Facciata della chiesa di San Francesco Saverio - Palermo |
Oggi con la II domenica dopo Natale, torniamo su questo testo indicibile del prologo di Giovanni. È un testo nel quale ci piace navigare, ci piace perderci con questa immensità dentro cui ci avvolge. Perché si tratta di questo: si tratta di questa prospettiva che ormai cuce la storia di Dio con la storia dell’uomo (...) Gesù diventa il criterio interpretativo di questo incontro tra Dio e l’uomo, che ci consente anche di valutare tutte le altre esperienze umane e religiose, di poterle valutare e prendere da tutte ciò che di bello, di buono, di giusto ci può essere. (...)
Gesù diventa il criterio luminoso che però ci riconduce alla vita. Gesù vuole la vita degli uomini, Gesù non è per la morte degli uomini. Ed egli si farà strada in mezzo a noi annunciando ad ogni persona questa prospettiva di vita (...). Tutta la difficoltà che Gesù avvertirà è in uno scontro, chiamiamolo così, con la legge, con la Torah, la quale diventa criterio per discernere la vita. Gesù, invece, fa al contrario: partiamo dalla vita delle persone, vediamo come dobbiamo coltivarla, come dobbiamo celebrarla, come dobbiamo renderla aperta verso l’immensità, lavoriamo a questo.
E i segni che Gesù ci propone nel Vangelo di Giovanni, hanno questo compito di dispiegare continuamente il senso della vita, di aprire gli occhi al cieco, di svegliare Lazzaro dalla sua morte, di dare acqua zampillante alla samaritana, di portare il vino della festa e della gioia al banchetto nuziale. Gesù ci indica che la vita è il criterio della nostra esperienza di Dio, perché il Dio è il Dio della vita, è il Dio dei viventi; non è il Dio della legge, non è il Dio della sapienza dottrinale, ma è il Dio che ci vuole fare esplodere dentro la bellezza di una vita degna di essere vissuta. “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”. Appunto, la vita. (...)
Ormai siamo invitati a sperimentare la grazia, la charis da cui viene carità, da cui viene carezza, da cui vengono tutte queste belle parole, da cui viene, in ultimo, l’amore, la verità. La verità nel senso di Giovanni non è una dottrina, la verità è la persona concreta di Gesù che si fa strada in mezzo agli avvenimenti umani, per illuminarli, per aprirli.
E così allora l’esperienza di Dio cui tutti noi siamo chiamati, come comunità, ma come singoli altrettanto, a cui tutti noi siamo invitati, passa dall’incontro personale con Gesù Cristo, con il suo Vangelo, con la sua esperienza di vita che siamo chiamati a fare nostra e dentro questa vita c’è Dio e ci siamo noi. C’è la promessa di Dio e c’è l’impegno nostro a rendere concreta la promessa di Dio. Dobbiamo aiutare Dio a realizzare la promessa che lui ha fatto a noi e quindi che aspetta la nostra collaborazione. In questa cifra della Parola di Dio incarnata in Gesù Cristo c’è tutto, inclusa la nostra libertà. La libertà attraverso la quale Dio vuole passare, dalla quale si fa condizionare, dalla quale dipende la possibilità di rendere concreto tutto il suo progetto di amore che passa attraverso di noi.
Così il prologo di Giovanni ci invita a librarci in questa vita immensa di Dio. Lo sappiamo che la vita è mortificata in maniera enorme. La vita viene attentata ogni giorno dalle tenebre, da queste resistenze, dalle opacità, da questi irrigidimenti, da questo possesso … ma la vita non si può possedere, la vita non è posseduta, la vita vive, la vita si espande. Ogni atteggiamento di possesso è un attentato, è un colpo di tenebra, è un suicidio. Questo lo sappiamo, ma dobbiamo tornare a che Dio possa vivere liberamente, incontrando la nostra libertà, passando attraverso tutti noi e ognuno facendo la sua parte, unica, che deve scoprire continuamente, che non finiamo mai di scoprire, di sperimentare e anche di esplorare perché non abbiamo mai le idee chiare prima di vivere. Siccome è la vita quella che dobbiamo realizzare, soltanto vivendo capiamo meglio noi stessi e andiamo sperimentando cosa è questo Signore della nostra vita (...)
(stralcio dell'omelia di don Cosimo Scordato pronunciata ieri II domenica di Natale, a Palermo, nella chiesa di san Francesco Saverio)
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