dei 101 racconti, se lo avessi vissuto in prima persona.
RispondiEliminaPer questo capitolo sono con il Doc: non è che la commozione sia privilegio solo delle donne...
La nostra augusta ministra per le pari opportunità può fare una tacca alla sua colt. Finalmente un obiettivo raggiunto: parità del diritto ai sentimenti, in parti uguali...
Buona domenica, e credo lo sarà, poiché contro il 'plumbeo' del Doc, qui c'è un'ombra di sole.
@Peter e Gattonero: alle mie latitudini, c'è un'altra domenica assolata. Con un tepore quasi da scirocco. Vi mando un abbraccio e un raggio di sole. Grazie della vostra attenzione e della commossa empatia.
RispondiElimina@Gattonero: il lavoro spesso mi fa soffrire. I primi anni sono stati durissimi. A volte vengo presa dalla sindrome di burn-out: così gli anglo-sassoni chiamano la sensazione di cottura mentale, di corto circuito, di stanchezza e impotenza che assale, talvolta, chi opera con persone che soffrono.
Ma poi è di nuovo mattino. E riesco a trovare, in chissà quale invisibile tasca interiore, un sorriso e la voglia di dare una speranza ai ragazzi.
E' un piacere leggerti,queste storie mi travolgono sempre..le leggo tutte in un fiato. Hai la capacità di lasciare il lettore sempre con un vortice di emozioni dentro,finito il racconto.
RispondiEliminaComplimenti per questo ennesimo post pieno di vita e quotidianità.
Un abbraccio
E' davvero bene che hai iniziato a scriverle, queste storie. Perchè queste storie aspettavano di essere scritte.
RispondiEliminaPerchè, pur nel loro anonimato, so che sono tutte storie VERE: "dovevano" essere scritte! Per gli spaccati di realtà, vera, concreta, su squarci non così rari spesso misconosciuti, per i ragazzi coinvolti, per te in cui esse s'affollavano tutte dentro, per quei professori che insieme a te ancora credono in un lavoro ormai bistrattato e marginalizzato (e ce ne sono ancora abbastanza, per fortuna), per la scuola e la sua dignità, per questa città in cui tutto sembra perduto, per una società in cui lo sguardo viene distolto ad arte su tutto ciò che c'è di più effimero e che viene spacciato per realtà.
Mentre è questa, nella scuola, la realtà, ed è bene che venga messa in qualche modo nero su biano: bello sarebbe se il ministero ne avesse qualche volta anche il minimo sentore!
JAN