sabato 7 settembre 2013

Se la top model svela la verità

Condivido quanto letto nel blog dell'amico Augusto Cavadi.
Riporto integralmente l'articolo pubblicato il 6.9.2013 su "Repubblica – Palermo”.

Non sapevo che la top model Eva Riccobono – madrina del Festival di Venezia - fosse palermitana.
 L’ho appreso (rammaricandomi di non averla mai incontrata nei suoi diciannove anni di vita isolana) dai giornali che hanno riportato una sua dichiarazione a “Vanity fair”: “Vado una volta al mese a Palermo per ricaricarmi, ma alcune cose dei palermitani non mi piacciono come la mentalità mafiosa. Detesto quelli che si lamentano sempre e che vogliono la raccomandazione e soprattutto il familismo e i soprusi”.
   Sapevo, invece, che una dichiarazione così sincera e veritiera  - eco della più celebre e autorevole dichiarazione di Paolo Borsellino su Palermo “città bellissima e disgraziata” – avrebbe suscitato immediate reazioni da parte di politici di specchiate virtù civiche, che nella loro carriera non hanno mai né chiesto né fatto raccomandazioni di nessun genere. La strategia comunicativa per avere il nome in cronaca è ormai straconosciuta.
    Primo passo: amplificare l’estensione della dichiarazione e fare dire alla Riccobono che “tutti” i palermitani hanno mentalità mafiosa.  In modo da tentare di portare dalla propria parte oves et boves:  cittadini mafiosi  (per “fatto personale”), cittadini antimafiosi (per “lesa maestà”) e cittadini amafiosi (che non vogliono passare per nessuna delle due categorie, per altro minoritarie, precedenti). Che grazie all’azione dei magistrati (non di rado senza il sostegno dei politici) e dei segmenti migliori della società (come “Addiopizzo” e “Professionistiliberi”) si siano fatti enormi passi in avanti nella lotta al dominio mafioso non significa che questo sia scomparso dalle stanze dell’amministrazione regionale;  dai quartieri ricchi e meno ricchi in cui gli imprenditori continuano a sottostare ai soprusi del racket; dalle strade dove un’accurata regia distribuisce, con ammirevole precisione toponomastica, le zone ai posteggiatori abusivi (che non hanno neppure il lontano sospetto del ridicolo quando organizzano la manifestazione di protesta contro le forze dell’ordine che accennano a liberare gli automobilisti dall’intimidazione incessante e onnipresente)…
    Secondo passo: negare l’evidenza. Per esempio che la stragrande maggioranza dei palermitani sia specializzata nelle “lamentele” (contro il governo, contro il sindaco, contro i vigili urbani, contro gli autisti dell’Amat, contro i posteggiatori abusivi, contro gli altri concittadini che non si lamentano abbastanza…), ma non voglia spendere neppure un’ora la settimana per organizzare la protesta, farla diventare proposta politica, supportarla con adeguate azioni mirate nell’ambito della legalità democratica.
    Terzo passo: inventarsi qualche “rivoluzione in atto” che ridurrebbe a mero “luogo comune”, valido se mai per il passato, la constatazione che nella nostra città si è alla  “costante ricerca della raccomandazione'”. E’ dalla “Primavera di Palermo” di un quarto di secolo fa che i giovani si sarebbero ribellati alla mafia, avrebbero ripudiato il clientelismo, sarebbero strenui difensori della meritocrazia. Ma sfugge un piccolo particolare: i giovani di venticinque anni fa sono gli adulti di oggi e  - fatte le debite eccezioni – continuano a gestire le leve del potere (politico, amministrativo, culturale…) con le stesse insopportabili modalità dei padri e dei nonni. Sostenere, come si è fatto in queste ore da scranni istituzionali di tutto rilievo, che le raccomandazioni sono dappertutto in Italia, significa non voler vedere la differenza fra la patologia, che a Torino o a Perugia viene bollata come tale, e la stessa patologia che a Palermo o a Reggio Calabria viene scambiata per fisiologia. Come ha scritto il sociologo Antonio La Spina qualche anno fa, da Napoli in giù siamo ben al di qua dell’alternativa legalità o illegalità: sguazziamo nell’alegalità. Non prendiamo neppure in considerazione le norme che, disinvoltamente e abitudinariamente, violiamo.
   Comunque è superfluo addizionare argomenti razionali ad argomenti: alla pancia  - e alla demagogia – non si comanda. Ogni volta che esce un film, un libro, un’indagine giornalistica sulla mafia si ripete noiosamente il medesimo copione: la colpa è di chi osa denunziare i mali, non di chi li provoca e più o meno colpevolmente li perpetua.                                                                             Augusto Cavadi

3 commenti:

  1. Conosco molto bene la famiglia in cui Eva è cresciuta...è una famiglia di sani principi, una buona famiglia, sana. Parla come una palermitana che vive con la sua terra un rapporto di amore e di odio, fatto di rabbia e comprensione. Siamo un popolo violentato, e che ha fatto della violenza e del sopruso i mezzi stessi della sopravvivenza. Mancano politiche illuminate, è vero, ma i ceti sociali più deboli e poveri (larga maggioranza)sono, mi spiace dirlo, anche i più condizionati dalle logiche mafiose, e finiscono per influire "negativamente" sul voto. Con queste premesse la legalità non può attecchire, in nessun luogo.

    RispondiElimina
  2. Sinceramente neanch'io sapevo fosse palermitana e nemmeno la conoscevo... però ha avuto il coraggio di rilasciare una dichiarazione forte. Ci leggo l'amarezza di chi ama la sua terra ma al contempo ne vede i limiti e i problemi. E certamente è una dichiarazione che molti possono avere interesse a strumentalizzare.

    RispondiElimina
  3. @Tra cenere e terra: grazie della visita e del commento. A presto.
    @Vele: come te, neppure io conoscevo la Riccobono. Come sottolinea Augusto Cavadi, è assurdo prendersela con chi sottolinea i mali, anzichè con chi li provoca. A presto!

    RispondiElimina