Con un efficace “botta e risposta”, nel libro/intervista a cura di Marco Damilano Missione incompiuta (Laterza, Roma-Bari, 2015, € 12) Romano Prodi ci propone la sua analisi del nostro Paese dagli anni ‘80 ai nostri giorni. Scopriamo così un uomo politico lontano dal soporifero Mortadella presente nell’immaginario di tanti: “empirico brutale” (come lui stesso si definisce), riformista e keynesiano convinto, che ci sorprende dicendoci finalmente qualcosa di sinistra: “Lo Stato sociale era la grande invenzione del Novecento”; “l’insostenibilità del welfare è un fatto puramente ideologico, conti alla mano è più costoso il non-welfare: l’Italia con il 7-8 % del bilancio di spese sanitarie garantisce ai suoi cittadini cure migliori degli stati Uniti che spendono il 17-18%”; “Prima la differenza di salario tra un dipendente medio di un’azienda e il direttore generale era 1 a 30. Ora è di 1 a 500 e nessuno dice niente.”
Il libro è una radiografia davvero avvincente su quanto è accaduto, nell’ultimo quarto di secolo, in Italia e nel mondo: non mancano neppure le note dolenti sul mancato sostegno alla “primavera araba”. Prodi ci offre, intanto, squarci illuminanti sul controverso passaggio tra la prima e la seconda Repubblica: afferma che i metodi di Antonio Di Pietro, “pur inserendosi in una doverosa e attesa campagna di pulizia, segnarono anche l’inizio di un populismo senza freni (…); sulle inchieste si è innestata, in conseguenza di interessi particolari e di esigenze mediatiche, un’operazione di delegittimazione di tutto il sistema.” E poi: “la cesura del 1992-93 c’è stata sul piano politico, ma non nei comportamenti degli italiani. In questa frattura si è inserito Berlusconi come un mago”; perché purtroppo: “ci sono momenti storici in cui l’Italia ha bisogno di un’auto-illusione: è disposta a non guardare per nulla dentro se stessa pur di continuare a illudersi”.
Amara la chiave di lettura dell’ex premier dell’Ulivo sulle ragioni del suo fallimento: “L’Ulivo voleva essere un progetto di lungo periodo in cui si rimettevano nel loro giusto equilibrio i rapporti tra poteri economici e poteri politici. (…) Univa i pregi di una storia passata con il disegno di un paese futuro, con un progetto composto di riformismo, minore disuguaglianza, ricerca e innovazione”. Ma “la sua debolezza fu quella di non rafforzare l’aspetto organizzativo-partitico, per cui alla fine i vecchi partiti e le vecchie correnti ne hanno indebolito le radici." L’ex premier indica poi con chiarezza i punti deboli del sistema Italia: “Manca il sistema Paese. Continuare a pensare che meno Stato equivale a più sviluppo è una follia contraddetta dalla realtà.” E se “la grande contraddizione delle nostre democrazie è nel dilemma fra la necessità di verità e le esigenze elettorali che si nutrono di demagogia”, da noi, in più: “non solo il debito pubblico, ma soprattutto la criminalità, l’illegalità e la pressione fiscale fanno dell’Italia un paese fragile e non affidabile”. Però “Non si può pensare che vi sia una Grande Riforma che risolva tutto. (…) Se si impostano le riforme come le grandi battaglie teologiche non si risolveranno mai i problemi.” E ancora: “Non c’è un sistema migliore del bipolarismo che garantisca (…) la stabilità della legislatura e la possibile alternanza di diversi schieramenti al governo (…). Il bipolarismo è il nemico di due mali tipicamente italiani: il trasformismo e il voltagabbanismo.”
Amara la chiave di lettura dell’ex premier dell’Ulivo sulle ragioni del suo fallimento: “L’Ulivo voleva essere un progetto di lungo periodo in cui si rimettevano nel loro giusto equilibrio i rapporti tra poteri economici e poteri politici. (…) Univa i pregi di una storia passata con il disegno di un paese futuro, con un progetto composto di riformismo, minore disuguaglianza, ricerca e innovazione”. Ma “la sua debolezza fu quella di non rafforzare l’aspetto organizzativo-partitico, per cui alla fine i vecchi partiti e le vecchie correnti ne hanno indebolito le radici." L’ex premier indica poi con chiarezza i punti deboli del sistema Italia: “Manca il sistema Paese. Continuare a pensare che meno Stato equivale a più sviluppo è una follia contraddetta dalla realtà.” E se “la grande contraddizione delle nostre democrazie è nel dilemma fra la necessità di verità e le esigenze elettorali che si nutrono di demagogia”, da noi, in più: “non solo il debito pubblico, ma soprattutto la criminalità, l’illegalità e la pressione fiscale fanno dell’Italia un paese fragile e non affidabile”. Però “Non si può pensare che vi sia una Grande Riforma che risolva tutto. (…) Se si impostano le riforme come le grandi battaglie teologiche non si risolveranno mai i problemi.” E ancora: “Non c’è un sistema migliore del bipolarismo che garantisca (…) la stabilità della legislatura e la possibile alternanza di diversi schieramenti al governo (…). Il bipolarismo è il nemico di due mali tipicamente italiani: il trasformismo e il voltagabbanismo.”
Il saggio si presta anche a una godibile lettura “estiva” perché, oltre alle riflessioni dense e intriganti, ci racconta gli incontri di Prodi con alcuni uomini politici, di cui emerge “il lato B”, quello dell’umanità a tutto tondo. Ecco allora Andreotti “che faceva benissimo 10 cose per volte”; Moro “che incuteva soggezione e rispetto e parlava sottovoce pesando le parole”; l’avvocato Agnelli “uomo curiosissimo, che non stava più di due minuti sullo stesso argomento”; Bossi, che gli offrì di entrare in politica con la Lega; Helmut Kohl, con cui bastò una telefonata per fissare il rapporto tra marco e lira per entrare nell’euro; Deng Xiaoping, tifoso di Maradona; Bill Clinton “una spanna sopra tutti: per capacità, conoscenza, intelligenza politica e intuito”.
Attuale e toccante, infine, la dichiarazione d’amore per l’Europa unita, simboleggiata dal mazzo di fiori per la moglie Flavia acquistato la notte del Capodanno 2002 a Vienna con le prime banconote dell’euro. Ma “L’Unione europea è una realtà ancora incompleta. O la si perfeziona con un unità vera o si finisce male (…) Il male dell’Europa non è soltanto economico. E’ una perdita di anima, di progetto, di quel senso dello stare insieme che permette di far correre i forti assieme ai deboli.” Prodi ci esorta, allora, a ”lottare contro l’accorciamento degli orizzonti” e a progettare il domani, italiano ed europeo, con generosa e intelligente sagacia.
Maria D’Asaro, “Centonove” n. 14 del 6.8.2015, pag. 30
Il cumulo delle sue "pensioni" sono di sinistra?
RispondiElimina@Anonimo: scrivo - e confermo - che Prodi ci dice qualcosa di sinistra e non che i suoi comportamenti privati siano di sinistra.
RispondiEliminaPer me Prodi è stato l'ultimo presidente del consiglio che sapeva fare il suo mestiere, ed è stato fatto fuori proprio per questo.
RispondiElimina@Silvia: d'accordo. Buona estate!
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