L'avarizia è la scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede.
Nell’acronimo medievale che riunisce i sette vizi capitali, SALIGIA, l’avarizia è collocata in prima posizione come radice di ogni male; a differenza della superbia, che è il vizio ontologico inteso come passione dell’essere, l’avarizia è la passione dell’avere, del possedere senza usare, dell’accumulo compulsivo. Come altri vizi, l’avarizia è un deragliamento, una lussazione del desiderio che prende il sopravvento e imprigiona in una spirale distruttiva chi ne è affetto. Nasce dal bisogno deformato di possedere, in modo autoreferenziale e non partecipativo, paralizzando la circolazione dei beni, venerati in modo idolatrico.
Di tutti i vizi capitali, l’avarizia è uno di quelli che la letteratura e il teatro hanno descritto maggiormente, donando alla collettività una rassegna di personaggi indimenticabili: l’Arpagone di Molière, Ebeeneezer Scrooge di Dickens sino a Paperon de’ Paperoni di Disney. L’interesse letterario per gli avari è dovuto alla natura di tale vizio e alle sue ricadute sociali più evidenti, legate alla fame di potere e di ricchezza. In particolare, Paperon de’ Paperoni esemplifica tutti i difetti dell’egoismo del mercato e del capitalismo rampante: condanna se stesso e i nipoti alla miseria, è gretto, meschinamente ossessionato dal possesso e dal terrore di veder diminuite le sue sostanze. La sua unica soddisfazione è il bagno tra le monete del deposito nel quale ha “tumulato” la sua vita relazionale.
Nel saggio di Stefano Zamagni Avarizia. La passione dell’avere (Il Mulino, Bologna, 2009) viene mostrato il volto rapace e distruttivo di questo vizio: l’avarizia accumula, ma non investe; conserva, ma non usa; possiede ma non condivide. L’avarizia è il vizio che più di altri intacca la vita comunitaria minandola alla base per il suo potere distruttivo: nega la condivisione, esclude e separa contribuendo alla lacerazione del tessuto sociale. Gli avari sono sempre soli e tormentati dall’angoscia della perdita.
L’avarizia – continua Zamagni – si combatte e si supera in pubblico e in privato solo capovolgendo la piramide valoriale sui cui gli avari costruiscono la propria visione del mondo: bisogna rendersi conto che lo scambio ha valore non per la perfetta equivalenza dei beni oggetto di transazione, ma che il valore fondamentale è l’aspetto relazionale, che è il vero inter-esse, cioè lo stare in mezzo, l’essere interrelati, il condividere. Lo scambio deve avere come obiettivo anche la creazione di legami e relazioni, di beni relazionali il cui valore non è quantificabile ed è fondamentale per un’armonica coesistenza sociale. A questo proposito, nel suo saggio Zamagni evoca l’immagine finale, nel Canto di Natale di Dickens: il vecchio Scrooge inizia a distribuire i suoi beni ringraziando coloro che vengono beneficati perché gli permettono di assaporare, attraverso la scoperta del dono gratuito, che vuol dire essere felice. (Fonte: Rivista Cem Mondialità n.2/2014, pagg.23-26)
(A mio avviso, alla radice dell’avarizia c’è una sensazione di paura, la paura di essere abbandonati dagli altri e dalla società, e quindi di grande solitudine: ho notato che, quando sono serena, mi viene più facile essere equilibrata, e anche generosa, nel mio rapporto con le cose e col denaro. Quando mi sento sola, triste e insicura, controllo quanti soldi ho in banca e magari conto materialmente anche le banconote che ho nel portafoglio. Una ricerca psicologica ha documentato che effettivamente il “tuffo” nelle banconote, di paperoniana memoria, può attivare un circuito di immediato piacere compensativo. Mi auguro di potere arricchirmi sempre più di beni relazionali e di avere un rapporto sereno, fluido e di sana condivisione con i beni materiali).
Brutta cosa l'avarizia :)!!!
RispondiEliminaSono d'accordo con te, e trovo che molti di questi "vizi" o "peccati" sorgano da malesseri o insicurezze personali.
RispondiEliminaCome scrissi nel mio post sulla "P...ossessione", sono convinto che il progresso stesso dell'umanità sia imperniato sull'imperativo dell'avere: una smodata brama giocata con ogni mezzo, che nella sua più bassa accezione arriva ad identificarsi con l'avarizia, da te ben circoscritta. Ottima disamina, Maruzza!
RispondiEliminaDa noi c'è un detto "chi risparmia il gatto mangia"...
RispondiEliminaa volte i beni accumulati vanno a finire a ereditieri con mani bucate e in poco tempo tutto viene vanificato...ben gli sta !!!
Alla fine il mondo non cambia mai, anche i Faraoni accumulavano, accumulavano per l'aldilà ma i loro beni non se li sono portati via sono rimasti all'aldiquà...
Cosmoabbracci !!!
@Dany M: E' vero! Buona domenica.
RispondiElimina@Silvia Pareschi: un teologo e psicoterapeuta tedesco, Eugen Drewermann, afferma che tutti i "peccati" hanno origine dalla sofferenza, da una sconfinata angoscia esistenziale. Penso che abbia ragione. Buona domenica.
@DOC: sono d'accordo. Siamo schiavi dell'avere. Grazie dell'apprezzamento. Buona domenica. Un abbraccio.
@Pippi: ciao! Qualcuno ha scritto che veniamo al mondo nudi e nudi ce ne andremo... Buona domenica. Ricambio cosmoabbracci affettuosi!