Il suo arrivo a scuola mi fu annunciato da una telefonata della Preside di una vicina Scuola elementare: - A settembre, arriverà Valeria. Guarda che è una ragazzina …. speciale. Intanto ti dico che ha già tredici anni e mezzo. –
Mi racconta, in due battute, la sua storia: il padre era stato ammazzato qualche anno fa, non si sa se per mafia o per banale regolamento di conti, in quella polveriera che è piazza Guadagna. La madre, qualche mese dopo, aveva abbandonato Valeria (figlia maggiore) e la figlioletta minore, per andare a vivere, non si sa bene dove e con chi, con il figlio più piccolo.
- E Valeria? – chiedo. Valeria era stata generosamente raccattata dai nonni paterni. Dopo qualche mese, c’era stato l’affidamento formale da parte del Tribunale dei Minori.
- Valeria è una creatura dolcissima – conclude la Preside – solo che, capirai, qualche problema ce l’ha: è già stata bocciata due volte perché, di fatto, sua madre non la mandava a scuola; in matematica è debolissima; legge stentatamente. E poi ha una considerazione di sé prossima allo zero. Dice sempre che non è capace, si vergogna del suo essere più alta dei suoi compagni, del suo seno prosperoso … Ripete che lei vuole stare a casa, con i nonni. Bisogna accoglierla con grande dolcezza e controllare che venga a scuola.
Te l’affido – conclude, con la sua concreta asciuttezza, la Preside amica.
Che aveva messo a fuoco benissimo la situazione della ragazzina.
Il primo problema, infatti, fu quello di farla frequentare regolarmente. Valeria aveva paura: paura di non farcela, paura di non sapere leggere, paura di sfigurare davanti ai compagni, paura che si sapesse la sua storia. Paura di apparire troppo diversa.
Le parlo: le dico che le saremo accanto tutti: insegnanti, compagni, psicopedagogista. Le assicuro che lei, a scuola, starà bene. Che imparerà: con i suoi tempi, col nostro aiuto.
Intanto, Valeria non ha libri. I nonni hanno altre priorità. Glieli procuriamo, in qualche modo.
Legge molto lentamente e stenta a capire il testo: perché il suo vocabolario è limitatissimo, perché le strutture sintattiche complesse la confondono. Comunica istintivamente in dialetto.
L’impareggiabile docente di Lettere prende in mano la situazione. Prepara una progettazione individualizzata. I compagni sono discreti e affettuosi. Io chiamo i nonni quando le assenze mi sembrano sospette. A fine anno, Valeria viene promossa, senza se e senza ma.
In seconda media, si continua con la stessa strategia. Intanto, ho conosciuto il nonno paterno. Un omone settantenne, con gli occhi buoni, con tanti capelli bianchi sulla testa. Insieme, di sicuro, a tanti pensieri.
La prima volta l’ho incontrato quando è venuto a ritirare il libretto delle giustificazioni.
Mi chiamano dalla portineria: - Professoressa, possiamo consegnare il libretto al nonno? Non devono venire i genitori a ritirarlo? – Dico alla collega di consegnare il documento e fare accomodare il nonno nella mia stanzetta.
Ci guardiamo negli occhi. Il signore è imbarazzato. Lo invito a sedersi. Rifiuta garbatamente: - Professoressa, lassavu u lapuni malu misu, fori di la scola –
Non insisto. Lo ringrazio per la cura che lui e la moglie hanno per Valeria. – Deve promettermi una cosa, però: Valeria deve venire a scuola di più. Non può mancare un giorno o due a settimana. Le chiedo solo questo. Al resto penseremo noi. – Il signore mi guarda, sollevato. Annuisce. Poi, quasi per sigillare la sua promessa, poggia la mano destra sotto il cuore. Se ne va, regalandomi un mezzo inchino e un convinto sorriso.
In effetti, le assenze di Valeria rientrano nella quota consentita. Promossa in terza media.
In terza le cose si complicano un po’. Perché Valeria riprende ad assentarsi. Qualcuno dice che ha un fidanzatino. D’altra parte è una ragazzona di quasi diciassette anni, con grandi occhi marroni, e capelli dello stesso colore, ondulati, lunghi e setosi. Fianchi e seno perfetti.
Consiglio di classe di aprile. – Come va Valeria? – esordisco – Pareri contrastanti. C’è il partito dell’ottimismo, capeggiato dalla collega di Lettere, e il fronte degli scettici, di cui è portavoce l’insegnante di Inglese. Che dice: - Senti cara, in fondo l’abbiamo salvata ogni anno, di inglese non sa una parola, non capisco come dovrà fare gli esami ….-
Già, i benedetti esami di stato. Scopriamo che sono proprio loro lo spauracchio di Valeria. L’ha confessato alla professoressa di Italiano: - Professoressa … ho paura degli esami. Non ci voglio andare. Mi vergogno. L’inglese non lo capisco…-
E allora la rassicuriamo. Le diciamo che gli esami non sono la fine del mondo. Che, in aula, per le prove di Italiano, Matematica, Inglese ci saranno le insegnanti di classe e non volti estranei e minacciosi. Che venga a scuola, per favore.
Non gettare la spugna, proprio ora, Valeria – dico dentro di me. Telefono al nonno: - Ci aiuti. Valeria non deve mancare per nessun motivo. –
Perché le assenze erano pericolosamente vicine al livello di guardia. Il nonno capisce. Mi promette che accompagnerà a scuola ogni mattina lui stesso, Valeria.
Una volta li ho visti. Valeria è scesa dal lapone furtivamente: sicuramente non gradiva che i compagni la vedessero. Ma ho notato un rapido sguardo affettuoso verso suo nonno, prima di entrare a scuola.
Valeria, nonostante qualche borbotto, è stata ammessa agli esami.
Ha fatto un orale dignitoso – esclama raggiante l’insegnante di Lettere.
Che, posso scriverlo in grassetto, è stata il suo angelo custode. Per tutti e tre gli anni. Se non ci fosse stata Rosalba, temo che Valeria non ce l’avrebbe fatta ad arrivare al diploma. Non ce l’avrebbe fatta ad avere la sua quota di scolarizzazione di base.
E non ce l’avrebbe fatta senza l’arcangelo di suo nonno. Che però, anziché le ali, dal Cielo aveva ricevuto in dotazione solo uno sbrindellato lapone.