Se volessimo applicare al romanzo di Claire Messud La donna del piano di sopra (traduzione di Silvia Pareschi, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, € 17,50) una delle etichette usate negli anni ’60 dal Centro cattolico cinematografico per attribuire ai film un giudizio etico/valutativo, diremmo che è un libro per adulti maturi, la cui lettura può avere effetti collaterali negativi se chi legge è donna, è single, tende a fidarsi del prossimo, fa l’insegnante e ha superato i quarant’anni … Perché la protagonista del romanzo, un’immaginaria maestra elementare dei nostri giorni che vive in America, nel Massachusetts: “La donna del piano di sopra … fatta così, tutta d’un pezzo (…), simile Alle donne tranquille in fondo al corridoio del secondo piano, quelle che non sgarrano mai con la spazzatura, quelle che sorridono e salutano allegramente sulle scale e che, dietro la porta chiusa, non fanno mai rumore; che Non combina casini, non commette errori, non chiama la gente piangendo alle quattro del mattino. (…) Compie quarant’anni e ci ride sopra”, Nora Eldridge - questo è il suo nome - non è un personaggio “vincente” perché si trova a fare i conti con la sua soverchiante solitudine e con gli incontri e le strategie fallimentari con cui cerca di arginarla.
Il romanzo racconta il cambiamento nella vita di Nora a seguito dell’ingresso nella sua classe di un nuovo alunno, Reza, ingresso che sembra segnare una fase nuova e creativa della sua vita: Nora infatti s’innamora contemporaneamente, in modo ovviamente diverso, del ragazzino e dei suoi genitori, l’artista italiana Selene e il brillante docente universitario di origine libanese Skandar. Davvero belle, a questo proposito, le pagine in cui la donna descrive il suo “stato nascente”, tipico della condizione degli innamorati: “Ero felice. Anzi, ero Felice. Ero innamorata dell’amore, e ogni parcheggio fortunato, ogni melone particolarmente gustoso, ogni riunione inaspettatamente breve mi sembrava … l’inevitabile manifestazione della bellezza della mia vita. (…) Era come se il mondo fosse pieno di luce. (…) Avevo più energia; la mente era più lucida, più veloce. Non prendevo il raffreddore, non avevo dolori, ero più fortunata, andavo d’accordo con tutti, ridevo di più, lavoravo di più, dormivo meglio. Ero sveglia in un modo completamente nuovo, e sapevo che qualunque cosa era possibile.”
Alla fine però Nora scopre di essere stata crudelmente ingannata. E si sveglia bruscamente dal suo sogno di riscatto di una vita mediocre e provinciale, scoprendo “di essere sola dentro una minuscola pozza di luce in un’enorme stanza buia, (…) una figurina nel diorama di qualcun altro, manovrata sul palcoscenico da un gigante invisibile”. Con una rabbia infinita verso chi l’ha ingannata e soprattutto verso se stessa: “Sono stata schiacciata dall’universo; ho sprecato l’oro del mio affetto in chincaglierie inutili; sono stata trattata come spazzatura. E’ meglio che non sappiate quanto sono arrabbiata (…). Sono furiosa con entrambi (…)ma lo sono altrettanto con me stessa, con i miei stupidi sogni, con la mia fiducia malriposta e il mio desiderio inutile.”
E il lettore si trova, alla fine – ancor più se è donna, se è single, se fa l’insegnante e coltiva velleità artistiche - a condividere la tristezza rabbiosa di Nora.
Perché leggerla, allora, questa storia quasi disperata? Per alcuni buoni motivi: perché il romanzo è scritto – e magistralmente tradotto – assai bene, con un ritmo incalzante e scorrevole. E poi la vicenda narrata in prima persona bussa all’immaginario e ai sentimenti di chi legge senza permesso, e magari disturba ... Ma l’io narrante, impedendo al lettore di prendere le distanze dalla storia, non gli permette dilazioni emotive, lo cattura e lo coinvolge, suo malgrado. Anche se poi la complicata evoluzione delle relazioni affettivo/amicali della protagonista lo lascia perplesso e spiazzato.
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Claire Messud |
Infine il romanzo serve al lettore europeo per fargli conoscere più in profondità la società americana di oggi: Nora può allora diventare cifra esemplare dell’americano medio che fatica a trovare valori, orizzonti e progetti che diano conforto e significato alla propria grigia e solitaria esistenza individuale: “Il mistero della mia vita era che potesse somigliare tanto all’autostrada delle grandi pianure, chilometri e chilometri di strada lunga e piatta senza neppure un albero”. Senza un Dio e senza uno straccio di conforto familiare e affettivo, per l’americano medio, “il cielo reale cessa purtroppo di essere vasto, azzurro, impeccabile e americano, canovaccio di ogni possibilità.”
Maria D’Asaro (“Centonove” n. 47 del 18.12.2014)