In contemporanea all’edizione completa delle Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani dello studioso palermitano appassionato di tradizioni popolari, pubblicata in quattro volumi dall’editore Donzelli, nell’ottobre 2013 Amelia Crisantino di Giuseppe Pitrè ha pubblicato quarantuno Fiabe siciliane e tredici storielle di Giufà, il semplicione il cui nome in Sicilia è ormai sinonimo di comportamento goffo e ingenuo. La raccolta della Crisantino è assai curata e fruibile da un vasto pubblico grazie all’ottima traduzione dal dialetto siciliano all’italiano e all’accessibilità anche economica della proposta editoriale (Di Girolamo, Trapani, 2013, € 12).
Le protagoniste delle Fiabe siciliane sono per lo più donne: in Caterina la sapiente, Caterina ci appare una femminista ante litteram; in questa e in altre storie troviamo l’esaltazione di un riscatto femminile possibile non solo grazie alla seduzione erotica, ma anche per merito della sapienza arguta della protagonista. Ne Il gran Narbone e Il re di Spagna e il Milord inglese la protagonista - come Mulan, eroina cinese del fortunato cartone Disney - deve fingersi uomo per recuperare il ruolo prestigioso e l’onore ingiustamente perduto. Non mancano fiabe dichiaratamente misogine, come Il diavolo zoppino, Vai a credere alle donne e Il devoto di san Michele Arcangelo: in quest’ultima san Michele ha tratti spietati e vendicativi assolutamente umani. Mentre L’infanta Margherita e Sole, Perla, Anna, sono, con significative varianti, rispettivamente una versione nostrana di Biancaneve e i sette nani, dei fratelli Grimm; e una versione noir de La bella addormentata nel bosco di Perrault, simile a sua volta a Sole, Luna e Talia, inclusa nel 1634 nel Pentamerone di Giambattista Basile.
La rilettura delle Fiabe siciliane ci permette un tuffo nella società in prevalenza contadina della Sicilia del 1800, quando c’erano le onze e i tarì come moneta contante; quando le donne venivano chiuse in casa, a porte murate ma con viveri a sufficienza, se non c’era un padre o un marito a custodirne l’onore (in Ninetta e il ramo di datteri); quando solo un indovino, e non un’ecografia, poteva predire il sesso del nascituro (in Griddu Pintu); quando insaponare, strofinare e risciacquare i panni a mano, lavare periodicamente la lana dei materassi, lucidare le pentole di rame, ricavare le camicie da un pezzo informe di tela, erano le quotidiane fatiche femminili. Lavori umili e gravosi che si intravedono tra la filigrana di Sfortuna e Malvina, storie che, peraltro, ci offrono un trionfo dell’immaginazione colorita e senza freni.
Come sottolineato da Amelia Crisantino nella prefazione, nelle fiabe le tensioni sociali e politiche rimangono comunque sullo sfondo. Ci vorranno Serafino Amabile Guastella prima, Leonardo Sciascia e Giuliana Saladino poi per interpretare e connotare storicamente queste tensioni. Le fiabe di Pitrè ci squadernano un universo irredento, senza una netta distinzione tra buoni e cattivi, dove non sempre le storie hanno un lieto fine. Protagonista indiscussa dei racconti è la miseria fisica e la povertà psicologica dei protagonisti: povertà imperante nella Sicilia ottocentesca popolata da contadini e da proletari urbani, sostanzialmente privi di un orizzonte di riscatto etico-politico, abitanti di una società immobile e arcaica, che aveva ignorato la riforma protestante, l’illuminismo e la rivoluzione francese. Società dove solo una magia poteva generare il cambiamento.
Nella raccolta non mancano anche fiabe di moderno taglio horror-noir: come Sarinella, dove non c’è nessuna pietà per il diverso, perché lo sguardo liberatorio del neuropsichiatra Franco Basaglia è davvero di là da venire; o La figlia di Biancofiore dove: "Il re ammazzò la ragazza brutta che aveva avuto per moglie: la fece salare dentro un barile come se fosse un tonno, mettendo sul fondo la testa e la mano con l’anello. Infine mandò questo barile a sua suocera"; ne Lo schiavo: "Rosetta cominciò a guardare quella mano provando sempre più ripugnanza; non riuscendo a mangiarla finì per pestarla in un mortaio, gettandola infine nello scarico". In Tredicino, il protagonista ammazza una mammadraga e: "quando fu cotta, la uscì ben pulita: la divise alla vita, fece le gambe a pezzi e le portò a tavola".
E ricordiamo infine la chiusa più frequente delle fiabe: Loro rimasero felici e contenti/ e noi qui che ci puliamo i denti. Finale con cui anche mio nonno, quasi coevo di Pitrè, concludeva le storie narrate. Grazie ancora ad Amelia che, con questo libro, ci restituisce un prezioso pezzo di passato, personale e collettivo insieme. Maria D’Asaro (“Centonove”, n.2 del 17.1.2014)
No vabbè. Col marito siculo e il caruso mezzo... lo veglio!
RispondiEliminaGrazie davvero per quest'opera meritoria di conservazione e custodia del passato. Certo che le fiabe di una volta non erano certo politicamente corrette!
RispondiEliminaInteressantissimo! Pitrè è uno dei maggiori studiosi nazionali della tradizione folkloristica, il suo lavoro di raccolta del patrimonio popolare è stato incomparabile.
RispondiEliminaUn piccolo appunto: i vari racconti di Biancaneve, Bella addormentata ecc, non sono esattamente "una versione nostrana" delle fiabe di Grimm&Co, ma si tratta di varianti di un'unica antichissima favola scritta non da studiosi, ma partorita dalle menti del popolo. Gli stessi Grimm e Perrault hanno imbrigliato il nucleo originale in una loro personale versione.
Scusa l'invadenza, ma l'argomento mi sta a cuore, lo sai! :-)
Le fiabe tramandano tradizioni, modi di vivere, illusioni che trascendono il mondo reale.
RispondiEliminaLa Sicilia, con le sue bellezze artistiche e naturali, e con la sua grande tradizione ulturale, ne è ideale scenario.